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sabato 19 gennaio 2013

La Madonna e la puttana



Michelangelo Merisi da Caravaggio, La Morte della Vergine, 1604, Musée du Louvre, Paris


Caravaggio, Morte della Vergine, 1604, Musée du Louvre, Paris

" Haveva fatto con poco decoro la Madonna gonfia e con gambe scoperte" Il livoroso commento di Giovanni Baglione più che le molte "grida" di scandalo che il dipinto aveva prodotto non solo fra i frati di S. Maria della Scala dove il dipinto doveva essere collocato, ma della gente di Trastevere e si può dire di Roma tutta, che era allora piccola, paesana e dove le voci di popolo diventavano voce di dio. nasceva dal poco piacere che del pittore aveva il Baglione che aveva citato Caravaggio ed i suoi amici per ingiurie gravi e dato modo alle autorità di istituire il noto processo. Baglione non è tanto quel pittore mediocre che la critica ha voluto evidenziare per contrapporlo al genio del Caravaggio, era un buon pittore, di una inventiva manierizzata, poco vivace, ma i colori e le forme, non sono da sottovalutare.Però Bellori non amava Caravaggio e non solo perché era stato da lui dileggiato per la sua pittura di serie B, ma perché non condivideva il suo realismo. Ci sono pittori, diceva, che amano rappresentare la realtà, che si soffermano sulle rughe, sui difetti della pelle e sulle deformità umane. E Caravaggio era il primo di questi pittori a non avere alcun ritegno nel rappresentare le cose naturali e per questo i suoi quadri spesso erano rifiutati. La commissione era stata fatta da giureconsulto Lorenzo Cherubini e possedeva una cappella in S. Maria della Scala tenuta dai frati Carmelitani e che voleva disporre il quadro sopra l'altare di questa cappella. Il contratto venne firmato nel 1601 e prevedeva una "morte della Vergine" secondo regole di decoro, atte a disporre il dipinto in un luogo sacro, a rispettare l'ordine dei Carmelitani e le regole di S. Romana Chiesa in materia di dipinti nelle chiese. Per realizzare il dipinto Caravaggio si chiuse nel suo studio di vicolo S. Biagio a Roma; dove aveva uno stanzone alto e abbastanza largo che fu costretto a forare sul soffitto non tanto per farci entrare il dipinto ( 369 x 254 cm ), quanto per produrre una fonte di luce dall'alto come era nelle sue intenzioni. Il dipinto doveva essere, come nella tradizione bizantina comune accettata nei canoni figurati della Chiesa di Roma, una figurazione di dormitio virginis, nel senso che la madonna fra la morte e l'assunzione in cielo era passata per uno stadio intermedio, una specie di catalessi transitoria, appunto la dormitio. Attorno a lei in genere si  disponevano i dodici apostoli, in una posizione di decoro in rapporto alla morta, nel senso che non dovevano avere sentimenti di drammaticità, ma dovevano mostrare di essere all'altezza di un'attesa, di un miracolo, di una rivelazione, di un'ascesa al cielo. Langdon afferma che in polemica con i carmelitani tradizionalisti, e seguendo gli indirizzi pauperistici di un'altra tradizione, quella che faceva capo ai seguaci di Federico Borromeo, Caravaggio aveva voluto dare una rappresentazione di una vergine che muore in un luogo povero, fra gente semplice. Non diversamente Maurizio Calvesi che parla di un "rifiuto dello sfarzo" e di una adesione alle tendenze dei circoli borrominiani che prediligevano la carità e la povertà. Lo studioso aggiunge il particolare che Federico accanto alla camera cardinalizia aveva una stanzetta con sola una tavola rozza, una sedia impagliata ed un crocifisso alla parete "e un saccone su due cavalletti per dormire"; insomma un luogo spoglio e rozzo e con una tavola, come quello che vediamo nella stanza della Vergine. Se stiamo alla tradizione ci rendiamo conto che una versione pauperistica era certo rivoluzionaria. Vediamo ad esempio la dormitio virginis di Andrea Mantegna  del 1462 al Museo del Prado di Madrid

File:Andrea Mantegna 047.jpg
Andrea Mantegna, Morte della Madonna,1462, Museo del Prado, Madrid



