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mercoledì 2 ottobre 2013

La Vampira






                                             La vampira

                                                            
                                      Edvard Munch, Vampiro, 1893-1894 Nasionalgalleriet, Oslo


" I suoi capelli rosso sangue si erano impigliati in me, si erano avvolti intorno a me come serpenti rosso sangue, i loro lacci più sottili si erano avvolti intorno al mio cuore",
Edvard Munch, Diario. In Scritti sull'arte e sull'amore, 2002.




Edward Munch, Vampiro, 1893-94, Nasionalgalleriet, Oslo

                   


                    In un angusto ambiente scuro emergono da una massa bituminosa due figure colorate in cui spicca il colore pallido della carne femminile ed i suoi capelli rosso sangue che scivolano in basso sul corpo dell'uomo alla ricerca di un rifugio nel grembo femminile e che lo comprendono a sinistra e destra delle spalle come se aderissero incollati o a ventosa come i tentacoli di un polpo. L'abbraccio fra i due amanti non ha nullo di tenero o di passionale, l'uomo nasconde il suo volto angosciato con gli occhi spalancati di insonne, fra le braccia apparentemente morbido e protettivo della donna, ma alla fine per nulla consolatorio, ma di fatto freddo e sinistro, come il piegarsi del volto con le labbra che non sono protese in un bacio, bensì sono lì per aprirsi e mostrare i denti di un vampiro pronto a succhiare non solo il sangue dell'uomo, ma la sua vitalità residua. La figura femminile, se ad un primo sguardo sembra assumere un aspetto di protezione e di benevolenza, in realtà è una figura mostruosa ed ossessionante che mostra tutto il suo aspetto devastante. A Munch erano giunte, attraverso la cultura romantico gotica, leggende del folklore serbo, ungherese, rumeno, sui vampiri, come egli aveva potuto accostarsi al racconto breve di Jon Polidori, Il Vampiro , del 1819 e al lungo serial's letterario attribuito a James Malcom Rymer o a Thomas Preskett Prest, Il Vampiro o Il banchetto di sangue, del 1845 molto ricco di illustrazioni, nelle pubblicazioni a puntate. Antecedenti letterari del famoso Dracula di Brian Stoker, pubblicato tre anni dopo il dipinto di Munch, nel 1897. Ma l'idea della donna-vampiro viene sia dalla tradizione del demone-donna della religione mesopotamica, Lilith, sia dall'immagine della strega o lamia e dalla figura-mito dell'Arpia. Nella cultura religiosa ebraica Lilith era conosciuta come la prima compagna di Adamo al quale si era ribellata per non sottostare al suo dominio di maschio e per questo scacciata dall'Eden prima di Eva. Per questo motivo, negli ambienti del proto femminismo e nelle religioni neo pagane, Lilith era il costante punto di riferimento della rivolta della donna contro il potere maschilista e fallocratico. Insomma era una donna demone ed una donna dominante, la figura tipica della femme fatale che si era imposta quasi come un incubo ( o meglio un succubo, versione femminile dell'incubo ) in tutta la cultura della fine dell'Ottocento. Lilith era vista come vampira nel suo aspetto più terribile di demone e strega e di succubo, che entrava di notte nelle stanze degli adolescenti, si infilava nel loro letto per succhiarne il seme o che, sempre di notte, si posava sui bambini e ne succhiava il sangue. Un'altra immagine di Lilith era quella che associava la sua figura nuda femminile al serpente tentatore, al diavolo, secondo la leggenda che voleva rapporti sessuali fra Lilith ed il diavolo ( anche l'immagine del serpente con la testa di donna, molto rappresentata nei dipinti del Peccato Originale , come nell'affresco di Michelangelo nella volta della Sistina, proveniva da questa leggenda ). In questo senso l' aveva dipinta il pittore preraffaellita John Collier nel 1892, in cui colpiscono i lunghi capelli e il serpente che avvolge il corpo nudo della donna. 

