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domenica 8 dicembre 2013

Un abbraccio di morte



                               

                                   UN ABBRACCIO DI MORTE

                                                   L'abbraccio ( Gli amanti )
                       
                                              Egon Schiele
                                               
                                                         Osterreichische Galerie, 1917, Wien



"Esisto per me e per coloro ai quali la mia sete in inestinguibile di libertà

dona tutto,ed esisto anche per tutti perché-anch'io so di amare-amo tutto
sono il più nobile fra gli spiriti nobili, il più generoso nel restituire. Sono un
essere umano, amo la morte e amo la vita."
 Egon Schiele.



File:Egon Schiele 016.jpg
Egon Schiele, L'abbraccio ( Gli amanti ),1917, Osterreische Galerie, Wien




                       

                 L' abbraccio ( indicato talvolta con il secondo titolo Gli amanti ) venne realizzato da Egon Schiele nel 1917, a ventisette anni, un anno prima della morte, in pieno conflitto mondiale. La dissoluzione dell'impero asburgico, gli avvenimenti tragici di quei giorni, le migliaia di morti, la sconfitta che si profilava alle porte di Vienna, la presenza concreta e distruttrice della morte sull'Europa, furono fatti che incisero non poco sull'animo tormentato dell'artista. Ma la presenza della morte non solo come momento di conclusione, di allontanamento, di uccisione delle speranze, ma anche come attrazione, come fatale coinvolgimento e come presenza costante nella vita dell'uomo sin dalla nascita, quasi che l'uomo stesso nascesse per la morte, è presente già da molto tempo prima nel pensiero di Egon. Scrive nel 1910 che tutto" nella vita è morte"; ogni atto ha un carattere di cessazione, di distruzione e più di ogni altro l'atto erotico : amare passionalmente, amare carnalmente, è un po' come morire. E' la convergenza degli opposti di eros e thanatos. Ha scritto Bataille ne L'Erotismo ( 1957 ), che " alla base dell'erotismo vi è un senso di continuità che ha la sua sorgente nella morte. Il senso di vertigine che essa suscita è la sensazione che alla superficie di quel passaggio che si frappone fra discontinuità e continuità" . Nell'abbraccio,l'uomo e la donna, nella loro fredda e quasi mortuaria nudità, sono uniti non propriamente dalla passione, dal desiderio, dal coinvolgimento erotico, quanto sono avvinti, o meglio avvinghiati, in un disperato attaccamento che è soprattutto un allontanamento dalla vita o, se vogliamo un estremo attaccamento ad essa, non nella vita stessa, ma nella morte. Come se essa fosse difesa, rifugio e piacere. I colori sono spenti, molto asciugati, l'incarnato dei corpi nudi vira sul gioco dei rosa e dei bruni chiari e scuri che, specie nella schiena dell'uomo, sembrano aggrediti da macchie come grossi ragni che mettono in rilievo la tensione dei muscoli che sono tirati non tanto nell'azione erotica, quanto nella aggressione disperata alla carne, come se l'abbraccio fosse una protezione da un pericolo imminente. Il lenzuolo bianco è un indice simbolico del sudario, del lenzuolo mortuario; su di esso sono deposti i corpi nudi in un amplesso che sembra un'agonia. Si notino due particolari : le pieghe del lenzuolo che appaiono come onde in un mare caotico e le punte a dente del guanciale, come se fossero le fauci chiuse di un lupo o di uno squalo. Ma se vogliamo anche le affossature, i buchi che si vedono verso l'esterno al di sopra della donna che sono si indici erotici dei sessi, ma anche segni di un terreno accidentato, difficile, crepato. Anche i capelli neri come grandi macchie inquietanti o come onde di inchiostro che attraversano il bianco del lenzuolo. L'assenza dello sfondo è una sua importanza, la superficie a pennellate nervose spegne l'azione erotica, gli toglie dimensione, prospettiva, punto di vista. Come vediamo i due amanti non si guardano, non si baciano; i loro volti sono divergenti. La donna schiaccia le labbra sulla spalla dell'uomo e con la mano tiene lontano da sé e schiacciato in basso il viso dell'uomo; l'uomo abbraccia la donna in uno spasimo che mozza il fiato; è un estremo tentativo di rimanere legato alla vita, al sesso, alla speranza. E' noto che Schiele si era ispirato ad un famoso dipinto dell'amico e compagno in arte Oskar Kokoschka ( entrambi erano stati allievi di Klimt dal cui raffinato decorativismo si erano poi discosti ) , La sposa del vento, realizzato nel 1914, ispirandosi alla propria devastante passione per Alma Maheler, vedova del grande compositore Gustav, di cui era stato amante per due anni e che era bruscamente finita.