 Il pittore usa la sua raffinata tecnica prospettica per una messinscena ordinata secondo la tecnica del decorum: il pavimento a scacchiera di riquadri rosa e bianchi va in sfuggita verso la scena principale dove il fondale è occupato dal letto su cui giace la Vergine col manto scuro, le braccia raccolte sul ventre, il capo sul cuscino rosso come la stoffa che copre il letto: i personaggi sono disposti ai lati del pavimento a scacchiera, per dare il maggior spazio possibile alla vista della dormiente. Alle spalle degli apostoli di fondo in piedi, si apre una grossa finestra-quadro o arcata-quadro, da dove si vede la laguna di Mantova. Infatti la Morte della Madonna era stata collocata, in origine, nella cappella privata di Ludovico III Gonzaga nel castello di S. Giorgio a Mantova e quindi era un omaggio paesaggistico al possessore del dipinto e signore del luogo, un paesaggio che si poteva vedere dalle arcate del castello stesso. La tavola era a tempera e ad oro ( arricchimento tipico dell'arte di derivazione bizantineggiante ) ed era molto più alta dell'originale considerando che è stata tagliata poco sotto l'inizio delle arcate sopra l'apertura sul paesaggio. Gli apostoli ritti in piedi hanno tutti la stessa altezza e la loro disposizione serve a creare la stessa prospettiva. Notiamo un apostolo di spalle ( forse Giovanni Battista ) che si sporge verso la Madonna con un turibolo, mentre dietro il catafalco è Pietro in veste di sacerdote a leggere le Scritture. Un altro apostolo, forse Giovanni, in tunica verde a sinistra in pp. tiene in mano la palma che è simbolo di morte e proprio della Madonna stessa, come vediamo nell'Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti. Secondo la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, Giovanni Evangelista doveva portare al momento dei funerali della Vergine una palma. Il decorum non deve dunque essere espresso solo dalla compostezza del corpo e dalla serena presenziazione degli apostoli che sanno come la Vergine verrà in seguito assunta in cielo, ma deve anche essere espresso dai simboli, ad esempio dalla palma, dal turibolo, dal vaso con gli oli dell'unzione, dai ceri, come appunto vediamo nella Pala del Mantegna. La tradizione iconografica più antica fa riferimento alla bizantina dormitio, in cui la Vergine, immune dal peccato originale, non muore, ma transita in attesa dell'assunzione al cielo, che avviene come un addormentarsi . Questa traditio, bizantina e ortodossa, sostenuta da Clemente di Alessandria, S. Eusebio ed Apollonio, si scontra anche con un'altra traditio, meno manifesta, quella della morte fisica ( se è morto Gesù, non si capisce perché non sia morta la madonna ) di Maria, sostenuta da San Giovanni Damasceno, ad esempio. Secondo un'altra tradizione la morte avviene ma è un passaggio che conduce la Vergine in cielo, quindi la morte è come un"sacrificio d'amore", Maria muore per vestirsi di immortalità, muore per sconfiggere la morte. Gli ortodossi, come noto, festeggiano la Dormizione di Maria  , mentre i cattolici celebrano solo la sua Assunzione al cielo . Lo stesso giorno è il 15 agosto, stabilito dall'imperatore bizantino Mauro e riferito alla dormitio o transitus, mentre per la Chiesa cattolica, appunto solo all'Assunzione. Per la prevalenza dell'idea di transito e di dormizione, la composizione iconografica è dunque quella antica. Vediamo, qui, un'icona da Novgorod oggi al Museo Tret'jakov, del XIII secolo, dove sono nettamente distinti due spazi, quello della dormitio e quello della futura assunzione, quello della terra e quello del cielo.
Icona del XII sec. con la dormitio virginis, Museo Tret'jakov,Mosca
Come possiamo vedere, la Madonna è distesa addormentata con una grande aureola dorata intorno al capo, mentre il fondo dorato dell'icona rimanda, simbolicamente, a questo disco d'oro. Questa disposizione trova spazio in diverse varianti iconografiche, ma lo schema iconografico di base è spesso rispettato, come ad esempio nel mosaico dell'abside di S. Maria Maggiore a Roma, attribuibile a Jacopo Torriti. Nella Morte della Vergine di Duccio di Buoninsegna , in uno scomparto della Maestà nel Museo del Duomo di Siena, del 1308, apostoli e angeli sono intorno ad un Cristo al centro che sta ad indicare, come nell'icona qui sopra, l'attesa dell'anima della Vergine in cielo. Nella Morte della Vergine di Giotto , alla Gemaldgalerie dello Staatliche Museum di Berlino, conserva più o meno lo stesso schema

Giotto, Morte della Vergine, Gemaldgalerie, Staatliche Museum di Berlino  
Nel XV secolo Vittore Carpaccio fornisce una sua versione, fra 1504 e 1508, per la Scuola degli Albanesi a Venezia oggi alla Ca'd'Oro, sempre a Venezia, nell'ambito della serie di pannelli, variamente custoditi delle Storie della Vergine destinate alla Scuola.
morteverginep
Vittore Carpaccio, Morte della Vergine, 1504-08, Venezia, Ca'd'Oro


