La lussuria smascherata
Il Bronzino, Allegoria del trionfo di Venere, National Gallery, London
Bronzino, Allegoria del Trionfo di Venere, 1540-45, National Gallery, London |
Capolavoro del Manierismo italiano, composto fra il 1540 e la fine del 1545, è uno dei quadri più enigmatici e inquietanti del Cinquecento. Il Bronzino, sotto la guida di un esperto erudito della Corte Medicea, forse il Landinelli, realizza una complessa allegoria dell'amore carnale, delle sue gioie, dei suoi inganni, della disperazione e della fine. L'opera era destinata al re di Francia Francesco I da parte del duca di Firenze e Toscana Cosimo I de' Medici e come tale era un oggetto usato come dono politico per creare un' alleanza strategica con la Francia e impedire così l'espansione spagnola che già si era manifestata in Lombardia, nel Ducato di Milano. La raffigurazione ha carattere di ammonimento moralistico, realizzata con grande raffinatezza di forme e di colori e con una attenta definizione dei particolari delle varie figure. Nulla qui è lasciato alla libera decorazione, tutto è disposto secondo un determinato criterio espressivo e simbolico. La grande figura centrale nuda è Venere, identificabile dal pomo d'oro che tiene in mano. Tradizionalmente raffigurata nuda, Venere qui, con l'attributo simbolico del pomo d'oro rimanda al Giudizio di Paride, quando, su invito di Giove, il più bello dei mortali, Paride, decise di assegnare il pomo d'oro, su cui era incisa la frase" alla più bella " a Venere, scatenando le ire di Era ed Atena. La figura di Venere è piuttosto fredda, quasi marmorea, sembra che non abbia un'anima. La dea con il profilo tagliato del volto, la bocca socchiusa, gli occhi aperti, un'espressione di algida sensualità si appresta a baciare sulla bocca, con gesto incestuoso, suo figlio Cupido ( identificabile dalla cinghia verde e gialla che regge la faretra nascosta dal corpo: ma si vede in alto la freccia che Venere vi sfila e dalle ali sulla schiena ) che è visto di schiena ed esibisce, spingendole in avanti verso lo spettatore, come un'offerta, le proprie natiche, mentre con la mano sollecita un capezzolo della dea. Cupido e Venere sembrano attratti uno all'altra, sembra che vogliano iniziare una danza amorosa, ma se vediamo bene si tratta di un reciproco inganno: Venere sfila una freccia dalla faretra di Cupido e questi cerca di rubare dalla elegante acconciatura della dea una collana di perle. Da questa prima attenzione alla scena comprendiamo che non si tratta di una rappresentazione di un gesto d'amore, bensì della raffigurazione di quello che cela l'apparenza dell'amore, l'inganno. A destra di Venere vediamo un putto nudo con i riccioli biondi che sparge ( o meglio si appresta a spargere ) delle rose che tiene fra le mani; il putto ha al piede sinistro un campanello con nastrino alla caviglia. Il putto dovrebbe simboleggiare il riflesso del piacere carnale e le rose il fatto che si tratta di un piacere effimero. Ma se vediamo i piedi notiamo delle ferite che il putto deve essersi fatto con le spine delle rose: quindi questo piacere effimero contiene, in sé, qualcosa di doloroso. Un segno chiaro che questo riflesso nasconde il risvolto contrario della gioia apparente, i dolori d'amore. Dietro il putto vediamo una fanciulla che ha il volto in ombra ( quello del putto è in luce ) ed una espressione mesta ( quella del putto è gioiosa ). Si tratta di un volto comunque gradevole, però presenta un aspetto ambiguo, evidenzia una nascosta natura ingannatrice come testimoniano anche alcuni dettagli: l'inversione della mano destra con la mano sinistra e la natura mostruosa del suo corpo in basso. Si tratta ancora una volta dell'accenno simbolico alla natura ingannatrice dell'amore sensuale, in primis testimoniato dalle due figure di Amore e