                                                      
                                                       John Collier, Lilith, 1892, The Athkinsn Art Gallery, London


Non era propriamente questa l'idea che serviva a Munch, sebbene colpiscono i lunghi capelli biondi ( in altre Lilith sono lunghi e rosso sangue come in quelli che vediamo nel Vampiro ) ; il pittore era soprattutto interessato alla donna non solo sensuale, ma anche dominatrice e devastante. A tale proposito in una litografia a colori aveva espresso l'idea della donna- mostro raffigurando un'arpia ( gli uccelli da rapina col volto di donna che sono posti a guardia della porta infernale e vengono descritti anche da Virgilio a proposito dell'ingresso nell'Ade, dove sono pronte a rapire l'anima di chi giunge ) , la quale sta per ghermire un uomo disposto in orizzontale, come fosse morto, ridotto allo stato di scheletro eppure che presenta ancora bagliori di vita, come i capelli neri, le basette, le labbra socchiuse e gli occhi chiusi che sembrano quelli di chi dorme. L'arpia presenta una certa ambiguità perché da una parte ha il volto di una donna che appare partecipe nel guardare il corpo scheletrito dell'uomo, quasi commossa, rattristata, ma dall'altra mostra gli artigli che sono pronti a ghermire la povera vittima.



Edward Munch, L'Arpia, 1899, Munch Museet di Oslo




La visione della donna, in Edward Munch, è condizionata dal senso di attrazione-repulsione di fronte al mistero della sua sessualità nei confronti della quale l'uomo risulta essere sempre disarmato se non addirittura succube. Di fatto, nei quadri in cui la femme fatale fa la sua comparsa, possiamo vedere come nell'immaginario del pittore compaiono anche simboli che servono ad illustrare il senso di disagio e di smarrimento di fronte ad un essere con connotazioni ora mostruose ora demoniache ( il vampiro, l'arpia ). Si tratta di soluzioni figurative necessarie a fornire chiavi interpretative di una presenza inquietante, ma anche necessarie a sondare la psiche del rapporto amoroso, non disponendo il pittore di strumenti psicoanalitici di tipo freudiano ancora di là da venire. In realtà il suo rapporto con l'essere femminile è però più complesso, in quanto la femme fatale rappresenta un solo aspetto, sia pure molto rilevante, del rapporto instaurato fra uomo e donna. La coppia non è mai vista da Munch in una visione serena, vi è sempre un senso di incertezza, di ambiguità, di freddezza. Non vi è la rappresentazione di un sentimento condiviso e sottolineato da elementi figurativi positivi, da immagini di natura luminosa o di interni accoglienti e caldi. Gli stessi colori che illustrano la figurazione della coppia in Munch presentano una tavolozza di toni freddi, di azzurri ghiacciati, di gialli smorti, di incarnati pallidi, di bruni e neri mortuari, senza contare l'inquietante rosso sangue. Quello che spesso vediamo, nella illustrazione della coppia è l'idea della fusione dei corpi, ma non si tratta di una fusione che vuole essere una metafora dell'unione passionale o erotica, ma di una fusione che tende a sottolineare un senso di scioglimento, di liquefazione, del perdersi delle forme in un tutto indistinto. Guardiamo ad esempio Il bacio e una finestra. Ne esistono due famose versioni : nella prima, una coppia di amanti, racchiusa in un locale stretto ed intimo, si abbraccia non tanto con passione quanto, sembra, con un afflato compulsivo, una specie di tensione che sta fra la disperazione e l'erotismo. Sulla sinistra si vede una finestra che si affaccia sulla strada sottostante, dove vi sono delle vetrine e degli appartamenti con la luce accesa. La finestra ha una leggera tendina trasparente di colore celeste che fornisce un senso di leggerezza e di precarietà. Ma possiamo dire che l'insieme dell'ambiente e della strada è tutto avvolto in un colore celestino e azzurrino con una serie di viraggi che arrivano al blu e all'indaco.