Oskar Kokoschka, La sposa del vento, 1914, Kunstmuseum, Basel
Nello straordinario dipinto troviamo lo stesso agitarsi ondoso delle lenzuola sui due amanti nudi ( l'opera è anche nota come La Tempesta, proprio per questo sconvolgimento di un ammasso scomposto di forme  tempestose, di nubi, di venti contrari, intorno ai due personaggi sdraiati, metafore della tempesta di sensazioni che vi si agita intorno alla loro passione alla deriva ). Tuttavia qui non è presente il senso del tragico estremo, non si avverte la presenza inquietante della morte fra i corpi dei due amanti, non vi è un anonimato reso ancor più straniante dal fatto che i volti si separano distanziati ( si tratta del pittore e della sua amante ), ma vi è un altro tipo di inquietudine, quella della passione che è vissuta al suo estremo, anche nei suoi atroci dubbi, anche nel senso di angoscia e timore della fine. L'uomo è sveglio, tormentato, conscio della tempesta della sua passione, teso nel flettersi dei muscoli e dei nervi, con gli occhi spalancati e la testa immobilizzata dall'angoscia di un'attesa senza fine, alla ricerca impossibile di un equilibrio fra ragione e sentimento. La donna, invece, dorme serena, ignara del dopo, appoggiata con suo corpo nudo su quello dell'amante, senza curarsi delle angosce esistenziali che disturbano la sua psiche. Schiele aveva molto amato questo dipinto e lo aveva a lungo studiato. Aveva subito colto l'idea dei corpi nudi adagiati in uno spazio piatto e sconvolto e le linee nervose che attraversano il corpo maschile e circondavano il letto; gli interessava di meno, invece, vedere i corpi circondati da quella tempesta metafisica, né il volto sveglio e angosciato dell'uomo e sereno e addormentato della donna. Gli interessavano poco gli sconvolgimenti passionali, gli interessava invece vedere nell'unione dei corpi, nella loro disperata compenetrazione, un abbraccio alla morte, un perdersi non nella passione, ma un perdersi nella fine della vita. Questo aspetto, però, non è tanto un andare unidirezionale verso la morte, quanto un andare e venire, come nelle onde del letto, che in qualche mondo ne sono la metafora. L'uomo nasce per morire e muore per ri-nascere. E questo rapporto stretto fra la vita e la morte è sempre presente nella poetica pittorica di Egon. In una opera del 1910, La madre morta, il rapporto fra vita e morte è espresso in modo molto drammatico attraverso l'antitesi fra la madre e il bambino che sta nel suo seno: la madre è morta e il bambino invece esprime una vitalità gioiosa. Entrambi sono avvolti in un abito nero che esprime il lutto che è il colore della morte. 






Egon Schiele, La madre morta, 1910, Leopold museum, Wien







               Come possiamo vedere nel dipinto quello che domina le due figure è il manto nero che avvolge tanto la madre quanto il bambino che è visto come attraverso un  oblò, l'utero materno, nettamente separato dalla madre che risulta isolata e distaccata dal contorno di vernice scura. E' importante osservare come il bambino è illuminato all'interno dell'utero, anzi è lui stesso che produce la luce, la emana, come se ne fosse la fonte. La luce della vita, della gioia del vivere, espressa dall'occhio aperto, dal sorriso, dall'atteggiamento sereno e quasi giocoso del volto, sono in netto contrasto con il volto terreo, legnoso, livido della madre, attraversato dall'ombra. E' un contrasto, un rapporto per antitesi, fra un figlio e una madre distante, lontana, tutta immersa nel proprio lutto. La madre del pittore aveva perduto due figlie ed aveva subito la malattia del marito, la sifilide, che lo aveva portato alla follia e alla morte. Aspetti che non potevano non incidere con la stessa esistenza del giovane Egon, in un periodo delicato, di passaggio dall'adolescenza alla vita adulta, diviso fra la fredda e severa accoglienza materna e la presenza di un padre consumato dalla malattia che perdeva sempre di più, giorno per giorno, la sua lucidità e la sua autorità. Il tema della madre e della morte ritorna anche in un dipinto più tardo, realizzato fra il 1915 e il 1917, Madre con i due bambini, in cui la madre, al centro ha un volto cadaverico, quasi un teschio, mentre ai suoi lati sono i due bambini disposti su di una orizzontale, ritti, separati ed ancora una volta distanti dalla madre.