Venere che, come detto, si ingannano a vicenda. Anche la presenza delle maschere teatrali in basso a destra vogliono ancor una volta sottolineare l'aspetto dell'inganno: la maschera cela il volto e la verità dell'espressione mostrano una verità ed un volto falsi. A sinistra del dipinto, dietro Cupido, vediamo due figure grottesche, la Disperazione e, più in basso, la Follia , che rappresentano le conseguenze, nel tempo, dell'amore sensuale. In alto vediamo un vecchio nudo che scosta un pesante drappo azzurro, un sipario che apre, mostra, la scena. E' il Padre Tempo che è accompagnato, a sinistra dalla Verità e che svela, agli occhi degli osservatori, il vero volto della lussuria ( uno dei titoli attribuibili al dipinto è proprio La lussuria smascherata ). Agnolo Bronzino ( il significato del soprannome è incerto, forse si riferisce al colorito scuro del volto del pittore ) aveva derivato il soggetto delle due figure principali Venere e Cupido, da un dipinto del suo maestro Jacopo Carucci detto il Pontormo, che aveva proprio questo titolo ( Venere e Cupido o Venere e Amore ) e mostrava la dea ed il figlio sdraiati uno sull'altra in atteggiamento lascivo. L'opera, dipinta nel 1533, da quello che era stato il maestro del Bronzino, era stata realizzata su un disegno che Michelangelo ( la derivazione michelangiolesca è molto evidente nel nudo scultoreo di Venere ), aveva fatto per un cartone d'arazzo. Se guardiamo il dipinto notiamo come il Bronzino avesse ripreso alcuni elementi della composizione che si caratterizzano sul piano simbolico e insieme alludono agli inganni dell'amore sensuale. O meglio sviluppano una dialettica figurativa di contrasto fra amore sensuale e inganni di questo.
Jacopo Carucci detto il Pontormo, Venere e Amore, 1533c., Gallerie dell''Accademia, Firenze.
Vediamo infatti alcuni riferimenti simbolici che vengono ripresi dall'allievo geniale del Pontormo: innanzitutto nelle parte sinistra del dipinto le due maschere ( una con espressione ironica e satirica, l'altra seria, quasi triste ) che sono appese proprio all'arco che scaglia le frecce d'amore a simboleggiare, per contrasto, la differenza fra passione apparente e realtà ingannatrice e sono situate presso un contesto figurativo riferibile al mondo dello spettacolo ( il fantoccio nella scatola aperta indica la presenza di una marionetta che interpreta un personaggio tragico come mostra la ferita sul petto e l'apparenza della morte ), della finzione scenica di tipo popolaresco ( da teatro popolare o da teatrino di strada ), sopra, con altro elemento simbolico di contrasto è un vaso con contiene le rose, simbolo della bellezza effimera, anche questo ripreso da Bronziono. Venere e Amore sono intrecciati in un abbraccio innaturale: Amore è un putto adiposo e ricciuto che si appresta a baciare sulla bocca la madre,che ha un'espressione distante e fredda e che le cinge il collo con un gesto alterato, inverso rispetto a come dovrebbe essere; elemento che indica l'ambiguità e rimanda all'inversione, all'inganno: idea ripresa da Bronzino nel braccio della fanciulla di destra. In Venere vediamo chiari gesti allusivi alla sensualità, all'eros: innanzitutto l'apertura delle dita delle due mani che indicano disponibilità sessuale, poi la collocazione di questi due gesti: a destra le dita si aprono poco sopra al capezzolo, a sinistra tengono, in mezzo l'asticella della freccia d'amore con chiara indicazione simbolica al fallo. Bronzino trasforma la coppia dei due amanti: sposta al centro Venere, la rende molto più sensuale, nella sua posa slanciata, elegante, dalla pelle perlacea, dalla preziosità dell'acconciatura. La ripresa è un omaggio a Michelangelo, infatti la posa di Venere è la stessa di quella della Madonna che vediamo nel Tondo Doni conservato agli Uffizi a Firenze.