Qui il pittore sviluppa una composizione in verticale, con la Madonna in primo piano sul catafalco coperto con un drappo rosso  ( il colore, che indica il sacrificio di Cristo, probabilmente, o forse anche assimila il "sacrificio d'amore" della Madonna al sacrificio di Cristo, si riscontra nelle aureole degli angeli a sinistra e negli angioletti al centro con il cielo sullo sfondo. La morte è qui ancora una dormitio , il corpo è composto e sereno, come sereni sono gli apostoli, nel fondo, fra i due pilastri ai lati della veduta della città lagunare, si stagliano verso l'alto le nubi e gli angeli su cui è assiso il Cristo che attende la prossima venuta di Maria. Spesso, come anche qui ( è un'immagine ricorrente,dall'icona russa, ai mosaici della Basilica di S. Maria Maggiore, a Giotto e Duccio,  sostenuta su di una nube solida disposta sulle ginocchia di Cristo, vediamo l'animula della Vergine che Cristo attende in cielo ). Questa scelta iconografica, per quanto molto antica, è meglio chiarita nella Leggenda Aurea :  Quando tutti gli apostoli furono riuniti intorno a Maria, verso l’ora terza venne Gesù con le angeliche schiere e disse: “Vieni, diletta, io ti pongo sul mio trono perché ho desiderato la tua presenza” E Maria rispose: “ Ecco io vengo perché di me è stato scritto che debba fare la tua volontà, o signore e il mio spirito esulta in te”. Così l’anima di Maria uscì dal corpo e fu accolta dalle braccia di Cristo. La doppia scena del cielo con la stanza della Madonna è spesso rappresentata e non solo dividendo lo spazio con nubi o oro o cielo azzurro, dalla stanza, ma anche inserendo nella stanza l'immagine del luogo ove la Vergine verrà assunta con l'espediente di una specie di immaginazione estatica o di sogno estatico ( somnium mariae ), come in un dipinto di Hugo van der Goes.   


Morte della Vergine
Hugo van der Goes, Morte della Madonna, 1472-80, Groeningemuseum di Bruges
Qui la definizione della stanza è già molto curata, con la tenda a destra aperta e il turibolo appeso; con un letto molto realistico e una Madonna che presenta due soli colori, azzurro del manto ( come il cielo ) e il bianco della cuffia ( simbolo di purezza ); il gesto delle mani sul ventre virgineo è quello delle mani giunte, della Grazia Divina. Il dipinto è molto interessante per la varietà dei gesti che hanno un carattere simbolico-liturgico, ma anche posizioni di stupore e di dolore, con un carattere familiare, domestico. 
           Fra XVI e XVII secolo la morte di Maria è ambientata in una stanza; la santa donna è sdraiata sul letto e intorno a lei sono gli apostoli. La scena è più realistica e la tendenza prevalente è quella di far sparire la seconda idea, quella del Cristo che l'accoglie o l'aspetta, cioè l'idea del transito con gli angeli e il Cristo dietro il letto o in cielo sopra di esso, ma anche della semplice dormitio che allo stesso modo evidenzia il cielo, gli angeli e il Cristo, ma di dare spazio alla morte umana sia pure nell'ambito del decoro figurativo. Per questo diventa più evidente una stanza, in genere aristocratica, dove è collocato il letto della Vergine e dove sono gli apostoli. A Roma Caravaggio aveva un'immagine della Morte della Vergine conservata nella Chiesa della SS.Trinita dei Monti, ma si tratta di una iconografia tradizionale ( la vediamo in una fotografia della Fondazione Federico Zeri di Bologna, realizzata da Mario Quaresima )



Quaresima, Mario , Roma - Trinità dei Monti. Federico Zuccari. Morte della Vergine - insieme
Federico Zeri, Morte della Vergine, sec.metà XVI sec. SS.Tinita dei Monti, Roma

In alto, evidentemente secondo le direttive del decorum  voluto dalla Controriforma nelle opere d'arte, vediamo il Cristo trionfante, che esce dalle nubi, in attesa dell'Assunzione post-mortem della Vergine. L'intenzione di Caravaggio era un'altra. Niente nubi, niente Cristoni, niente grandi candelabri. Nemmeno una morte destinata a risolversi trionfalmente con la Resurrezione in Cielo pur senza i segni iconografici tradizionali. La morte per il pittore è un fatto fisico. Qualcosa che porta ad un termine definitivo, ad una scomparsa dalla scena della vita. Insomma sembrerebbe che l'immagine dello Zuccari non gli interessasse proprio, anche perché Federico non era stato tenero a S. Luigi dei Francesi nella Cappella Contarelli quando era venuto a vedere i dipinti di Michelangelo Merisi, aveva detto che non capiva perché tanto rumore e non vedeva nessuna novità, se non la lezione di Giorgione che evidentemente Michele doveva conoscere anche secondo il pittore toscano. La morte per Michele, come afferma Robbb era " Morte come vuoto umano. Morte come pura assenza. Morte come fine del cammino...come quel momento in cui tutti si rendevano colpo che non c'era più niente da fare, che le cure fisiche e il conforto non servivano più, che quella che era una persona era oramai un cadavere." ( Robb, M,306 ) . Continua Robb: " Qualcuno aveva allentato il laccio del corpetto che stringeva il seno di Maria, o forse era stata lei stessa a scioglierselo.Il suo corpo s'era abbandonato come se la morte fosse stata la fine di una violenta lotta interiore. Nessuno attorno a lei sembrava servire a molto, e si sentiva un bisogno d'azione. Sul pavimento sotto i suoi piedi, in basso in primo piano, era posata una grande e lucente bacinella di rame dal cui bordo pendeva uno straccio umido:acqua servita ad alleviare gli ultimi istanti della giovane, o aceto per lavarne il cadavere? A parte lo schienale di una sedia da cucina, una parete posteriore macchiata d'umidità e qualche trave di un soffitto di legno, non si vedeva altro attorno a lei. Il resto erano teste chine, mani, piedi e metri e metri di un pesante pedaggio. La ragazza accasciata sulla bassa sedia di fronte al cadavere, la testa china, il volto nascosto, il corpo piegato, era la stessa che, vestita di una tunica, con una treccia di capelli fissata sopra l'esile collo, era chiuso nel suo dolore della Deposizione." Descrizione eccellente, molto espressiva, dell'immagine.


