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venerdì 27 dicembre 2013

L'isola che non c'è



                                  Arnold Boklin, L'isola dei morti, 1880, Kunstmuseum, Basilea









"Dove vanno i morti?in Paradiso?in cielo, tra le stelle?Sottoterra?Scendono nel triste Ade con una moneta sotto la lingua per pagare il traghetto di Caronte? Le aspetta la prateria degli asfodeli, oppure come malvagi, il Tartaro-dove, come scriveva Omero,stridono di terrore come uccelli fuggenti? O, come i giusti, i campi elisi? O ancora, l'isola boscosa dei beati-riservata a coloro che vissero virtuosamente? Oppure il grande nulla,dove alla fine di ogni dolore l'individuo si dissolve nel tutto?Qualunque cosa crediate,questo quadro offre una risposta seducente-e chiunque lo abbia guardato ha pensato che non sarebbe male se andasse a finire così"   Melania Mazzucco, L'isola dei morti, "Repubblica" 18/2/2013

File:Isola dei Morti IV (Bocklin).jpg
Arnold Bocklin, L'isola dei morti, maggio 1880, Kunstmuseum, Basilea

" L'isola dei morti è pronta, finalmente, e sono convinto che susciterà l'impressione che desidero. Sestini porterà la cassa dopodomani perché voglio attendere ancora un giorno per l'asciugatura. E' bene che me ne separi, perché altrimenti troverò sempre qualcosa da cambiare...", la lettera del 26 maggio, scritta da Bochlin da Firenze al suo committente Alexander Gunther ( in Hans Helenweg, Introduzione a Isole del pensiero. Arnold Bocklin, Giorgio de Chirico, Antonio Nunziante, Catalogo Electa, Mondadori 2001, pp. 21-22 , della mostra di Fiesole 16/4-19/6 ), evidenzia come l'intuizione che il pittore aveva avuto sulla tentazione di apportare modifiche all'opera fosse giusta, infatti in seguito Bocklin realizzerà dell' Isola ben cinque diverse versioni dal 1880 al 1886. Tutto era iniziato, però, non nello studio di Firenze dove il dipinto venne definitivamente realizzato, bensì un mese prima a Francoforte, dove il quadro era già stato in parte dipinto per ciò che concerne questa particolare isola, un soggetto inquietante e misterioso che gli era stato chiesto da Gunther. Nel suo studio di quella città il pittore ricevette la visita della nobildonna Marie Berna-Christ di Bildstein che chiese al pittore un soggetto figurativo" per sognare". A Marie, nel 1865, era morto il marito di difterite e nella richiesta c'era anche il desiderio di poter ricordare , come in un sogno, la fine tragica di un amore mai rimosso, neanche dopo il recente secondo matrimonio. Di certo l'isola, con la sua suggestione simbolica onirica, già era "un sogno", ma la richiesta di Marie forniva al pittore, ora nuovi stimoli. A Firenze, dove spesso andava a trovare al Cimitero degli Inglesi sua figlia  Beatrice morta dopo un solo anno di vita nel 1876 ( a Bocklin che aveva sposato un'italiana, erano morti sei dei suoi dodici figli ), il pittore ripensò al soggetto del dipinto e vi aggiunse una barca con sopra due inquietanti figure che alludevano ad un trasporto funerario. In una atmosfera autunnale, con un cielo nuvoloso, compatto, circondata da un mare piatto, appena increspato da una leggera brezza, al crepuscolo, con la luce rossastra proiettata sui dirupi, appare una misteriosa isola rocciosa, raccolta in sé come un pane spaccato in mezzo, che racchiude al centro un fitto bosco di altissimi cipressi, con, nelle pareti , diverse aperture buie di sepolcri. E' un luogo di ombre, cimiteriale, di morte, fuori dal mondo e dal tempo. All'isola arriva una barca con ai remi una donna bionda seduta ( la posizione seduta della donna non è adatta ad una remata in avanti verso costa, nella successiva versione il pittore dipinse la donna in piedi e con la remata in avanti ), davanti a lei due inquietanti figure bianche, una in piedi