Bronzino in questo senso si era valso di una delle rare donne michelangiolesche che non hanno una forma chiaramente scultorea ( forse la mancanza della nudità è un elemento che favorisce una maggiore femminilità ) e aveva fatto particolare attenzione alla collocazione centrale e all'eleganza di quella figura. Venere per Bronzino, naturalmente, ha carattere ben più sensuale della Madonna, la sua nudità raffinata, sensuale sebbene di una sensualità algida, attira naturalmente lo sguardo dello spettatore. Il pube è realizzato con un triangolino elegante e morbido che è cosa ben diversa da quello tozzo e giallognolo del Pontormo. I seni sono accuratamente studiati e disposti e se ne intende subito la sensuale morbidezza; il capezzolo di destra diventa indice sessuale e non materno grazie alla sollecitazioni delle dita di Cupido. Panofsky ha detto che l'abbraccio fra madre e figlio non è colpevolmente incestuoso, ma innocente e che la figura di Cupido è asessuata ( Studi di iconologia, 1975, p. 124 ). Personalmente e modestamente l' interpretazione del grande studioso non mi convince del tutto. Si tratta per me di una allegoria della lussuria attraverso un abbraccio incestuoso fra Venere e Amore. La presenza di un amore carnale è evidente anche se è sviluppato figurativamente attraverso una complessa e raffinata composizione intellettuale. Vediamo che figure e simboli sono evidenti. Innanzitutto Cupido non è un putto, ma un adolescente, la sua figura si erge su Venere con maggiore complicità di quanto non è in Pontormo. Si tratta forse di un Cupido androgino ( forme e posizione femminile in un corpo maschile, spostamento delle terga indietro e non in avanti verso il sesso di Venere, riferimento all'ideale neoplatonico dell'amante ), ma credo che sia una ulteriore mascheratura, una falsa posizione, un ulteriore aspetto della duplicità fra realtà e apparenza, fra amore e inganno. Ma il braccio che con le dita della mano sollecita il capezzolo del seno destro, fa una scelta sessuale di sollecitazione erotica nei confronti di Venere, sebbene anche qui con una intenzionalità ingannevole, quella di distrarre la dea per derubarla. Poi vi sono simboli dell'amore erotico: la pianta di mirto, i colombi, soprattutto il cuscino rosso, colore della passione cui si inginocchia Cupido e lo stesso arrossamento della guancia del giovane dio. Complesso è l'abbraccio: si tratta di un intreccio a croce ( la crux gammata ) a tre bracci fra il dio e la dea. Un intreccio del tutto funzionale a rappresentare l'inversione, l'amore e l'inganno: da una parte, con un braccio Venere sfila una freccia dalla faretra di Cupido e lo distrae fingendo un bacio sulla sua bocca, dall'altro Cupido distrae Venere toccandole il capezzolo con le dita e fingendo di baciarla e di accarezzarla alla nuca, mentre in realtà le ruba la collana dell'acconciatura. Gli altri elementi dell'inganno e comuni col Pontormo, come abbiamo detto, sono le maschere. La maschera è il contrario del volto, o meglio è il doppio del volto; mostra, dell'uomo, un altro da sé. In teatro la maschera ( persona in latino ) è indossata dall'attore che interpreta il personaggio ( etimologicamente per-sonam indica non solo la maschera, ma anche la sua antica funzione di oggetto di risonanza o di amplificazione della voce ). Come identità diversa da quella che è, la maschera mostra un altro io e un'altra realtà, quindi può essere simbolicamente immagine dell'apparenza che si oppone alla realtà, evidenzia, cioè l'inganno ( è ancora significativo che