File:Caravaggio - La Morte della Vergine.jpg
Caravaggio, Morte della Vergine, Musée du Louvre, Paris
   
Caravaggio se non aveva visto niente nell'opera di Federico Zuccari, aveva però fatto un qualcosa di apparente simile con la posizione della Madonna: entrambe le Vergini infatti sono deposte in diagonale su di un supporto, lì un letto, qui una tavola, lì con il corpo sollevato in una posizione diagonale dal basso verso l'alto, qui in una diagonale più raddrizzata, in cui la Vergine è abbandonata. Se vediamo il particolare del ventre gonfio della Maria di Michele, vediamo che il ventre è gonfio anche in Federico. Quindi vi è una certa involontaria somiglianza. E' un particolare che non vediamo nelle altre immagini di Maria morta. Probabilmente gli indirizzi della Controriforma indicavano la nuova immagine, non estranea comunque all'arte figurativa religiosa; la Vergine è ritratta come giovane perché è certamente icona simbolica della Chiesa immortale, ed è gravida perché è pregna della Grazia di Dio. Così sicuramente l'ha letta Federico, ma Michelangelo? Calvesi, Marini, Langdon, ma anche altri studiosi, hanno sostenuto che Caravaggio faceva parte di quella cultura pauperistica voluta dal Cardinale Borromeo come detto sopra. La cosa non è mai stata completamente provata da alcun documento, ma ipotizzata sulla base di riferimenti storici abbastanza probanti, ma non sicurissimi. Né si può sostenere che Caravaggio vestisse di nero e poveramente per aderire a queste istanze pauperistiche ( un recentissimo documento testimoniale, garzone di barbiere, Pietro Paolo Pellegrini, presentato alla Mostra dell'Archivio di Stato del 2011 su documentazioni caravaggesche: " và vestito di negro non troppo bene in ordine e portava un paro di calzette negre un poco stracciate " ), perché era abbastanza comune che i pittori nel Cinquecento vestissero di nero e sembra che Caravaggio non badasse molto a curarsi nel vestire ( nemmeno Michelangelo, in verità, sia pure ricchissimo ), nonostante i molti soldi guadagnati e allo stesso modo era abbastanza comune fra gli artisti l'abitudine a vivere poveramente, " alla filosofica", indipendentemente dalla propria fama e dal proprio patrimonio ( Vasari, Vita di Jacone ). Al di là di questi aspetti, l'accusa mossa a Caravaggio era un'altra. Il pittore aveva rappresentato " ...in persona di Nostra Donna una cortigiana da lui amata e così scrupolosa e senza devozione..." come disse il Mancini, primo biografo e amico di Michelangelo, medico e intenditore d'arte. Aggiungendo che alcuni per fingere la Vergine in pittura " e Nostra Donna, vanno retrahendo qualche meretrice sozza degli ortacci, come faceva Michelangelo da Caravaggio e fece nel Transito di Nostra Donna, in quel quadro della Madonna della Scala, che per tal rispetto quei buoni padri non la volsero e forsi quel poverello patì tanti travagli di sua vita" ( Mancini, in Robb, M, 309 ). Ecco dunque, il fatto scandaloso, la Vergine ritratta per il mezzo ed in figura di una puttana dell' Ortaccio, che era poi una specie di spazio riservato, nella zona periferica di Trastevere, dove erano state rinchiuse le prostitute. Una"meretrice sozza" , quindi della peggiore specie, portata nello studio di vicolo S. Biagio, e fatta posare come Vergine morta. Però. C'è un però. La donna che aveva posato ( era necessario che stesse con gli altri attori-apostoli ferma per non poco tempo ) era la stessa che poi si vede nel quadro? Insomma Caravaggio aveva rappresentato come Vergine, una donna viva in forma di morta o una morta attraverso una donna viva? Che i pittori si servissero di prostitute per i loro dipinti è cosa molto nota, lo faceva anche Raffaello. Era una necessità, perché nessuna donna che non fosse abituata al meretricio, avrebbe mai prestato il proprio corpo in atteggiamenti sconvenienti, addirittura senza abiti, come spesso capitava se si voleva ritrarre una Venere, o una S. Susanna insidiata dai Vecchioni!Non vi erano modelle che facevano questo lavoro di professione, magari vi erano cortigiane oneste, cioè ex prostitute che si prestavano per amicizia, ma spesso a pagamento, a posare, in quanto era un modo per riscattare, socialmente la loro condizione. Caravaggio però era famoso per il fatto che non si serviva delle cortigiane, delle arrivate, di quelle riconosciute dalla società e non emarginate, ma invece, proprio delle puttane di strada o di bassa condizione "sozze meretrici" . All'inizio del pontificato di Clemente VIII, il cardinale Rusticucci calcola che a Roma, su 120.000 abitanti, vi fossero 13.000 prostitute, includendo nell'elenco, però, anche le donne sposate ("malmaritate")che esercitavano la professione e le donne che vivevano a loro spese. Clemente, papa rigorosissimo e pieno di sensi di colpa e malato di nevrosi compulsiva ( era noto per mettersi a piangere all'improvviso ) ordina l'espulsione di molte prostitute, specie con l'approssimarsi del Giubileo del 1600. Nel 1605 se ne contano in tutto 900. Al di là delle cortigiane oneste, pienamente integrate e che svolgevano attività di intrattenimento presso le diplomazie, la condizione delle prostitute era gravissima, povere, maltrattate, malate. Scrive Pietro Aretino nei Ragionamenti  : " ...per una Nanna che sappia porre dei campi al sole, ce ne sono mille che si muoiono nello spedale." Molti documenti attestano la quotidiana pratica devozionale delle prostitute che, in genere, seguivano anche le funzioni a loro riservate, ad esempio nella chiesa di S. Agostino. Caravaggio bene ne conosceva almeno tre, la già detta Anna Bianchini con l'amica Fillide Melantoni, entrambe senesi e Lena Antognetti romana. Tutte e tre avevano posato per il pittore, abbiamo già visto Anna nel Riposo, Fillide è visibile nel volto di Giuditta in Giuditta ed Oloferne , del 