completamente bianca dalla testa ai piedi come un fantasma o una mummia senza bende e una bara in precario equilibrio posta a prua. Sulla bara si proietta l'ombra della figura bianca, di modo che vi sia un rapporto simbolico fra le due immagini. Non vi dovrebbero essere dubbi che la figurina bianca non è altro che Marie e che nella bara vi è la salma del marito. Si tratta quindi di un funerale o, meglio, di un trasporto della bara dal mondo dei vivi a quello dei morti. Fra poco le ombre sommergeranno tutto, l'isola e la barca che sta per giungere all'approdo che si vede appena perché già avvolto nelle ombre della notte eterna. Bocklin voleva dare soprattutto un senso di smarrimento, di sgomento, quasi di paura, di fronte ad un'immagine capace di fornire un'idea di solitudine e di grande assoluto silenzio. Scrive infatti:"Potete immergervi nell'oscuro mondo delle ombre al punto da avere la sensazione di avvertire il leggero, tiepido alito di vento che increspa  il mare, e al punto che, pronunciando una parola a voce alta, avete il timore di disturbare quella quiete solenne" Ed ancora: " Deve dare l'impressione di silenzio così assoluto da spaventarsi se qualcuno bussa alla porta". Il fascino inquietante dell'opera ebbe un successo di critica e di pubblico straordinario e al pittore si guardò con una luce nuova, non solo come il capofila di un simbolismo espresso attraverso una reinvenzione dell'immaginario mitologico. Sino ad allora, infatti, Bocklin, già apprezzato ritrattista e paesaggista, era soprattutto conosciuto attraverso la fase panica e dionisiaca che si era imposta negli anni'60 ed era durata sino a tutti gli anni'80. Un immaginario vitalistico e sensuale agitava il mondo di boschi e di acque, con il dio Pan e le ninfe delle selve e con la corte del dio Poseidone, Tritoni, Nereidi, Sirene, Najaidi. Quadri come Spavento panico del 1860, o Tritone e nereide del 1874, testimoniano di questa fase in cui il pittore si volge, con un rifiuto della modernità, agli amati paesaggi del  centro-sud  Italia, alla mitologia classica, alla pittura primitiva nordica, soprattutto tedesca. Emergeva soprattutto, prepotente e dominante, una figura femminile libera, sensuale, compenetrata con la natura acquatica che la circondava che era espressione di quella femme fatale che aveva attraversato come un incubo fascinoso la cultura della borghesia decadente e che avrà in Bonaccia del 1887 l'esito più completo e fascinoso. Questo aspetto dionisiaco, questa emotività sensuale non si interrompe con l'Isola dei morti. Non si deve pensare ad un rinchiudersi in se stesso del pittore, nella solitudine e nell'angoscia; dopo la III versione dell'Isola , del 1883, nello stesso anno, Bocklin dipinge l'allegro e sensuale Gioco dell'acqua e nel 1887, poco dopo la realizzazione dell'ultima buia versione dell'Isola dei morti , realizza un'allegra ed ironica Isola dei vivi. Si tratta, dunque, non di una svolta, di un cambiamento di stile, ma di un'esplorazione in altri territori del simbolismo e del mito, verso una ricerca dell'ignoto, della propria interiorità e del mondo inquietante delle ombre dell'aldilà. Va inoltre detto che nemmeno il tema della morte non era inedito. Il pittore lo aveva già affrontato nel 1872 con un Autoritratto con la morte che suona il violino. L'immagine mostra il dipinto del pittore come se si guardasse allo specchio mentre dipinge e dove vede, con aria sorpresa e inquieta, l'apparizione della morte che suona una sola corda ( il simbolismo è chiaro: allude allo "stame della vita" quello che sta per essere reciso dalla parca Lachesi; la Morte suona l'ultima sinfonia quella che avverte della fine sempre prossima)  


Arnold Bocklin, Autoritratto con la morte che suona il violino, 1872, Nationalgalerie, Berlin