nell'antico teatro ellenistico-latino, l'attore, che nel teatro classico era chiamato hupokrites, viene chiamato hipokrites, che significa, più o meno, parlare sotto , termine che trasmigra nella cultura giudaico-cristiana ad indicare anche l' ipocrita , colui che non è, il falso ). Come simbolo, dunque, la maschera indica chiaramente l'inganno, la falsità. Le maschere erano comuni nel carnevale e nel teatro di strada rinascimentale. Talvolta le maschere e i mascheroni appaiono come elementi decorativi propri dell'età manierista, ma anche come elementi di simbolo ( non indicano solo l'inganno, ma anche la commedia e la tragedia, il riso e il dolore ). La maschera ha valore moraleggiante e alcune iscrizioni compaiono in dipinti proprio accanto a maschere: " ogni cosa, quaggiù passa e non dura ". Ma ha anche valore emblematico, ad esempio come la maschera dipinta da Ridolfo del Ghirlandaio, accompagnata dal motto latino " sua cuique persona" (" ognuno ha la sua maschera" ). L'olio risale al 1510 e mostra due figure allegoriche contrapposte in figura di leone ( simbolo di forza e ferocia ) con code serpentiformi intrecciate e che posano le zampe su due maschere. Sopra, in alto, invece, abbiamo due delfini ( amici dell'uomo ) contrapposti con le code che sono intrecciate al centro ( forse indicano unità strategica, o volontà strategica ) dove compare in una piccola figura il muso di una volpe ( l'astuzia ), sopra di essa una fiaccola che allude simbolicamente alla vita. La " golpe et il lione " rimandano ad espressioni machiavelliane e forse sono un'allegoria del pensiero che Machiavelli illustra nel Principe. La vita, forse quella politica, è stretta e dominata dalla forza bruta e dall'astuzia e in essa nessuno mostra ciò che veramente è, ma solo la sua apparenza. La maschera è quindi, emblematicamente, proprio in questa figurazione prettamente toscana fra Ridolfo del Ghirlandaio e Machiavelli, immagine dell'inganno. E in questo senso, non però di quello politico, bensì di quello dell'amore, è ripresa dal toscano Bronzino.
Le due personificazioni allegoriche di sinistra rappresentano, secondo le più accreditate interpretazioni, la Verità ( sopra ) e la Disperazione ( sotto ). La Verità è una donna con la maschera tragica che svela l'inganno d'amore. Ad impedirle di mostrarlo, come abbiamo detto, è il Padre Tempo che reagisce con ira a ciò che deve fare il suo corso temporale. Il legame semantico fra Verità e Tempo è attestato dalla celebre frase di Aulo Gellio, Veritas filia temporis ( la verità è figlia del tempo ), ad indicare che prima o poi la verità viene rivelata. Un'altra interpretazione allegorica vuole che questa figura indichi la Notte e che quindi voglia velare la scena d'amore e non svelare la verità dell'inganno. Ma sul fatto che si tratti della Verità che vuole scoprire l'inganno d'amore ( la maschera tragica indica l'inganno ) , non mi sembra che vi siano dubbi. La figura in basso è stata interpretata anche come le Gelosia o, addirittura come la Sifilide ( che è appunto una malattia dell'amore sensuale, venerea e che ne mostri gli effetti ). Ma anche qui non vi sono dubbi, indica la Disperazione, che è l'effetto immediato del disinganno, della verità. L'iconografia toglie ogni perplessità, infatti Bronzino ha ripreso un'immagine allegorica di Durer, nota come L'uomo disperato, un'acquaforte del 1501 che faceva parte di una serie di incisioni su temi di riflessione come la malinchonia ( che qui sarebbe rappresentata nello stadio più tragico ), dedicati a Michelangelo.