1599, nella Galleria d'Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma e in Santa Caterina  a Madrid e in Marta e Maddalena a Detroit. Inoltre di Fillide si conosce anche il ritratto attraverso una fotografia in bianco e nero, di un dipinto andato distrutto nell'incendio del Museo di Berlino nel'45. Quanto a Lena, il corpo; la più procace e la più inserita grazie ad altolocate amicizie in Curia, è detta "donna" del pittore, nel senso più di una protezione che di una relazione. In ogni caso lei è il motivo di un contrasto con il notaio Pasqualone interessato alla cortigiana che spinse il pittore a ferire il rivale e per questo a fuggire a Genova. Lena compare nella Madonna di Loreto in S. Agostino, realizzata fra il 1604 e il 1608 e nella Madonna dei Palafrenieri , del 1605, alla Galleria Borghese di Roma. Proprio quest'ultima opera, destinata all'altare dei Palafrenieri nella Basilica di S. Pietro, resta sul posto meno di un mese, pare, almeno secondo il Bellori che nel dipinto Caravaggio aveva ritratto" vilmente la Vergine con Giesù fanciullo ignudo, come si vede nella Villa Borghese" ( Bellori, in Robb,352 ). Insomma, ancora una volta, a poca distanza di tempo, un  altro rifiuto per mancanza di decoro, cosa che non impedì al furbo cardinale Scipione Borghese di acquistare per sé l'opera. Certo la Madonna-Lena esibisce un prorompente seno e il bambino Gesù nudo è raffigurato con molta attenzione naturalistica ( era il figlio della stessa cortigiana ) e un dipinto del genere poteva essere imbarazzante nella prima chiesa della città. I motivi  del rifiuto però restano non chiariti. Anche la Madonna di Loreto aveva fatto rumore, ma qui non si parla tanto della Madonna figurata da una puttana; la rappresentazione della Madonna di Loreto aveva fatto scandalo per un fatto per noi apparentemente secondario, i piedi sporchi dei due pellegrini in  primo piano: insomma, non  era tanto la prosperosa Lena-Vergine, che era più facilmente letta come allegoria della Chiesa, figurata in una posa classica, quanto appunto un particolare di primo piano inaccettabile in un luogo sacro. Quello che insomma dava fastidio era l'offesa al decorum e alla dignitas che la XXV sessione del Concilio di Trento aveva raccomandato a pittori e committenti. Questi aspetti erano stati un po' mitigati dalla tendenza pauperistica degli ordini religiosi che erano più aperti alle novità che, senza offendere l'immagine sacra, la liberassero dalle incrostazioni della retorica e della tradizione e badassero soprattutto al messaggio e alla commozione, piuttosto che alla spettacolarizzazione e al trionfo. Possibile che Caravaggio condividesse le concezioni pauperistiche dei filippini o quelle dei seguaci di Federico Borromeo, ma come già detto, non vi sono documenti di un'aperta adesione. Sul fatto, poi, che il pittore fosse un cattolico osservante, va detto che  le testimonianze sul fatto che facesse con una certa regolarità la comunione, non sono sufficienti per dire che fosse anche un vero credente. Ci sono considerazioni di opportunità, di convenienza. Per stare dentro il sistema bisognava fare qualche concessione: un pittore apertamente eretico, inviso alla Chiesa, ateo o solo contestatore, non avrebbe mai avuto accesso a commissioni ecclesiastiche, sia pure promosse da laici ben ammanicati con vescovi e cardinali. Ma la mentalità, le convinzioni, sono altra cosa. Se le concezioni di una propria personale poetica erano decise, restavano e orientavano la creazione al di là di ogni altra cosa. Specie se uno è sufficientemente già famoso per potersi permettere di scegliere e rifiutare. Ferdinando Bologna, nel suo ottimo studio L'incredulità di Caravaggio e in altri luoghi come nell'Enciclopedia dell'Arte Einaudi ( 1992, 12-20 ) , ha raccolto molte convincenti testimonianze sul naturalismo pittorico professato da Caravaggio. Sono " valenth'uomini " solo i pittori che sanno ritrarre bene dal naturale, che sanno riprendere direttamente dal vero. Si tratta di vera osservazione ottica della cosa , per cui ciò che viene ritratto non è altro che l'immagine di ciò che è in natura. E' possibile che Caravaggio, così attento alle"cose naturali", riprendesse e facesse suoi nell'operare concetti di Galileo sull'importanza prioritaria da dare all'esperienza prima di ogni discorso ,alla necessità di vedere attraverso il senso della vista piuttosto che vedere attraverso il filtro della dottrina. Sia in Campanella che nel naturalista-pittore Ulisse Aldovrandi, la importanza della vista, dell'osservazione e dell'esatta riproduzione, sono punti fermi che si accordano con la poetica caravaggesca. Allo stesso modo e in maniera anche più significativa Comenio attribuisce una grande importanza all'educazione visiva, alla conoscenza della cosa attraverso la sua riproduzione figurativa. Dunque il saper guardare e saper rifare la natura. Caravaggio aggiunge il genio della"novità" . Quello che il cardinale Paleotti chiamava come il "peccato di novità "; quello che appunto faceva scandalo e provocava interminabili discussioni. Nel loro interessantissimo e molto documentato ( ed anche contestato dalla critica ufficiale ) Caravaggio assassino, del 1994su pittura e vita del pittore nella Roma della Controriforma, Bassani e Bellini, riporta un documento tratto dall'Archivio di Stato di Roma. Nel documento risulta che a Ripa, sul greto del Tevere era stata adagiata una donna di circa 15 anni annegata nel fiume, che aveva un "busticciolo di panno pavonazzo alla borgognona, un paio di maniche di telo bianco e una camiscia" ( Caravaggio assassino, 180 ). Quel busto di panno rosso acceso alla borgognona ( la moda alla francese, vedeva un abito stretto e slanciato ) ci inquieta.Sarà un caso, ma una fanciulla di 15 anni, morta annegata, col ventre gonfio...