     
Edward Munch, Il bacio con la finestra, 1892, Museet for Kunst, Oslo



Questo insieme a dominante azzurra fornisce un senso generale di freddezza, come se l'interno e la coppia stessa fossero investiti da un vento gelido. L'uomo, con la giacca blu ed il colletto bianco, la testa solo leggermente spostata in avanti bacia sulle labbra una donna dal volto indistinguibile che nasconde il suo volto dietro a quello dell'amante. Non abbiamo qui una donna conquistatrice, dominatrice, vampira, ma una donna che si perde in un abbraccio che, però, per lei, non è mai di vero coinvolgimento, è come una perdita progressiva dei sensi. C'è in questa tensione dell'abbraccio un altro aspetto della poetica dei due sessi amanti di Munch, il desiderio e la paura di amare. L'abbraccio non è mai un perdersi totalmente dei sensi, non è un'attrazione, ma è quasi un rifugio, un'ultima possibilità prima della caduta. In un'altra versione questo aspetto della fusione di due anime disperse, è ancora più evidente. Abbiamo un ambiente ancora più ristretto evidenziato dal formato lungo, i due amanti sono in posizione centrale. La finestra è alle loro spalle, ma mostra solo una parte della tendina e nulla di ciò che è fuori. Uno spicchio di luce viva si mostra a sinistra in basso della finestra e pentra nell'ambiente angusto senza dare né luce né calore. I due amanti sono abbracciati in modo che sembra che fondano l'uno nel corpo dell'altro, ma è una fusione fredda, gelida, come delle increspature di acqua che si raffreddano e si congelano sopra le teste dei due.