Come possiamo vedere, sia pure non in modo iconograficamente identico, il personaggio del Bronzino riprende l'atteggiamento di disperazione figurato dall'artista tedesco in modo però più accentuato grazie all'espressione quasi demoniaca con la bocca spalancata, le due mani che si incrociano sul volto, il colore livido, verdastro ( quindi bilioso ) della pelle. La bocca aperta e gli occhi disperati sono aspetti figurativi anche dell' immagine dell'Ira , presente in molti dipinti, ad esempio nell' Ira ( o la zuffa ) di Dosso Dossi, del 1515-16, della Fondazione Cini di Venezia ( la donna in rosso ricamato di nero con copricapo verde ). Una recente, suggestiva, ma ardua, interpretazione del dipinto ( Belardinelli, 2013 ), vuole che il dipinto alluda al dramma di Elena di Troia ( il pomo d'oro, in mano a Venere allude al Giudizio di Paride che a sua volta richiama il legame con Elena che, durante la Guerra di Troia che lei stessa ha causato, dichiara che non vorrebbe essere mai nata né seguire Paride ). La donna con la maschera tragica non è Elena, ma alluderebbe alla sua tragedia e il tentativo di coprire con il telo blu o della notte è il tentativo pietoso di nascondere ciò che sta accadendo, ostacolato dal Padre Tempo che è consapevole che nulla può essere fermato perché il tempo scorre via come la sabbia nella clessidra che il vecchio porta sulle spalle. Dice Elena nella tragedia di Euripide: " E molte vite sono morte per me sullo Scamandro e io, che pure tanto ho sofferto sono maledetta, ritenuta da tutti traditrice di mio marito e rea di aver acceso una guerra tremenda per la Grecia" ( Euripide, Elena,502-505 ). Nella tragedia però Elena non è colpevole, vive nascosta in Egitto, con peso delle accuse mosse verso di lei; però nelle Troiane, lo stesso Euripide la considera meretrice, traditrice del marito Menelao per scappare con Paride ( al quale Elena, la più bella delle donne, era stata promessa da Afrodite ) e causare, così, la Guerra di Troia. Elena vorrebbe abbracciare le Virtù e allontanare i Vizi impedendo che la Guerra si compia inesorabile. Ma l'amore è ingannatore ( le maschere ) e dietro la seducente dolcezza ( la giovane porge il favo di miele ), mostra di possedere due aspetti pericolosi, l'illusione ( la Chimera, negli arti inferiore della giovane ) e l'inganno traditore ( lo scorpione, tenuto nell'altra mano dalla giovane, nella coda ha il veleno ). Come afferma il Belardinelli quattro sensi figurati sono la causa del tradimento di Elena e contribuiscono a renderlo possibile con la sfrenata evvitazione: la vista ( la nudità dei due amanti, Venere e Cupido ) l'olfatto ( il profumo delle rose ), il gusto ( il favo di miele ), l'udito ( la sonagliera o campanello ). Questa situazione fa si che Paride ed Elena, come promesso da Venere in cambio del pomo d'oro, cadano l'uno nelle braccia dell'altro e da qui si sviluppa l'inganno amoroso, la tragedia, la disperazione, i lutti, la Guerra di Troia. Ed Elena che ha provocato, forse suo malgrado tutto quanto, cerca di rimediare nascondendo al mondo la sua azione, ma il Tempo, irritato, lo impedisce: nulla può essere nascosto o impedito, ogni cosa deve fare il suo corso, bella o pessima che sia. Si tratta di una interpretazione ardua, appunto, che si basa su alcuni particolari non propriamente forti, anche se un discorso allegorico nel senso del mito vi può essere allestito. Quello che ci resta è, al di là delle interpretazioni più o meno forzate, la straordinaria eleganza formale del dipinto, l'ordine perfetto, neoplatonico delle forme ideali, dei gesti, degli sguardi, delle espressioni ( un gioco incredibile di aspetti contrastanti, di forse che si attraggono e si respingono ), il coinvolgimento emotivo di uno sguardo, quello dello spettatore, eccitato ed emozionato, ma anche prudente e attento di fronte alla scena degli inganni e delle finzioni, delle angosce e dei dolori, provocati dall'amore. |
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