Michelangelo Merisi da Caravaggio, particolare de “La morte della Vergine”
Caravaggio, La morte della Vergine, particolare

Si trattava di una cortigiana borgognona amica di Aurelio Orsi, poeta, fratello di Prosperino Orsi, detto Prosperino delle Grottesche, amico del Caravaggio ( Robb, M, 183 ). Però la strada a mio avviso è un'altra.Caravaggio non ha dipinto un'affogata, ha dipinto una morta di parto. Nel 1604, morì, a 25 anni, Anna Bianchini, puttana amica di Caravaggio e di Fillide, che abbiamo già visto col volto della Madonna nel Riposo nella fuga in Egitto. Rossa di capelli, bellissima, alquanto ineducata e un po' grossolana nei modi a giudicare dalla serie di denunce che si era presa e dalle volte che era finita nella prigione di Tor di Nona. Anna non aveva avuto una vita piena di soddisfazioni professionali come Fillide ( se si eccettuano gli ultimi anni di vita, quando a causa dei molti debiti contratti la cortigiana fu costretta a vendere tutto ciò che aveva, gioielli compresi ) o come Lena, ma era rimasta ai margini, forse per questioni di carattere, spesso in lite ed in rissa con altre puttane della sua risma. A Tor di Nona le avevano lanciato frasi ingiuriose dopo una rissa:" buggiarona poltrona puttana de dio te voglio tirar una pignatta de merda...fatti fottere dal boia..."Per far uscire parole così grosse chissà la povera Anna cosa aveva combinato. Che fosse però un tipo attraente non c'era dubbio; la cercavano e la corteggiavano ed era famosa per l'epiteto di " Anna bel culo ". Quando le capitò fra capo e collo una gravidanza, già debilitata com'era, morì di parto. Abitava in un cantone nella zona di via del Babbuino. Non è chiaro se morì in ospedale o in casa. Ci piace immaginare che morì nella sua stanza fra i pochi amici che le stavano intorno. Venne seppellita nella parrocchia di S. Maria del Popolo( Caravaggio assassino, 181-182 ). Dunque, anche qui una morta con il ventre gonfio. E' possibile che Caravaggio avesse figurato, con la veste rossa vista nella ragazza quindicenne sul greto del Tevere a Ripa, Anna Bianchini morta di parto, distesa sul letto col ventre gonfio confortata da pochi amici, come Maria Vergine? Data l'amicizia, il pittore potrebbe aver visitato Anna ( o magari aver saputo solo della sua morte ) morta di parto, come potrebbe aver visto il corpo della prostituta a Ripa. Ma è ovvio che la scena è stata ricostruita nello studio del Vicolo S. Biagio. La memoria visiva del pittore aveva fatto il suo dovere focalizzando le immagini che poi sarebbero state unificate e riprodotte con un'altra modella, anche se il volto è quello di Anna. Un po' invecchiato e sfigurato rispetto a quando era stata ritratta come Maria Maddalena.