La presenza della morte-scheletro alle spalle, veniva da suggestioni della pittura nordica, in particolare tedesca  ( si pensi a La fanciulla e la Morte, del 1517, di Hans Baldung al Kunstmuseum di Basilea ), così come il memento mori nelle versioni italiane e tedesche ( Et in Arcadia Eco del  Guercino e l'anamorfosi degli Ambasciatori di Hans Holbin il Giovane, ad esempio ) e dalla Danza Macabra e dagli scheletri animati così frequenti nella pittura tardomedievale germanica; Bocklin riprende il tema in una suggestione simbolica, soggettiva ed emotiva che era anche un segno di un'attenzione particolare a questo tema. Nell'Isola il tema della morte è proiettato in una figura-psichica che suscita angosce nascoste, ma che allo stesso tempo spinge a vedere in quel luogo un rifugio dell'anima. Nella III versione del 1883, presentata col titolo ( toteninsel, Isola dei morti,mentre il pittore continuò a preferire il titolo Isola dei Sepolcri )  scelto dal committente Alexander Gunther, che l'aveva esposta nella mostra di Berlino, Bocklin aveva ambientato la scena all'alba, un'alba fredda d'inverno, come un mare calmo che sembra una lastra di vetro. Sparita la luce rossastra sulle rocce, l'isola appariva di un colore bianco gelido che accentuava il senso mortuario già evidenziato dai cipressi, dagli ingressi scuri ai sepolcri, dal funerale sull'imbarcazione con la bara, le corone di fiori disposte a ghirlanda su di essa, la figura bianca in piedi, misteriosa e inquietante come un fantasma.

File:Arnold Boecklin - Island of the Dead, Third Version.JPG
                                       Arnold Bocklin, L'isola dei morti, 1883, Halte Nationalgalerie, Berlin


Non a caso questo dipinto colpì in particolare Hitler che fece di tutto per acquistarlo ad un'asta e che lo mise nel suo studio nella Cancelleria del Reich, dove si può vedere in una fotografia del 1940, dietro la scrivania, mentre il dittatore conversa con i firmatari del patto scellerato di spartizione della Polonia, Ribbentrop e Molotov : quasi un simbolo, l'isola, della tragedia prossima ventura. L'interesse di Hitler per L'Isola dei morti e l'affezione per quell'immagine in particolare, nasceva dalla particolare attrazione per il senso di distruzione e di morte, una "pulsione di morte" come la definisce Erich Fromm in Anatomia della distruttività umana del 1973. Non a caso il dipinto appare di nuovo in una fotografia del 1945 scattata dai Russi nel bunker dove Hitler si suicidò. Nell'isola vediamo meglio l'approdo che nella prima versione era affogato nelle ombre della sera. Si vede un muro e uno scivolo dove verrà issata la barca non appena giunta all'isola. La livida luce della fredda mattina crea un senso di ansia e di smarrimento che accentua il mistero e il silenzio solenne di cui parlava il pittore. Come si è detto l'Isola è una figura dell'aldilà , per meglio dire è una figura psichica dell'aldilà o ancora una sua proiezione onirica, un sogno  del regno delle ombre. L'aldilà nella cultura figurativa è stato spesso associato all'elemento liquido, o meglio ad una simbiosi di terra e acqua. Il Regno dei morti, L'Ade, è sostanzialmente un luogo sulla terra, o meglio dentro la terra, al quale si arriva per una via d'acqua, attraversando un fiume infernale, ad esempio lo Stige. Nella cultura classica è Caronte che su una imbarcazione, sulle acque dei fiumi infernali, trasporta le anime  alle porte dell'Ade. Una bellissima e significativa interpretazione di questa immaginazione tradizionale in cui si vede Caronte che trasporta le anime sulla laguna Stigia è stata dipinta da Joachim Patnir nel 1520 ed è conservata al Museo del Prado di Madrid. Il pittore olandese era soprattutto un paesaggista, anzi uno dei primi vedutisti, famoso per la particolare qualità dei suoi paesaggi che evidenziano dominanti di verde smeraldo e di blu cobalto, nella vegetazione e nelle acque. In pratica i suoi dipinti sono sempre un pretesto per fare paesaggio e le figure non hanno molta importanza, anzi, sono sempre molto piccole rispetto all'insieme naturale. In questo dipinto ( il titolo è controverso, in genere è accreditato Passaggio agli inferi ma è noto anche come Paesaggio con la barca di Caronte sulla laguna Stigia ), domina un grande silenzio:  vediamo un  largo paesaggio lagunare in cui si vedono due spazi che corrispondono a due fiumi: a sinistra il Lete con la Fonte del Paradiso da cui nasce, le cui acque fanno dimenticare il passato e garantiscono l'eterna giovinezza e al centro il fiume Stige con la barca di Caronte che trasporta l'anima di un dannato verso le Porte dell'Ade a destra di chi guarda. Non ha importanza se Bocklin conoscesse o meno questo dipinto o se ne avesse visto delle riproduzioni, né il fatto che questo dipinto disperda l'emozione dello sguardo, mentre quello di Bocklin lo concentri. Importa considerare che entrambi i pittori, in modalità diverse, abbiano pensato un immaginario comune : il trasporto dell'anima nel Regno dei morti attraverso un luogo che smarrisce e comunica un grande maestoso
Joachim Patinir, Passaggio agli Inferi, 1520c, Museo del Prado, Madrid

