La vampira
Edvard Munch, Vampiro, 1893-1894 Nasionalgalleriet, Oslo
" I suoi capelli rosso sangue si erano impigliati in me, si erano avvolti intorno a me come serpenti rosso sangue, i loro lacci più sottili si erano avvolti intorno al mio cuore",
Edvard Munch, Diario. In Scritti sull'arte e sull'amore, 2002.
Edvard Munch, Diario. In Scritti sull'arte e sull'amore, 2002.
Edward Munch, Vampiro, 1893-94, Nasionalgalleriet, Oslo |
In un angusto ambiente scuro emergono da una massa bituminosa due figure colorate in cui spicca il colore pallido della carne femminile ed i suoi capelli rosso sangue che scivolano in basso sul corpo dell'uomo alla ricerca di un rifugio nel grembo femminile e che lo comprendono a sinistra e destra delle spalle come se aderissero incollati o a ventosa come i tentacoli di un polpo. L'abbraccio fra i due amanti non ha nullo di tenero o di passionale, l'uomo nasconde il suo volto angosciato con gli occhi spalancati di insonne, fra le braccia apparentemente morbido e protettivo della donna, ma alla fine per nulla consolatorio, ma di fatto freddo e sinistro, come il piegarsi del volto con le labbra che non sono protese in un bacio, bensì sono lì per aprirsi e mostrare i denti di un vampiro pronto a succhiare non solo il sangue dell'uomo, ma la sua vitalità residua. La figura femminile, se ad un primo sguardo sembra assumere un aspetto di protezione e di benevolenza, in realtà è una figura mostruosa ed ossessionante che mostra tutto il suo aspetto devastante. A Munch erano giunte, attraverso la cultura romantico gotica, leggende del folklore serbo, ungherese, rumeno, sui vampiri, come egli aveva potuto accostarsi al racconto breve di Jon Polidori, Il Vampiro , del 1819 e al lungo serial's letterario attribuito a James Malcom Rymer o a Thomas Preskett Prest, Il Vampiro o Il banchetto di sangue, del 1845 molto ricco di illustrazioni, nelle pubblicazioni a puntate. Antecedenti letterari del famoso Dracula di Brian Stoker, pubblicato tre anni dopo il dipinto di Munch, nel 1897. Ma l'idea della donna-vampiro viene sia dalla tradizione del demone-donna della religione mesopotamica, Lilith, sia dall'immagine della strega o lamia e dalla figura-mito dell'Arpia. Nella cultura religiosa ebraica Lilith era conosciuta come la prima compagna di Adamo al quale si era ribellata per non sottostare al suo dominio di maschio e per questo scacciata dall'Eden prima di Eva. Per questo motivo, negli ambienti del proto femminismo e nelle religioni neo pagane, Lilith era il costante punto di riferimento della rivolta della donna contro il potere maschilista e fallocratico. Insomma era una donna demone ed una donna dominante, la figura tipica della femme fatale che si era imposta quasi come un incubo ( o meglio un succubo, versione femminile dell'incubo ) in tutta la cultura della fine dell'Ottocento. Lilith era vista come vampira nel suo aspetto più terribile di demone e strega e di succubo, che entrava di notte nelle stanze degli adolescenti, si infilava nel loro letto per succhiarne il seme o che, sempre di notte, si posava sui bambini e ne succhiava il sangue. Un'altra immagine di Lilith era quella che associava la sua figura nuda femminile al serpente tentatore, al diavolo, secondo la leggenda che voleva rapporti sessuali fra Lilith ed il diavolo ( anche l'immagine del serpente con la testa di donna, molto rappresentata nei dipinti del Peccato Originale , come nell'affresco di Michelangelo nella volta della Sistina, proveniva da questa leggenda ). In questo senso l' aveva dipinta il pittore preraffaellita John Collier nel 1892, in cui colpiscono i lunghi capelli e il serpente che avvolge il corpo nudo della donna.