Anna Bianchini come Maria Maddalena, Galleria Doria Pamphili, Roma 


Usando a completamento semplici popolani presi dalla strada per figurare il dolore degli apostoli e della Maddalena. Figurare il naturale non voleva dire non considerare che la grazia divina, la luce occulta di dio, penetra anche nelle anime degli umili, degli ultimi. Anzi, proprio in essi si rivela dio come è scritto nelle beatitudini del Vangelo di Luca (VL, 6, 20-23 ) e in quello apocrifo di Tommaso ( VT, 54 ), dove al primo posto si considerano beati i poveri. Ma torniamo alla scena straordinaria della Morte della Vergine. Sul fondo si affollano gli apostoli stupiti, increduli, ricevono poca della luce che scende dall'alto ( nel suo studio il pittore aveva praticato un foro più per far scendere la luce dall'alto nella stanza oscurata che per far passate la grande tela di oltre 3m ); quella scivola morbida, calda e piena sugli attori-apostoli in primo piano, tutta sulla Vergine distesa su una rozza tavola di legno, sul corpo piegato e piangente della Maddalena. Sul piano, in terra, a fianco e da sotto il letto, i piedi nudi degli apostoli. Intorno alla Vergine i gesti sono di sconforto; di pianto disperato, di malinconia, di riflessione dolorosa ( mani sugli occhi, mano chiusa poggiata sulla guancia, mano sulla fronte, sotto la testa piegata ). Come in Leonardo che applica lo studio degli stati d'animo e della fisiognomica nel Cenacolo milanese, Caravaggio dimostra di aver appreso proprio la lezione del maestro di Vinci in questo contrappunto di gesti, di stati d'animo, di fisionomie diverse. Sopra il gruppo, in alto, un drappo rosso, di stoffa pesante, con una serie di mosse pieghe che incombono sul dramma che si svolge sotto. Il drappo è necessario, tecnicamente, per coprire una zona altrimenti vuota, ma è certo un inserto che ha una funzione"teatrale": scopre la scena della morte umana della Madonna e la svela agli occhi dolenti e stupefatti degli spettatori. Abbiamo detto che non ci sono segni del divino ( dubito su quel sottile cerchietto che indica l'aureola intorno alla Vergine: aggiunto dopo?Ma anche se fosse del pittore, costretto dalle necessità del luogo sacro e dei frati carmelitani, non indica nulla di più: non c'è santità, c'è solo l'inevitabilità della morte ). In terra la bacinella di metallo che riluce ( il pittore è sempre attento a sottolineare gli effetti della luce sui corpi, i riflessi, su quelli trasparenti ed opachi ), contiene probabilmente l'aceto per il lavaggio del cadavere. Possibile anche che indichi, secondo la simbologia sacra, la Rivelazione Divina ( l'apertura della bocca del vaso riceve la luce di Dio che scende dall'alto ). La ragazza sulla seggiola con la testa piegata esprime il senso pieno di un dolore contenuto. In tutto il dipinto non ci sono espressioni gestuali o fisiognomiche che esprimono uno stato d'animo di disperazione assoluta. Vi è una mesta armonia d'insieme, un contrappunto di sensazioni funzionali al raccoglimento. Se riprendiamo in esame la stessa ragazza con la veste gialla in maniche di camicia con la treccia curata in primo piano, ci rendiamo conto che è la stessa modella della Deposizione del 1603 alla Pinacoteca Vaticana. Se confrontiamo le due donne vediamo due diverse modalità di espressione del dolore: nella Morte della Vergine il dolore è composto, nella Deposizione invece vi è quasi una disperazione allucinata.



Caravaggio, Deposizione,1603,Pinacoteca Vaticana,Roma

             
Michelangelo Merisi da Caravaggio, particolare de “La morte della Vergine”
Caravaggio, La morte della Vergine,1604 particolare


     