silenzio assoluto, appena rotto dallo sciabordio dell'acqua che la barca di Caronte sta solcando. Ed ecco allora che anche l'imbarcazione di Bocklin ( piccola con piccole figure anche questa rispetto alla maestosità dell'isola ) che trasporta un'anima, non è tanto un funerale, quanto un viaggio di Caronte ( il rematore ). Secondo la mitologia greca Caronte era figlio dell'Erebo e della Notte ed aveva il compito di trasportare sul fiume Acheronte ( per Pausania e Dante ) o Stige ( per Virgilio ) le anime che per essere ammesse nell'Ade dovevano pagare un obolo. Bocklin, durante i suoi soggiorni romani, avrà certamente visitato gli affreschi romani con scene dell'Odissea, scoperte in una villa sull' Esquilino nel 1848, oggi nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Gli ultimi due affreschi della serie mostrano scene della Nekyia, cioè dell'evocazione dei defunti fatta da Tiresia su richiesta di Ulisse. Si tratta di due scenette. In una la nave dei Greci si avvicina al paese dei Cimmeri che per la cultura greca rappresentavano l'ingresso nell'Oltretomba. A destra un grande arco roccioso che occupa il centro della pittura; in basso Ulisse incontra l'indovino Tiresia. Nell'altra vediamo invece un quadretto lungo e stretto che mostra anche qui un arco naturale con in basso Tizio legato a terra mentre un avvoltoio gli divora il fegato, a sinistra Sisifo che porta in salita dei massi che poi appena arrivato in cima ricadono a valle e deve andarli a prendere e in basso le Daniaidi, condannate a versare acqua con recipienti bucati. Si tratta di penitenti che si trovano nell'Oltretomba a scontare le loro pene. Il dipinto qui sotto è particolarmente suggestivo per le figure ed i colori sfumati. Sappiamo che Bocklin, pur amando la pittura rinascimentale veneta e romana, specie Tiziano e Raffaello e avendo superato la fase paesaggistica ispirata a Poussin e a Lorrain, aveva mostrato un forte interesse per la pittura antica romana, per questi paesaggi particolarmente suggestivi.  