John Collier, Lilith, 1892, The Athkinsn Art Gallery, London
Edward Munch, L'Arpia, 1899, Munch Museet di Oslo
La visione della donna, in Edward Munch, è condizionata dal senso di attrazione-repulsione di fronte al mistero della sua sessualità nei confronti della quale l'uomo risulta essere sempre disarmato se non addirittura succube. Di fatto, nei quadri in cui la femme fatale fa la sua comparsa, possiamo vedere come nell'immaginario del pittore compaiono anche simboli che servono ad illustrare il senso di disagio e di smarrimento di fronte ad un essere con connotazioni ora mostruose ora demoniache ( il vampiro, l'arpia ). Si tratta di soluzioni figurative necessarie a fornire chiavi interpretative di una presenza inquietante, ma anche necessarie a sondare la psiche del rapporto amoroso, non disponendo il pittore di strumenti psicoanalitici di tipo freudiano ancora di là da venire. In realtà il suo rapporto con l'essere femminile è però più complesso, in quanto la femme fatale rappresenta un solo aspetto, sia pure molto rilevante, del rapporto instaurato fra uomo e donna. La coppia non è mai vista da Munch in una visione serena, vi è sempre un senso di incertezza, di ambiguità, di freddezza. Non vi è la rappresentazione di un sentimento condiviso e sottolineato da elementi figurativi positivi, da immagini di natura luminosa o di interni accoglienti e caldi. Gli stessi colori che illustrano la figurazione della coppia in Munch presentano una tavolozza di toni freddi, di azzurri ghiacciati, di gialli smorti, di incarnati pallidi, di bruni e neri mortuari, senza contare l'inquietante rosso sangue. Quello che spesso vediamo, nella illustrazione della coppia è l'idea della fusione dei corpi, ma non si tratta di una fusione che vuole essere una metafora dell'unione passionale o erotica, ma di una fusione che tende a sottolineare un senso di scioglimento, di liquefazione, del perdersi delle forme in un tutto indistinto. Guardiamo ad esempio Il bacio e una finestra. Ne esistono due famose versioni : nella prima, una coppia di amanti, racchiusa in un locale stretto ed intimo, si abbraccia non tanto con passione quanto, sembra, con un afflato compulsivo, una specie di tensione che sta fra la disperazione e l'erotismo. Sulla sinistra si vede una finestra che si affaccia sulla strada sottostante, dove vi sono delle vetrine e degli appartamenti con la luce accesa. La finestra ha una leggera tendina trasparente di colore celeste che fornisce un senso di leggerezza e di precarietà. Ma possiamo dire che l'insieme dell'ambiente e della strada è tutto avvolto in un colore celestino e azzurrino con una serie di viraggi che arrivano al blu e all'indaco.
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Edward Munch, Il bacio con la finestra, 1892, Museet for Kunst, Oslo
Questo insieme a dominante azzurra fornisce un senso generale di freddezza, come se l'interno e la coppia stessa fossero investiti da un vento gelido. L'uomo, con la giacca blu ed il colletto bianco, la testa solo leggermente spostata in avanti bacia sulle labbra una donna dal volto indistinguibile che nasconde il suo volto dietro a quello dell'amante. Non abbiamo qui una donna conquistatrice, dominatrice, vampira, ma una donna che si perde in un abbraccio che, però, per lei, non è mai di vero coinvolgimento, è come una perdita progressiva dei sensi. C'è in questa tensione dell'abbraccio un altro aspetto della poetica dei due sessi amanti di Munch, il desiderio e la paura di amare. L'abbraccio non è mai un perdersi totalmente dei sensi, non è un'attrazione, ma è quasi un rifugio, un'ultima possibilità prima della caduta. In un'altra versione questo aspetto della fusione di due anime disperse, è ancora più evidente. Abbiamo un ambiente ancora più ristretto evidenziato dal formato lungo, i due amanti sono in posizione centrale. La finestra è alle loro spalle, ma mostra solo una parte della tendina e nulla di ciò che è fuori. Uno spicchio di luce viva si mostra a sinistra in basso della finestra e pentra nell'ambiente angusto senza dare né luce né calore. I due amanti sono abbracciati in modo che sembra che fondano l'uno nel corpo dell'altro, ma è una fusione fredda, gelida, come delle increspature di acqua che si raffreddano e si congelano sopra le teste dei due.
seno, contrasta con il senso di abbandono quasi mortuario o comunque di una situazione di complessità sanitaria minata dalla presenza dell'alcool, come si può vedere dalle bottiglie di liquori vuote che si vedono sul tavolinetto della piccola stanza, forse d'albergo. Possiamo pensare ad un suicidio di una donna di piacere? o a quello di una donna che si è arresa alla vita e che non riesce più a trovare né la gioia, né il piacere? In ogni caso resta il contrasto vita-malattia ( sensualità-morte ), che ancora una volta ritorna nella poetica del pittore, come se nella ricerca del piacere estremo ci si accosti senza tregua, né speranza, alla fine. Qui il giorno dopo non è quello dell'amaro risveglio, è quello della fine della vita: la luce non scopre una donna soddisfatta dopo una notte d'amore, scopre un cadavere, una donna che ha perduto la sua scommessa con la vita che aveva scelto di fare.