Due diagonali, più breve quella del dipinto del 1604,  più lunga quella del dipinto del 1603, uniscono la testa della Vergine con quella della donna, nella Morte della Vergine , e la testa della donna con quella di Cristo nella Deposizione ; ancora : nella Morte della Vergine la diagonale è leggera, inclinata di poco perché le due donne sono quasi allo stesso livello; nella Deposizione invece la diagonale è netta, ripida, scende di colpo sulla testa abbandonata di Cristo e segna una maggiore espressione del dolore, rafforzata dal gesto antico delle braccia aperte e sollevate in alto. Ma guardiamo meglio questa Deposizione. In verità alla Vaticana non è proprio una Deposizione quella dell'immagine, ma un Compianto sulla Tomba ( o meglio, come ha spiegato il conservatore dei Musei, Antonio Paolucci, non si tratta proprio del coperchio della tomba, bensì del lapis untorium il letto di pietra su cui il cadavere era steso per lavarlo, oliarlo e profumarlo ). Il cadavere sta per esservi deposto dopo essere stato tolto dalla croce da Niccodemo che nell'immagine sorregge Cristo per le gambe. Il senso della morte è qui molto sensibile, se ne sente l'odore e l'assordante silenzio. Cristo, che ha il braccio rilasciato tocca con due dita ( forse il gesto indica la Trinità, se consideriamo il pollice soprastante ) la pietra che viene verso di noi, quasi ad uscire la quadro. La pietra  scartata dai costruttori è divenuta fondamentale, è la pietra d'angolo e quindi Cristo stesso che, scartato dalla storia, ne diventa il momento centrale. Tutto il gruppo è un accordo di diagonali a piani sovrapposti dall'alto in basso, invaso anche qui dalla luce della Grazia che viene dall'alto e che è più drammatica perché come spinta in avanti sul corpo nudo invaso dalla luce divina. Nella Morte della Vergine il gruppo è disposto per piani orizzontali, dall'alto in basso che, sul piano gestuale, iniziano con il gesto rituale classico di compianto, con la mano chiusa sul viso, per terminare con il gesto di sconforto della donna che poggia la mano sulla gamba. Fra questi estremi è la mano di Maria sul ventre gonfio. E' il centro del quadro, dove si concentrano gli sguardi, dove cade la luce che scende dall'alto. La Vergine è incinta, pregna della Grazia Divina ( piena di grazia ) , la stessa che ha permesso la nascita e la morte del Salvatore ( il braccio disteso, diritto sul cuscino può alludere, simbolicamente, ad un braccio della Croce ). La Grazia Divina non rigetta l'umile morte, il mesto compianto di apostoli che sono gente di strada, poveri come mendicanti, prostitute, gente che si è spaccata la schiena di fatica; ma anzi vive fra di loro e fra loro è più calda e luminosa.
           Caravaggio ha il dono di poter creare un'istantanea eccezionale di un attimo cruciale, unico. L'attimo che prende alla gola come un groppo, che colpisce allo stomaco come un pugno. L'attimo in cui, al di là degli schemi iconografici, dei simboli, degli effetti di luce e d'ombra, a svelarsi cruda è la consapevolezza dell'umana fine, quando tutto è perduto e resta solo un dolore senza disperazione, il dolore della povera gente che è abituata alla morte domestica, o come dice Aries, addomesticata, la morte inevitabile, familiare, che è di tutti e a cui tutti dobbiamo sottostare. E' quell'attimo che resta nei nostri occhi, quello della donna morta che non è vergine e non è madonna. 

           Il dipinto, dopo il rifiuto dei frati carmelitani scalzi, il grande dipinto fu portato via e per lungo tempo non fu visto da alcuno; Pietro Paolo Rubens spinse allora il Duca di Mantova ad acquistarlo e a portarlo nella collezione dei dipinti dei Gonzaga. A Mantova il dipinto fu esposto in Palazzo Ducale ed ebbe un grandissimo successo con processione di persone che venivano a vederlo; in seguito il dipinto fu acquisito dal Museo del Louvre dopo la vendita della collezione mantovana. A S. Maria della Scala, per rispettare il contratto i frati chiamarono il pittore veneziano Carlo Saraceni, che era già un ardente seguace di Michelangelo. Il Saraceni pensò di soddisfare quanto richiesto con una composizione in cui Maria non appariva morta, ma in una situazione di pre-morte o di visione estatica, seduta su di una sedia, con le mani giunte. Ai frati però non andò bene neanche questa soluzione, allora Carlo Saraceni fece una seconda versione collocando, sul fondo in alto, un gruppo riempitivo di angeli, putti cantori e di un'orchestra addirittura che esaltava il transito di una Maria adagiata su di una seggiola con lo sguardo rivolto al cielo: la spettacolarizzazione del passaggio dalla vita alla morte e da questa all'alto dei cieli era così esaltata da un suono celestiale. I principi del fare pittura secondo le regole della Controriforma erano qui perfettamente rispettati ed esaltati: i frati non poterono, questa volta, essere più contenti. Ma quel dipinto che possiamo vedere nella chiesa a Trastevere era quanto di più lontano da Caravaggio, dalla sua umanità, dalla sua essenzialità in cui la morte era vera, dignitosa e cristiana.


Carlo Saraceni, La Morte della Vergine, S.Maria della Scala, Roma 

Bibliografia
P. Robb, M. L'enigma Caravaggio, Milano 2001
M. Calvesi, La realtà del Caravaggio, Torino, 1990
F.Bologna, L'incredulità del Caravaggio,Torino,1992 e EAE, 1992
M.Gregori,Caravaggio, 1996
www.eldi.tutte le donne di caravaggio.scritto da Franci.it
Nao Andrea, Le prostitute di Caravaggio,
G.Capacelatro, Tutti i miei peccati sono mortali, Milano, Saggiatore
Bellini-Bassani, Caravaggio assassino, Roma, 1994
          

1 commento:

  1. Vi sono alcuni errori da correggere ed integrazioni sulla base del nuovo libro di Bassani,La donna del Caravaggio

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