                  Affresco romano staccato dell'Esquilino, Odisseo e Tiresia alle porte dell'Ade, Biblioteca Apostolica Vaticana


L'immaginazione più vicina all'idea di isola come luogo dell'Oltretomba è quella del mito dell'Isola dei Beati, ( o meglio di Isole dei Beati o Isole Fortunate ) che si trovavano nell'Oceano Occidentale oltre le Colonne d'Ercole, identificate da alcuni con le Isole Canarie. Lo storico Giuseppe Flavio, riprendendo la concezione delle maginazione più vicina all'idea di isola come luogo dell'Oltretomba è quella del mito dell'Isola dei Beati, ( o meglio di Isole dei Beati o Isole Fortunate ) che si trovavano nell'Oceano Occidentale oltre le Colonne d'Ercole, identificate da alcuni con le Isole Canarie. Lo storico Giuseppe Flavio, riprendendo la concezione dualistica, secondo la quale le anime degli uomini vengono dal più perfetto etere, però restano imprigionate sino alla morte nella schiavitù della carne; solo dopo la morte potranno dirigersi verso l'Isola dei Beati, mentre colore che non sono riusciti in vita a liberarsi delle impurità dovranno essere puniti penetrando nelle viscere di un'oscura caverna. Di un arcipelago di Isole Felici oltre le Colonne d'Ercole, non diverse dai Campi Elisi, o di un' Isola Felice non diversa dal Paradiso Terrestre , parlano diversi racconti di viaggio, in particolare la Navigatio sancti Brendani, del monaco irlandese S. Brandano. L'originale latino del X secolo è tramandato da numerosi manoscritti in gaelico, latino e tedesco. Per arrivare all'isola, Brandano ed i suoi monaci attraversano un mare tenebroso e immobile avvolto dalle nebbie. Sull'isola ci sono ricchezze di ogni tipo, minerarie e vegetali, fiumi di latte e di miele. E' un luogo felice destinato alla gratificazione e al riposo di Beati, delle anime elette. Il rapporto simbolico fra acqua e morte è presente nell'immaginario classico tanto nel mito del Paradiso Terrestre, quanto in quello dell'Isola dei Beati, quanto in quello del Purgatorio ( sottolineato in particolare da Dante ), che è un'isola situata nell'emisfero australe, con in cima il bosco sacro del Paradiso Terrestre. l'acqua, infatti, è anche un elemento di dissoluzione e annegamento, oltre che sorgente di vita e il suo carattere lustrale vale  per esaltare la sua presenza simbolica come elemento rituale di purificazione tanto nei riti di iniziazione alla vita, quanto in quelli di iniziazione al viaggio nell'altra vita, nell'aldilà. Inoltre, nell'oceano occidentale il sole che tramonta all'orizzonte tutte le sere ha la funzione simbolica di riscaldare, durante la notte, il Regno dei morti. Il rapporto fra acqua e morte, infine, è ben presente nelle pitture funerarie dei sepolcri etruschi dell'Etruria meridionale, il cui simbolismo funerario è stato in modo illuminante studiato e interpretato da Jacob Branchofen. E il critico Norbert Schneider, come sottolinea Marisa Volpi, aveva collegato un brano dello storico svizzero, che aveva visitato le necropoli di Cerveteri e Tarquinia nel 1842, sulla vicinanza fra i sepolcri e le acque del mare, alle varie redazioni dell'Isola dei morti di Bocklin. Branchofen, per primo aveva intuito come nella rappresentazione funeraria si celebrava la vita sociale in una particolare vitalità espressa anche in funzione della presenza simbolica dell'acqua ( tuffatori, nuotatori, sirene, dei del mare ). E questo vitalismo è ancora una volta nella pittura di Bocklin, che non a caso, non tanto per contrastare, rovesciare o semplicemente ironizzare, quanto per vedere il doppio simbolico-mitico dell'Isola dei morti , dipinge l'Isola dei vivi, che è del 1887, in cui il rapporto è fra acqua  e vitalità, con figure mitologiche del mare che attraversano a guado l'acqua bassa in corteo, mentre sull'isola verdissima, si articola un'allegra danza. 