autori scandinavi, ad esempio in Strindberg e soprattutto in Ibsen. L'analisi non solo di una condizione in senso generale e sociale ( una considerazione diversa, ad esempio di quei critici che vedono nella natura del pittore un qualcosa di misogino, che è propriamente errata o fuorviante ). L'analisi introspettiva sub specie pictura è vista attraverso, come già accennato attraverso aspetti mitici donna-arpia, donna-vampiro, sviluppati sulla scorta di strumenti letterari e dell'immaginario simbolico, o donna-sfinge, intendendo, in questo modo, una figura enigmatica, misteriosa, che necessità di una complessa interpretazione che per Munch è essenzialmente evolutiva : la donna attraverso stadi diversi della sua vita e della sua psiche. In un dipinto come La donna in tre fasi, la sfinge, un olio del 1894 che sembra essere un manifesto programmatico, possiamo vedere come l'aspetto e la differenziazione della donna in tre fasi enigmatiche ( la sfinge ), esprimono in pieno l'intenzione del pittore di sondare le personalità, le espressioni corporee e gestuali, gli atteggiamenti, della donna come essere misterioso, non facilmente comprensibile, al quale si rapporto un uomo sconcertato e angosciato:
In tre spazi allineati in piano, si vedono tre donne in espressioni corporee diverse : " quella scura che sta fra i tronchi degli alberi- chiariva Munch ad Erich Ibsen che era venuto a visitare l'esposizione del Ciclo della Vita nel 1899 - è la suora-sorta di ombra della donna-tristezza e morte-e la nuda è una donna col gusto per la vita, La pallida bionda che cammina verso l'oceano, l'eternità-è la donna dello struggimento" . Più che tre diverse donne, tre diverse personalità della donna. Come ha chiarito Melania Mazzucco su La Repubblica, illustrando questo dipinto, il dipinto era venuto in mente al pittore dopo la lettura e forse anche la visione teatrale, del dramma di Gunnar Heiberg, Il Balcone, in cui la protagonista si mostra ai suoi tre amanti in tre diverse personalità. Heiberg era un drammaturgo norvegese di scuola ibseniana il che dimostra come intorno alle opere di Munch ci fosse una circolazione di tematiche del teatro espressionista e come del resto, la stessa arte espressionista di Munch potesse fornire temi alla drammaturgia. Lo stesso Ibsen, infatti ricavò da questo dipinto il dramma Noi morti che ci destiamo, che è del 1899,pubblicato e rappresentato, proprio dopo l'Esposizione. E se guardiamo anche il dipinto, una certa atmosfera ibseniana, con quelle aurore boreali dell'Oceano Glaciale Artico, con quel desiderio di liberazione, con la mesta solitudine e tristezza, non ci richiamo forse La donna del Mare, Casa di Bambola, Hedda Gabler che portavano allo scoperto la società maschilista tardo ottocentesca e il desiderio della donna di trovare una sua indipendenza ? L'enigma femminile, dicevamo. Qui, sulla sinistra, davanti al mare, di profilo, vestita di bianco con un bouquet in mano come una sposa, è la donna virginea e angelicata, al centro, con le gambe aperte a compasso, nuda, trasudante erotismo, è la donna sensuale che attrae e respinge ( l'unica che guarda verso lo spettatore con un sorriso ironico e sfottente ), a destra la donna in nero, mesta, in lutto, triste, ritta e immobile come un manichino. All'estrema destra scorgiamo, in una posizione di squilibrio, angosciato e smarrito l'uomo che ha in mano una specie di fiore di sangue, che è in contrapposizione con i fiori del bouquet, della donna-angelo a sinistra. Questo dipinto che faceva parte con altri del "Fregio della Vita", porta all'Esposizione un cartello con un sottotitolo significativo: " Tutte le altre sono una, tu sei mille " . Un titolo che indicava se ancora ve ne fosse bisogno l'enigma femminile in tutta la sua pregnanza. Fra i dipinti del Fregio riuniti per dare un forte significato alle problematiche singole della vita, dell'eros e della morte, dipinte in quegli anni dal pittore, vi era insieme all' Urlo e al Vampiro, che segnano fortemente la presenza pittorica espressionista dell'angoscia, vi era anche il famoso la Danza della Vita. Come ha spiegato Fiorella Nicosia in una monografia su Munch, l'ispirazione generalizzante del soggetto derivava da una illustrazione del ballo della Notte di San Giovanni che si teneva a Asgordstrand, la notte più breve, la notte delle streghe. Scrive Munch nel suo Diario " Ballavo con il mio primo amore, era un ricordo di lei. Arriva la donna sorridente, dai riccoli biondi: vuole portare via il fiore dell'amore, non consentendo tuttavia a sé stessa di essere colta. Passando all'altra parte lui appare vestito di nero mentre osserva afflitto la coppia che balla, così io sono stato escluso dalla mia danza" :