Edward Munch, Il bacio ed una finestra,1897, Museet for kunst, Oslo

        I due volti sono entrambi indistinguibili, ne fanno uno senza connotati, un solo volto senza forma, segnatamente colorato di un giallino scuro uniforme.I due volti che si baciano sono così uniti nella forma unica che basta un solo orecchio, non due, per significare una medesima disponibilità ad ascoltare i soli propri respiri, anzi il solo respiro affannoso che non si sente; si badi, non è un respiro che sottolinea l’esistenza di un amplesso vissuto passionalmente, ma semmai di uno vissuto con angoscia; entrambi gli amanti vorrebbero unirsi in un ascolto che non possono avere, che resta distanziato ed impenetrabile come se vi fosse il vetro di quella finestra che separa dal           mondo   esterno. Un ascolto, dunque, della propria comune angoscia. E’ possibile che questo concetto sia derivato dall’angoscia esistenziale sviluppata, sul piano filosofico, da Soren Kiergkegaard ( 1813-1855 ) e ripresa nel concetto di malessere dell’anima, più proprio al carattere del male di vivere del tardo Ottocento e della borghesia in declino. Proprio questo aspetto dell’angoscia era stato espresso in un’altra rappresentazione di un senso che non può esprimere se stesso, ma solo un sesno di vuoto inarticolato e afono, come la famosissima bocca spalancata senza voce dell’arcinoto l’Urlo, del 1892, alla Nationalgalleriet di Oslo, che esprime meglio di ogni altro dipinto il senso dell’angoscia e che nasce da una personale esperienza del pittore : “« Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura. » ( Diario dall’ospedale psichiatrico S. Caterina presso Nizza ).   Il volto dell’uomo solitario sul ponte, oggi proprio icona dell’angoscia, calvo a lampadina, terreo, con quella grande impressionante bocca aperta come una porta aperta sull’inferno della condizione umana, non è molto diverso dai volti del Bacio e la finestra; al di là della folta capigliatura nera che unisce entrambi gli amanti come in un estremo tentativo di aggrapparsi alla giovinezza, i due volti hanno la stessa unitaria espressione folle e disperata di una bocca che non si vede perché unita anch’essa in un angosciante bacio. Anzi possiamo dire che L'Urlo anticipa i volti del Bacio, che sono si due, ma che si fondono in uno solo e conservano ancora il segno angosciante del precedente dipinto. Se guardiamo ne Il bacio ed una finestra le linee graffiate sulla veste e sotto la finestra, possiamo considerare come la nevrosi che aveva angosciato il padre ed ora aveva contagiato il figlio fosse espressa, figurativamente non solo dai volti, quanto anche dal nervosismo che doveva prendere l'artista durante i momenti in cui la malattia mentale lo agitava completamente ( i segni, prodotti dalla punta del pennello ne sono una chiara evidenza ). La rivelazione della sensualità della donna, uno degli aspetti del rapporto di osservazione e scavo interiore che il pittore compie sulle varie fasi dell'evoluzione e delle espressioni e forme della donna, aveva sempre angosciato il pittore che ne era rimasto impressionato sin nell'adolescenza e che poi aveva proseguito nell'esperienza della vita adulta nel contatto con le prostitute incontrate nei bordelli, nelle camere d'albergo, nei pub e portate nel suo studio anche come modelle. Un'esperienza erotica intensa ma non positiva, non gratificante, ma dolorosa come scoperta e come confronto e nello stesso rapporto sessuale che non  è mai tranquillo e pieno, ma tormentoso, attraente e castrante allo stesso tempo. Nella realizzazione della Madonna, la santa laica, la madre abortiva, la puttana, Munch mostra una femmina abbandonata in un apparente sonno voluttuoso ed estatico, come una Santa Teresa berniniana, che non nasconde però nessun infingimento religioso, ma rivela sin da subito tutte le sue realtà: dietro quell'abbandono vi è una nudità eccitante, pronta ad esprimersi nella sua pienezza erotica a prendere tutto e a divorarlo in un abbraccio potenziale. Aspettiamo solo che la donna muova il suo braccio ( la figura sembra statica, ma in realtà il pittore con le due braccia disposte in due angolazioni opposte, vuole suggerire un movimento doppio ) per stringere in una spira irresistibile e soffocante. E pur tuttavia, nel ventre leggermente prominente e sottolineato, posto al centro basso del dipinto, il pittore vuole porre un'attenzione diversa; diciamo un significato che si sovrappone al primo: quello della maternità che si contrappone all'eros sfrenato. Due aspetti contrapposti e non stesso tempo convergenti nello stesso corpo. Una madre che allude alla madre delle madri, alla Vergine Maria. Ma non si tratta qui di una madre santa, di una madre di dio, si tratta di una madre che è anche una puttana, di una donna che esprime un doppio significato: quello della maternità e del suo rifiuto, quello della famiglia e quello della prostituzione. Questo aspetto, con slittamento semantico verso il secondo, nel senso di un rifiuto della maternità, che preferisce al corpo da madre, quello da puttana, lo abbiamo in una litografia colorata a mano dello stesso soggetto che presenta una cornice chiara segnata da un giro di spermatozoi che appunto restano all'esterno, separati, esclusi, che non finiranno mai nella donna ; mentre in basso a sinistra vediamo un feto in un angolino che sembra nascondersi ed esprimere un senso di paura e di rifiuto; un feto espulso, un prodotto di un aborto. La madonna, in questa litografia ( si guardi in alto l'increspatura doppia sopra l'aureola che ricorda quella presente in Il Bacio ) che è prodotto destinato al mercato privato e non ad una esposizione pubblica, rifiuta il figlio ( ha una testa calva e allungata che ricorda, ancora una volta, l'uomo angosciato dell'Urlo ) e il figlio potenziale rifiuta lei, a favore di un altro tipo di amore, quello delle alcove, seduttivo e distruttivo allo stesso tempo. Gli spermatozoi rifiutati non sono i semi della vita in questa litografia e non sono nemmeno i segni del piacere e della sensualità estrema, sono solo i sdegni angoscianti di una vita rifiutata e malata. Sempre nel mondo della scoperta angosciosa della sensualità, vissuta sotto i segni dell'angoscia e della malattia, sono rivelati in altri quadri, come Il giorno dopo del 1895 , in cui la sensualità del corpo femminile è  evidenziata  dalla giovane donna sdraiata sul letto che una camicetta sottile aperta che mostra il   



Edward munch, Madonna, 1895, National Gallery of Norway, Oslo




Edward Munch, Madonna, Litografia colorata a mano, 1895, Nasionalgalleriet, Oslo

seno, contrasta con il senso di abbandono quasi mortuario o comunque di una situazione di complessità sanitaria minata dalla presenza dell'alcool, come si può vedere dalle bottiglie di liquori vuote che si vedono sul tavolinetto della piccola stanza, forse d'albergo. Possiamo pensare ad un  suicidio di una donna di piacere? o a quello di una donna che si è arresa alla vita e che non riesce più a trovare né la gioia, né il piacere? In ogni caso resta il contrasto vita-malattia ( sensualità-morte ), che ancora una volta ritorna nella poetica del pittore, come se nella ricerca del piacere estremo ci si accosti senza tregua, né speranza, alla fine. Qui il giorno dopo non è quello dell'amaro risveglio, è quello della fine della vita: la luce non scopre una donna soddisfatta dopo una notte d'amore, scopre un cadavere, una donna che ha perduto la sua scommessa con la vita che aveva scelto di fare.  