Arnold Bocklin, L'isola dei vivi, 1887, Kunstmuseum, Basilea

I sepolcri che si vedono nelle varie versioni dell'Isola dei morti nelle pareti di roccia sono il simbolo dell'eternità dell'altra vita e l'ingresso buio alle camere sepolcrali nel ventre della montagna l'ingresso nell'ombra, il transito dalla vita alla morte. Vi sono buone possibilità che Bocklin avesse ripreso i sepolcri della necropoli della Banditaccia a Cerveteri che aveva visitato nei suoi viaggi nell' Etruria meridionale. Le tombe sono del tipo a parete con l'ingresso su di una faccia squadrata, con qualche rapporto figurativo con quelle che appaiono nell'Isola. Il fatto che questo tombe si trovino in un contesto arboreo piuttosto esteso   è

File:TombaDadoBanditaccia.jpg
Necropoli della Banditaccia, Cerveteri.


un ulteriore aspetto significativo e si veda la presenza del cipresso ( ve ne erano altri nel XIX secolo )  proprio dietro la tomba. Si tratta dunque di un materiale figurativo che faceva parte del patrimonio culturale e visionario del pittore, oggetto di schizzi e prove di pittura che serviranno in seguito alla creazione della complessità dell'immagine. Gli studi umanistici, la lettura dei poemi omerici e della letteratura mitologica approfondita anche attraverso lo studio figurativo necessario all'illustrazione de Gli dei della Grecia di Schiller che gli era stata commissionata dall'editore Cotta nel 1859, erano serviti al pittore per la sua visionaria reinvenzione, vitalistica e onirica, ironica e umoristica, magica e folklorica. Il rapporto fra paesaggio e figure del mito e del culto pagano, vedono spesso una prevalenza della maestosità della natura ( che è diversa dal classicismo di Poussin, dall'idealismo romantico e dal moderno impressionismo ), la quale è vista in una realtà" fotografica" misteriosa e solenne, in cui le figure spesso sono rimpicciolite in mezzo alla maestosità del bosco o del mare. La miniaturizzazione della figura umana di fronte al paesaggio, crea un effetto quasi straniante che accentua il senso di mistero. La figurina bianca della barca dell'Isola dei morti che in piedi accompagna la bara bianca ( il colore bianco, nella cultura mediorientale è simbolo morturaio, è il colore del lutto e quello del sudario che veste il morto; nell'iconografia occidentale di bianco sono vestite le anime dei Beati nel Giudizio Universale, così ad esempio in Giotto, nella cappella degli Scrovegni ), è stata interpretata per lo più come una mummia senza bende; però vi può essere un'altra interpretazione: è l'immagine di una sacerdotessa. Bocklin ci mostra un'immagine identica in un suo suggestivo quadro del 1884, Il bosco sacro , in cui le immagini di sacerdoti e sacerdotesse vestite con tuniche bianche si recano in processione al fuoco sacro e lo omaggiano in ginocchio in un rito pagano.


Arnold Bocklin, Il bosco sacro, 1884, Kunstmuseum, Basilea


Le pennellate fotografiche del pittore rivelano soprattutto il realismo quasi magico e misterioso, ma allo stesso modo solenne, del bosco, mentre le figurine bianche sono miniaturizzate, vengono assorbite dall'aspetto grandioso e sacro della natura primaverile e solare accentuando il senso di misteriosa solennità rituale. Se guardiamo le due figure inginocchiate davanti al fuoco sacro, irreali come fantasmi o anime dei morti ( le figurine non hanno ombre ), vediamo che sono vestite con una tunica dalla testa ai piedi. Se potessimo metterne una in piedi e girarla di schiena avremmo la stessa figurina che si vede nella barca dell'Isola dei morti . Potremmo dire che è vestita come un sacerdote di culti misterici. E' possibile che    il  