Egon Schiele, Madre e due bambini, 1915.17, Osterreische Galerie Belvedere, Wien




                    Il tema della morte, strettamente connesso al tema della vita e dell'eros, è costante nella poetica espressionista di Schiele. La morte è nella vita sin dal suo sorgere e la vita stessa è un'esistenza per la morte.Il rapporto fra eros e thanatos è determinato essenzialmente dalla difficile convivenza con la nevrosi che costeggerà l' esistenza del pittore. La nevrosi consuma e tradisce, scarnifica e coinvolge. La pulsione alla vita e la pulsione alla distruzione non sono qui antitetici, ma si incontrano drammaticamente. In Schiele la morte con è una meditazione, la presenza di un teschio non porta la figura umana che lo guarda a meditare sulla precarietà dell'esistenza come ad esempio in Et in Arcadia Ego del Guercino, ma come ha detto Marco Vozza il pittore assume l'icona della morte su di sé, è egli stesso la morte in cui Schiele si proietta e si riflette. Prendiamo ad esempio un dipinto del 1915, data emblematica per Vienna, con la prossima dissoluzione dell'impero asburgico e l'ingresso dell'Austria in guerra, La morte e la ragazza; l'opera venne dipinta da Schiele in un momento drammatico della sua esistenza, la perdita della propria amante e modella Wally. Nel dipinto vediamo un abbraccio della donna alla morte che altri non è che rappresentata dal volto del pittore stesso, avvolto in una specie di saio nero, che ha un'espressione sinistra e tragica. Egli rappresenta il senso di perdita e di distacco in cui la donna si protende in un abbraccio incompleto ( le scheletriche braccia non stringono la schiena di Egon-Morte, le braccia restano staccate ) e la Morte si riversa su di lei in un bacio che è un morso vampiresco, un'aggressione silenziosa e furtiva.