Edward Munch, Danza della Vita, 1899-1900, Nasjonalgallerie, Oslo
Nel dipingere Munch non rappresentava la forma secondo i canoni della tradizione accademica, non attribuiva il colore a referenti naturali, ma forniva alle immagini il loro valore espressionistico, per cui i segni e i colori esprimevano valori e sensazioni interiori al di là delle forme e delle regole. Si dice che la sua sia una pittura del ricordo, ma nel senso che è una pittura che scava nell'interiorità per esprimere pallide e sfuocate immagini di dolore e di morte, quelle che segnarono la triste vita del grande pittore norvegese. Non ci si faccia ingannare dal verde prato primaverile, con i fiori a sinistra, né dall'apparente festosità della danza con i contrasti cromatici che non sono espressioni di pienezza di vita, ma dei contrasti, dei dolori, dell'angoscia del vivere. Al centro una coppia balla apparentemente serena. In realtà l'uomo in nero è triste e funereo e la donna è vestita con un abito rosso, il colore del sangue che si riversa in basso sul prato verde, che è anche simbolo della speranza, invadendolo come un'onda. A sinistra avanza una donna vestita in bianco, sorridente, con i riccioli biondi, una donna già adulta, già piena di sensualità, il cui abito bianco, simbolo di purezza è attraversato da macchie marroncine. E' forse la stessa donna in un'altra fase, quella dell'età matura della sessualità, come a destra, la donna in nero, funerea è la donna della morte, della fine della vita che guarda l'ignara coppia con un senso di dolore, di mestizia, di angoscia. La danza della vita è conclusa: amore-sesso-morte. Forse solo in fondo, nelle coppie che danzano, vestite di bianco le donne, di nero gli uomini, c'è un incontro nell'orizzonte dell'esistenza, ma ai margini, lontano, estraneo, dagli altri: la vita del pittore è davanti a stabilizzarsi nella coscienza e nel ricordo. Sullo sfondo, all'orizzonte, si vede un simbolo, un fascio di luce forse, una forma fallica, più probabile, che esce dal mare o penetra in esso, nell'acqua che è simbolo femminile. E' insomma l'eros, il momento in cui l'uomo si misura con se stesso e con la propria coscienza: il momento che dà vita alla nascita e alla morte, all'inizio ed alla fine, ma anche il momento in cui l'uomo adulto si misura con una donna ambivalente, ora sicura di sé, ora fragile, ora carica di eros e di malvagità, ora dolce e tiepida, in cerca di un abbraccio e di un bacio che possa fonderla con l'uomo in un tutto unico, in una ricerca comune della vita. Nemmeno l'incontro con quella che pensava potesse essere la donna della sua vita placa la sua angoscia, rifiuterà di sposarsi, di continuare ad amare convinto che la sua esistenza tragica non potrà che tenerlo lontano per sempre dalla felicità. Si chiuderà sempre di più in se stesso con le ombre ed i fantasmi del suo passato sempre più in preda della schizofrenia. Una vita di angoscia, quella di Munch, alla ricerca di se stesso, in fuga dal passato eppure in costante ricerca del ricordo , della necessità di visualizzazione del ricordo, di un legame con la propria esistenza tragica, si può dire sin dall'inizio del suo manifestarsi e di uno sviluppo analitico del passato : " Ho ricevuto in eredità due dei più terribili nemici dell'umanità: la tubercolosi e la malattia mentale ( malattie di famiglia, delle sorelle, della madre, del padre ). La follia e la morte erano gli angeli neri che si affacciarono sulla mia culla" .
Bibliografia: Eva di Stefano, Munch, Arte e Dossier, 2006, Giunti G. Bruno, S. Ferrari,L.Trabucco, Tra vita e follia: follia e morte in Edward Munch, 2008 Marco Chiarini, a c. Edward Munch, catalogo della Galleria Nazionale di Oslo, 2012 Arte e pazzia, Munch, www. zoom.it Enrico da Congo Marco Fagioli, Edward Munch, Giunti, Firenze 2008 Fiorella Nicosia, Edward Munch, Giunti, Firenze, 2003 www, Wikipedia, Munch e singole opere. |
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