                                                                  L'isola dei morti, particolare

pittore già nel 1880, dopo l'incontro con Marie, avesse pensato con studi e disegni di supporto a questo tipo di figurina proprio intesa come quella di un sacerdote o di una sacerdotessa del culto dei morti, idea che poi riprese nell''84 con il Bosco sacro. A mio avviso la figurina non è propriamente Marie, anche se molto critici hanno pensato ad un suo travestimento simbolico come accompagnatrice dell'anima beata del defunto, quanto una  proiezione onirica di Marie ( la donna aveva chiesto un "quadro per sognare " ), che sarebbe la donna bionda ai remi, in veste di sacerdotessa del culto della morte che accompagna la bara bianca ( in verità, come vediamo dall'ingrandimento qui sopra, la bara non è bianca, è solo coperta da un drappo o sudario bianco ) nell'ultimo viaggio verso l'Isola dei morti. Queste inquietanti presenze vestite di bianco spiccano ancor più e offrono allo sguardo un maggior senso di sacralità e mistero, nel paesaggio ripreso all'alba con le ombre ancora dentro il bosco e il fuoco sacro dalle fiamme aranciate, in una versione del 1886  de Il bosco sacro, in cui è più evidente il richiamo alla pittura nordica tedesca, non solo a quella dei primitivi  



                                                                    Arnold Bocklin, Il bosco sacro, 1886, Kunsthalle, Hamburg.
ma anche a quello di un pittore romantico tenebroso e simbolico come David Kaspar Friedrich, in cui la figura umana è spesso miniaturizzata o quanto meno emarginata di fronte al maestoso spettacolo della natura affascinante, tenebrosa e misteriosa. La figura ammantata non più bianca, ma blu, come inquietante presenza, ricompare in un altro bellissimo dipinto di Bocklin, Odisseo e Calipso, dipinto nello studio di via dei Cherubini a Firenze dove era anche stata l'Isola dei morti. La figura in blu, di spalle, tutta coperta, è Ulisse-Odisseo stesso, osservato da una seminuda Calipso, mentre in solitudine medita sulla sua patria lontana in piedi sulla scogliera dell'isola Ogigia patria della ninfa ( Od. VII, 244-257 ). Come ha sottolineato Marisa Volpi, " l'isola di Calipso, come quella di Circe, potrebbe essere un luogo di morte, al quale Odisseo decide di sfuggire", dopo aver rifiutato l'immortalità che Calipso, innamorata di lui,  gli aveva offerto. Oppure il manto blu scuro potrebbe avere valore come segno di lutto che la visione simbolista del pittore vedeva per avere Ulisse abbandonato la giovinezza indicata simbolicamente dal drappo color rosso sul quale è seduta Calipso davanti alla grotta sacra sua dimora.

Arnold Bocklin, Odisseo e Calipso, 1883, Kunstmuseum, Basilea
  
             La visione pittorica per l'isola dell' Isola dei morti,  nasce certo da modelli reali. Si è pensato all'isolotto di Pontikonissi davanti all'isola ionica di Corfù dove i Feaci lasciarono Ulisse, ma poteva essere più un modello di immaginazione letteraria piuttosto che un referente reale, perché è certo che Bocklin non lo aveva mai visto. Il critico Saltan Mayer, invece aveva individuato l'Isola di S.Giorgio nelle bocche del Cattaro che è certo molto più suggestiva , con i suoi alti cipressi e che forse il pittore aveva visto, ma è piatta e in definitiva poco somigliante.

File:Two.islands.inKotorGulf.jpg
Isola di S. Giorgio, Bocche del Cattaro


Halenweg, aveva invece puntato l'attenzione su Ischia che invece il pittore conosceva molto bene e in particolare allo sperone roccioso con il castello di Alfonso d'Aragona di fronte al quale c'era un cimitero con alti cipressi e dove, nella vicina villa Drago, Bocklin alloggiò nel 1879.