Egon Schiele, Morte e ragazza, 1915-16, Osterreische Galerie, Wien


                 L'uomo e la donna, Egon e Wally, sembrano fluttuare in uno spazio piatto e molto mosso. Sul fondo fatto di rocce ondulate che sembrano sacchi o cuscini induriti, giallognole, marroni, brunastre, separate in alcuni punti dalla cesura di segni di vernice verdastra è deposto un lenzuolo bianco sconvolto non meno di quello che vediamo negli Amanti , un lenzuolo di pieghe nervose, contrapposte, sovrapposte. I due corpi sono vestiti, ma quello di Wally, in una precedente versione era nudo, uniti, ma senza che i volti si incontrino in un bacio, proprio come negli Amanti. Schiele per questo quadro si era rifatto ad un dipinto del maestro tedesco rinascimentale Hans Baldung Grieg, del 1517, La fanciulla e la Morte, in cui la Morte in figura di scheletro e di teschio aggredisce la bianca fanciulla nuda da dietro con un bacio che è più propriamente un morso. Qui l'atteggiamento della Morte è vampiresco , la sua presenza incombente con il volto terreo, con l'occhio spalancato e le labbra che già succhiano il sangue della vita sono molto significative di un clima culturale e di una tensione interiore. La madre, la morte,il padre, la donna, l'eros. Aspetti che segnano la vita del pittore. Al rapporto difficile con la madre che gli rimproverava la vita sregolata, ma alla quale Egon si sentiva legato senza poterle mai esprimere liberamente sentimenti di affetto e riconoscenza, fa seguito quello con il padre; un rapporto edipico di dipendenza e ribellione, di rassegnazione, affetto e rancore. Era stato il padre ad avviarlo e incoraggiarlo da ragazzo verso l'arte, ad ammirare le sue doti di disegnatore; ma allo stesso padre egli rimproverava la malattia, la distruzione del sé quotidiana, il lento inesorabile declino verso la fine, verso la morte. La morte segna l'esistenza, porta in sé attrazione e repulsione: è la morte del padre, delle sorelle, degli amici, dell'amante. E' la morte che diventa arbitra del suo destino e che fa il suo destino. Come la morte, la pulsione  alla fine, alla distruzione, così l'eros che non è mai per Schiele un coinvolgimento pieno, giocoso, ma sempre dominato dall'angoscia, dal tormento interiore. L'attrazione per il sesso è precoce. Da ragazzo ha una passione insana per la sorella Gertrude che poserà poi più volte nuda per lui. Il suo interesse è rivolte prevalentemente per le adolescenti che studia con il suo disegno analitico, attento a guardarne le singole parti più in se stesse che nel loro insieme. Le figure di Schiele sono spesso scomposte, frammentate, arti, articolazioni, forme, sono scomposti; i movimenti dell'accoppiamento non sono mai semplici. composti e lineari, ma tormentati, sconvolti, come in una lotta, in uno scontro, in una tortura dei corpi. La sessualità come prigione, come tortura: " Credo che l'uomo-scrive Schiele-debba soffrire la tortura sessale finché è capace di sentimenti sessuali" . La pulsione erotica ( vissuta anche su se stesso con la confessione e l'ostentazione dell'onanismo ), soddisfatta, compulsivamente, in modo ossessivo con donne molto giovani,  gli procurerà non pochi guai . Nel 1912 viene accusato da un ufficiale di marina in pensione di aver sedotto, rapito e abusato sessualmente della figlia minorenne, Georgette Anna. Arrestato e imprigionato subirà il trauma della detenzione e della degenerazione fisica nella cella dove si trovava rinchiuso. Scrive in una pagina del suo Diario dal Carcere: " Devo vivere con i miei escrementi, respirare l'esalazione velenosa e soffocante. Ho la barba incolta-non posso nemmeno lavarmi a modo-Eppure sono un essere umano!anche se carcerato; nessuno ci pensa?" ( da Wikipedia, Diario dal carcere, 18.4.1912 ). Sebbene venisse presto scarcerato ed accusato solo di aver diffuso le sue opere considerate dalla Corte di Giustizia pornografiche, l'esperienza del carcere segnerà molto la sua personalità complessa e nevrotica. L'eros, che tanto costella la sua esperienza artistica espressionista, esprime la sua interiorità in ebollizione, la sua scoperta del corpo, la sua angoscia esistenziale nel passaggio traumatico dall'adolescenza all'età adulta. E' un po'come nel Giovane Torless di Musil, la scoperta della nudità, della propria e di quella della donna,è vissuta, nel suo immaginario, come una distorsione della forma, come una deformazione, come una traumatica mortificazione e distruzione del fisico, non diversamente da ciò che accadeva ai mistici e ai martiri  Scrive Musil: " Quando immaginavo il suo corpo libero dai vestiti, ai miei occhi apparivano immediatamente movimenti contorti,irrequieti, una torsione delle membra e una deformazione della spina dorsale, quali si potevano vedere nelle raffigurazioni dei martiri, e nei grotteschi spettacoli degli artisti di fiera"  ( da I turbamenti del giovane Torless, di Robert Musil ). E' una perfetta illustrazione dell'arte di Schiele. Ed è possibile che oltre alla lettura del romanzo pubblicato nel 1906, il pittore si fosse realmente ispirato ad immagini di pittori del dolore tedeschi come Grunewald e Baldung Grieg. In ogni caso un particolare ci colpisce : le mani. Le nevrotiche mani ossute così tanto esibite da Schiele nei suoi dipinti al punto da sostituirle persino, talvolta alle mani femminili, tanto da diventare il suo segno ricorrente, la sua icona, probabilmente derivano dalle scheletriche mani del Cristo crocifisso di Grunewald.

La Crocifissione di Matthias Grünewald - dettaglio
Matthias Grunewald, Particolare della Crocifissione, 1515, Comparto  Centrale, Altare di Issehim



                Le mani di Egon attirano la nostra attenzione, sono sempre riprese in una posa nervosa, con  le dita aperte, con le dita chiuse o intrecciate. Vi sono fotografie di Egon che lo mostrano con la posa delle sue mani, come quelle che nel 1914 gli fece l'amico Anton Tékla.



Anton Tekla, Egon Schiele, Fotografia, 1914


                                                                                                          Anton Tékla, Egon Schiele, 1914, fotografia


Spesso le dita sono separate ad indicare una feritoia, come negli Amanti , nel gesto della donna, che Egon ripete spesso e che è un gesto erotico di disponibilità sessuale, presente in Flora di Tiziano, usato dalle cortigiane veneziane per attirare i clienti. Non sappiamo se il pittore conoscesse il significato del gesto rinascimentale, forse si; in ogni caso è interessante vedere come lo stesso gesto compare fatto da lui in una fotografia del '14 e in alcuni dipinti a carattere erotico; non solo gli Amanti, ma anche in altri in altri in cui lo stesso Schiele mostra la propria nudità maschile, probabilmente con lo stesso significato, come in questo autoritratto nudo del 1910. Comunque, al di là del gesto in sé , le mani   compaiono