Edward Munch, Il Giorno dopo, 1895-96, Nasionalgalleriet,Oslo


In un altro dipinto il pittore ( è stato chiamato giustamente Il fotografo dell'anima ), osserva una adolescente nel periodo di passaggio dall'infanzia alla pubertà, quasi si scopre il proprio corpo e la donna ha il suo primo incontro con le mestruazioni, che sono di certo un segno di passaggio che spinge alla consapevolezza e alla meditazione su stessi e alla scoperta del proprio essere femmina che in Pubertà , del 1893, quasi un'anticipazione di Il giorno dopo ( nel dipinto sarebbe il giorno prima, due momenti temporali diversi segnati dal pessimismo e dallo sconforto: nel quadro del '93, il lettore potrà vedere come nella nudità acerba domina un rosato carnale segnato da presenze rigate di rosso, come il sangue, segno della malattia e della stessa sensualità in nuce, mentre in Il Giorno dopo si vede il contrasto fra il bianco della camicetta e del letto ed il nero dei capelli, della passata innocenza perduta in un destino di morte ). In Pubertà, la ragazza seduta sul letto, ha gli occhi grandi e spalancati e fissi, dà un senso di stupore e di angoscia insieme, siede su di un letto in cui è accentuato il colore bianco, che è sempre un simbolo di pulizia morale, di verginità, di purezza. Questo colore contrasta con il colore nero come un fumo denso che sembra sprigionarsi dalla stessa ragazza e che non  è propriamente un'ombra proiettata sulla parete, quanto una materializzazione di energia occulta e misteriosa, è un fantasma, il fantasma-incubo della vita prossima, piena di insidie e di contraddizioni, pronta ad aggredire, avvolgere, dissolvere, distruggere. L'ottica con la quale il pittore vede la donna è condizionata dalla nevrosi, Munch, come il padre subito dopo la morte della moglie, aveva vissuto una grave forma di nevrosi che gli limitava di molto i rapporti sociali; l'ottica è inoltre, come già accennato, ispirata dal doppio aspetto che la donna promuoveva verso il pittore: da una parte una visione angelicata, virginea, che era propria dei familiari, la madre, la sorella; da un'altra ancora e collegata a questa immagine positiva, l'aspetto mesto, funereo, triste, sentimentale della donna, che ha ancora rapporti col mondo familiare; all'opposto, invece la femmina, la donna che usa la sua sensualità come un mezzo per trascinare e ingannare, la donna che si esprime solo attraverso la sua carica erotica che non è propriamente una carica coinvolgente, serena, amorosa, ma è invece aggressiva, distruttiva, che respinge invece che attrarre. Nella sua visione il pittore sonda l'universo femminile che lo attrae e che è proprio dell'analisi    degli




Edward Munch, Pubertà, 1894-95, Galleria Nazionale di Oslo.
                     
autori scandinavi, ad esempio in Strindberg e soprattutto in Ibsen. L'analisi non solo di una condizione in senso generale e sociale ( una considerazione diversa, ad esempio di quei critici che vedono nella natura del pittore un qualcosa di misogino, che è propriamente errata o fuorviante ). L'analisi introspettiva sub specie pictura è vista attraverso, come già accennato attraverso aspetti mitici donna-arpia, donna-vampiro, sviluppati sulla scorta di strumenti letterari e dell'immaginario simbolico, o donna-sfinge, intendendo, in questo modo, una figura enigmatica, misteriosa, che necessità di una complessa interpretazione che per Munch è essenzialmente evolutiva : la donna attraverso stadi diversi della sua vita e della sua psiche. In un dipinto come La donna in  tre fasi, la sfinge, un olio del 1894 che sembra essere un manifesto programmatico, possiamo vedere come l'aspetto e la differenziazione della donna in tre fasi enigmatiche ( la sfinge ), esprimono in pieno l'intenzione del pittore di sondare le personalità, le espressioni corporee e gestuali, gli atteggiamenti, della donna come essere misterioso, non facilmente comprensibile, al quale si rapporto un uomo sconcertato e angosciato:



     
Edward Munch, La donna in tre fasi, la Sfinge, 1894, Kunstmuseum, Bergen
       
In tre spazi allineati in piano, si vedono tre donne in espressioni corporee diverse :  " quella scura che sta fra i tronchi degli alberi- chiariva Munch ad Erich Ibsen che era venuto a visitare l'esposizione del Ciclo della Vita nel 1899 - è la suora-sorta di ombra della donna-tristezza e morte-e la nuda è una donna col gusto per la vita, La pallida bionda che cammina verso l'oceano, l'eternità-è la donna dello struggimento" . Più che tre diverse donne, tre diverse personalità della donna. Come ha chiarito Melania Mazzucco su La Repubblica, illustrando questo dipinto, il dipinto era venuto in mente al pittore dopo la lettura e forse anche la visione teatrale, del dramma di Gunnar Heiberg, Il Balcone, in cui la protagonista si mostra ai suoi tre amanti in tre diverse personalità. Heiberg era un drammaturgo norvegese di scuola ibseniana il che dimostra come intorno alle opere di Munch ci fosse una circolazione di tematiche del teatro espressionista e come del resto, la stessa arte espressionista di Munch potesse fornire temi alla drammaturgia. Lo stesso Ibsen, infatti ricavò da questo dipinto il dramma Noi morti che ci destiamo, che è del 1899,pubblicato e rappresentato, proprio dopo l'Esposizione. E se guardiamo anche il dipinto, una certa atmosfera ibseniana, con quelle aurore boreali dell'Oceano Glaciale Artico, con quel desiderio di liberazione, con la mesta solitudine e tristezza, non ci richiamo forse La donna del Mare, Casa di Bambola, Hedda Gabler che portavano allo scoperto la società maschilista tardo ottocentesca e il desiderio della donna di trovare una sua indipendenza ? L'enigma femminile, dicevamo. Qui, sulla sinistra, davanti al mare, di profilo, vestita di bianco con un bouquet in mano come una sposa, è la donna virginea e angelicata, al centro, con le gambe aperte a compasso, nuda, trasudante erotismo, è la donna sensuale che attrae e respinge ( l'unica che guarda verso lo spettatore con un sorriso ironico e sfottente ), a destra la donna in nero, mesta, in lutto, triste, ritta e immobile come un manichino. All'estrema destra scorgiamo, in una posizione di squilibrio, angosciato e smarrito l'uomo che ha in mano una specie di fiore di sangue, che è in contrapposizione con i fiori del bouquet, della donna-angelo a sinistra. Questo dipinto che faceva parte con altri del "Fregio della Vita", porta all'Esposizione un cartello con un sottotitolo significativo: " Tutte le altre sono una, tu sei mille " . Un titolo che indicava se ancora ve ne fosse bisogno l'enigma femminile in tutta la sua pregnanza. Fra i dipinti del Fregio riuniti per dare un forte significato alle problematiche singole della vita, dell'eros e della morte, dipinte in quegli anni dal pittore, vi era insieme all' Urlo e al Vampiro, che segnano fortemente la presenza pittorica espressionista dell'angoscia, vi era anche il famoso la  Danza della Vita. Come ha spiegato Fiorella Nicosia in una monografia su Munch, l'ispirazione generalizzante del soggetto derivava da una illustrazione del ballo della Notte di San Giovanni che si teneva a Asgordstrand, la notte più breve, la notte delle streghe. Scrive Munch nel suo Diario " Ballavo con il mio primo amore, era un ricordo di lei. Arriva la donna sorridente, dai riccoli biondi: vuole portare via il fiore dell'amore, non consentendo tuttavia a sé stessa di essere colta. Passando all'altra parte lui appare vestito di nero mentre osserva afflitto la coppia che balla, così io sono stato escluso dalla mia danza" : 