Ischia, Castello di Alfonso d'Aragona
Sebbene non vi sia molta vegetazione e nessun cipresso il promontorio col castello è certo molto suggestivo come modello dell'isola, specie per quelle pareti a fronte mare e per l'insieme di muratura e roccia a fronte mare. Bocklin avrà certamente disegnato il promontorio, come poteva averlo fatto per i cipressi del cimitero che era proprio vicino a casa sua, senza contare il fatto che doveva avere certo importanza anche il Cimitero degli Inglesi a Firenze con i suoi cipressi. Quindi si può pensare ad un'opera di composizione fra le due immaginazioni visive che creano una visionaria isola dei morti, un luogo onirico dell'aldilà. Un dipinto di una misteriosa villa  ( collegato alla morte, come mostra la figura in primo piano sulla spiaggia vestita di nero, quindi in lutto, con aria mesta e la mano sul mento in segno di sconforto, forse una vedova ) su di uno sperone di roccia con una veranda classica, un propileo con colonne doriche e grandi alberi alti, è dipinta da Bocklin nel 1864-1865. Come possiamo vedere qui sotto  il mare è calmo anche se spumeggiante a riva, le piante sono colpite dal vento di mare che piega la cima delle fronde. E il silenzio che dominerebbe il luogo   è assoluto ed inquietante ( un silenzio di morte, non diverso da quello dell' Isola, non un silenzio di serena campagna a fronte mare ) se non fosse appena scosso dal fruscio del vento fra le foglie.

Arnold Bocklin,  villa sul mare, 1864-65, Bajerische Staatsgemaldesammulungen, Munich.

In questa immagine domina l'associazione fra la perdita, l'abbandono, la solitudine, la morte ed il mare; Bocklin questi aspetti li aveva sempre avuti nella sua mente visionaria e nella sua pittura dopo la svolta simbolista e la presenza di un luogo solitario come luogo della morte, questa villa del '65 come l'isola di Ogigia in Odisseo e Calipso ,riprodotta qui, più sopra, dell''83, scuotevano il suo animo di pittore inquieto,originale, parlavano al suo cuore di padre che aveva visto tanti figli morti ( nel 1885 aveva dipinto una sconvolgente Pietà- l'opera è perduta- in cui si vede di nuovo la figura in nero col volto coperto che si piega sul corpo nudo di Cristo sul sepolcro, mentre dal cielo emergono i figli del pittore che si sporgono in basso verso la donna in lutto ), scuotevano le corde sensibili del silenzioso mesto distacco dalla vita e al lento avvicinarsi all' isola della morte. Certo Bochlin, anche se l'approdo all'isola è al tramonto, avrà tenuto presente le parole di Omero che nel VII dell'Odissea fa parlare Ulisse ( personaggio emblematico, espressione di una straziante solitudine in riva al mare della vita e della morte, e si pensi ad Odisseo sulla spiaggia del 1869 ) : "...nella decima notte nera all'isola Ogigia mi accostarono gli dei, dove Calipso vive, riccioli belli, terribile dea...". E chissà se Bocklin, che leggeva L'Orlando Furioso in italiano e conosceva l'interpretazione pittorica simbolista di Dante, non avesse letto il XXVI canto dell'Inferno e del momento del passaggio di Ulisse dall'avventurosa vita all'improvvisa morte, proprio davanti all'isola-montagna del Purgatorio :

    Tutte le stelle già de l'altro polo
vedea la notte e 'l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,

quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.


BIBLIOGRAFIA:   

Marisa Volpi, Bocklin, Art Dossier, n.165, 2001
Han Halenweg, Introduzione a Isole del pensiero, Arnold Bocklin, Giorgio de Chirico, Antonio Nunziante, Catalogo della mostra del 2011 a Fiesole, Mondadori, Electa, 2011.
www Wikipedia, Bocklin, Isola dei morti, Il bosco sacro, l'isola dei vivi, la villa sul mare, Odisseo e Calipso, Autoritratto con la morte,  Patnin, passaggio agli inferi, simbolismo, simboli: mare, acqua, morte.
Erich Fromm, Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano, 1973
www, Diego Fusiol tracce freudiane, la morte
Matilde Battistini, Simboli e allegorie, Electa, 2002
Arturo Graf, Miti, leggende, superstizioni del Medio Evo, Mondadori, Milano, 1984 ( Il mito del Paradiso Terrestre )
Hans Biederman, Simboli, Garzanti, Milano,2005
Marcella Farioli, Mundus alter, Milano, Feltrinelli,2001



             






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