Egon Schiele, Autoritratto,, acquerello, 1910

spesso nei molti disegni del pittore ( Schiele è stato un grandissimo disegnatore, forse il più grande dell'età moderna; la sua opera grafica, nutritissima, è quasi integralmente conservata all'Albertina di Vienna ) e negli acquerelli e in qualche dipinto, non solo nella figura maschile ( in larga parte autoritratti ), ma anche in quella femminile ed è interessante osservare, come già accennato, che la mano è ancora una volta quella del pittore che produce un " trapianto semantico", vale a dire una collocazione significante di sé in un corpo che non è il suo a definire come il sé fosse in tutta la sua produzione artistica, come ad esempio in quest'opera in cui compare la moglie Edith. Ma possiamo anche ricordare l'impressionante mano maschile che compare     nella


Egon Schiele, Nudo femminile con calze verdi, 1912, Museo Nazionale, Praga

madre morta e la stessa mano della donna negli AmantiDel resto, forse con la sola eccezione di Rembrandt, Egon Schiele è l'artista che si è più autoritratto in assoluto. Come sappiamo egli possedeva un grande specchio d'armadio che gli era stato regalato dalla madre, dal quale non si separava mai. Davanti a quello specchio osservava, provava, definiva le pose che poi avrebbe riprodotto nei suoi dipinti. Ma non gli interessava tanto l'unità del corpo, quanto i frammenti di esso, la sua destrutturazione. E il guardare non è solo osservazione esteriore, è soprattutto scandaglio dell'animo, visitazione della propria profondità. Scrive il pittore: "Quando mi guardo mi sento costretto a guardarmi anche internamente e a scoprire cosa voglio, che cosa avviene in me, ma anche a domandarmi fino a dove arrivano le mie possibilità di percepire, quali sono le mie capacità; di quali sostanze misteriose sono costituito e qual è quello predominante, che come sono in grado di riconoscere e che cosa ho riconosciuto in me fino ad ora " ( in Laino, Colui che vede se stesso in Psicoart, 2007, p.4 ) . Un'operazione di scomposizione del sé corporeo per ritrovarlo nella propria psiche è l'operazione artistica e psicologica che sviluppa Schiele, determinata, nella elaborazione grafico-pittorica, in un'immagine secca, in primissimo piano, senza sfondo, con un segno deciso ma nervoso, più portato alla elaborazione delle linee curve, delle forme mosse, che nella placata forma senza asperità né tormenti, con pochi colori ( a volte solo due o tre, o addirittura uno solo ) che mostrano un'immagine in dissoluzione, che si consuma e quasi si perde. Il pittore, che aveva vissuto fra Eros e Thanatos, presagiva la sua fine, la fine dell'Impero Asburgico e della quiete familiare che aveva raggiunto dopo il matrimonio con Edith. Tornato dalla Grande Guerra, dopo aver partecipato alla mostra della Secessione in una Vienna sconvolta dalla sconfitta, proprio quando sembrava che i suoi tormenti potessero aver fine e placarsi nelle gioie familiari, la terribile epidemia di Spagnola colpì sua moglie Edith incinta e lui stesso, che morì alla giovane età di 28 anni. Due dipinti ci sono testimoni diversi di questo periodo: il dipinto della propria famiglia nuda che emerge dall'oscurità del fondo e si affaccia sul palcoscenico della storia rivestita della sola luce della speranza e il Mulino Vecchio in cui una marcescente struttura lignea che simboleggia il Vecchio Impero Asburgico, viene distrutto dall'impeto delle acque della modernità e delle nuove emergenti nazioni.



File:Egon Schiele 014.jpg
Egon Schiele, La famiglia, 1918, Osterrechische Galerie Belvedere,Wien.
  



Egon Schiele, Il Mulino Vecchio, 1916-17, Niederosterreichisches Landesmuseum,Wien




Bibliografia:

Eva di Stefano, Egon Schiele, Dossier Arte, Giunti, 1992
Eva di Stefano, Egon Schiele. Gli autoritratti, Dossier Arte, Giunti, 2003
Imma Laino, Egon Schiele ( 1890-1918 ) Colui che vede se stesso, in Psicoart, Bologna, 2007
Stefano Ferrari, Lo specchio dell'io. Autoritratto e psicologia, Roma-Bari, laterza, 2002, pp.77-136
Reinhardt Steiner, Egon Schiele 1890-1918. L'anima notturna dell'artista, Taschen, Kolhn, 2000, ed.it.

                                       

                              

                                                 


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