                                     Edward Munch, Danza della Vita, 1899-1900, Nasjonalgallerie, Oslo

Nel dipingere Munch non rappresentava la forma secondo i canoni della tradizione accademica, non attribuiva il colore a referenti naturali, ma forniva alle immagini il loro valore espressionistico, per cui i segni e i colori esprimevano valori e sensazioni interiori al di là delle forme e delle regole. Si dice che la sua sia una pittura del ricordo, ma nel senso che è una pittura che scava nell'interiorità per esprimere pallide e sfuocate immagini di dolore e di morte, quelle che segnarono la triste vita del grande pittore norvegese. Non ci si faccia ingannare dal verde prato primaverile, con i fiori a sinistra, né dall'apparente festosità della danza con i contrasti cromatici che non sono espressioni di pienezza di vita, ma dei contrasti, dei dolori, dell'angoscia del vivere. Al centro una coppia balla apparentemente serena. In realtà l'uomo in nero è triste e funereo e la donna è vestita con un abito rosso, il colore del sangue che si riversa in basso sul prato verde, che è anche simbolo della speranza, invadendolo come un'onda. A sinistra avanza una donna vestita in bianco, sorridente, con i riccioli biondi, una donna già adulta, già piena di sensualità, il cui abito bianco, simbolo di purezza è attraversato da macchie marroncine. E' forse la stessa donna in un'altra fase, quella dell'età matura della sessualità, come a destra, la donna in nero, funerea è la donna della morte, della fine della vita che guarda l'ignara coppia con un senso di dolore, di mestizia, di angoscia. La danza della vita è conclusa: amore-sesso-morte. Forse solo in fondo, nelle coppie che danzano, vestite di bianco le donne, di nero gli uomini, c'è un incontro nell'orizzonte dell'esistenza, ma ai margini, lontano, estraneo, dagli altri: la vita del pittore è davanti a stabilizzarsi nella coscienza e nel ricordo. Sullo sfondo, all'orizzonte, si vede un simbolo, un fascio di luce forse, una forma fallica, più probabile, che esce dal mare o penetra in esso, nell'acqua che è simbolo femminile. E' insomma l'eros, il momento in cui l'uomo si misura con se stesso e con la propria coscienza: il momento che dà vita alla nascita e alla morte, all'inizio ed alla fine, ma anche il momento in cui l'uomo adulto si misura con una donna ambivalente, ora sicura di sé, ora fragile, ora carica di eros e di malvagità, ora dolce e tiepida, in cerca di un abbraccio e di un bacio che possa fonderla con l'uomo in un tutto unico, in una ricerca comune della vita. Nemmeno l'incontro con quella che pensava potesse essere la donna della sua vita placa la sua angoscia, rifiuterà di sposarsi, di continuare ad amare convinto che la sua esistenza tragica non potrà che tenerlo lontano per sempre dalla felicità. Si chiuderà sempre di più in se stesso con le ombre ed i fantasmi del suo passato sempre più in preda della schizofrenia. Una vita di angoscia, quella di Munch, alla ricerca di se stesso, in fuga dal passato eppure in costante ricerca del ricordo , della necessità di visualizzazione del ricordo, di un legame con la propria esistenza tragica, si può dire sin dall'inizio del suo manifestarsi e di uno sviluppo analitico del passato : " Ho ricevuto in eredità due dei più terribili nemici dell'umanità: la tubercolosi e la malattia mentale ( malattie di famiglia, delle sorelle, della madre, del padre ). La follia e la morte erano gli angeli neri che si affacciarono sulla mia culla" .  

Bibliografia: Eva di Stefano, Munch, Arte e Dossier, 2006, Giunti
G. Bruno, S. Ferrari,L.Trabucco, Tra vita e follia: follia e morte in Edward Munch, 2008  
Marco Chiarini, a c. Edward Munch, catalogo della Galleria Nazionale di Oslo, 2012 
Arte e pazzia, Munch, www. zoom.it Enrico da Congo
Marco Fagioli, Edward Munch, Giunti, Firenze 2008
Fiorella Nicosia, Edward Munch, Giunti, Firenze, 2003  
www, Wikipedia, Munch e singole opere.

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