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domenica 8 dicembre 2013

la tragedia sulle spalle




                            LA TRAGEDIA SULLE SPALLE


                                                               DEPOSIZIONE
                 Jacopo Carucci detto Il Pontormo. 1526-28, Cappella Capponi, S,Felicita, Firenze

Comunque, uno, più giovane, quello che regge Cristo sotto le ascelle, un giovincello sui sedici anni, tutto vestito di quel grigioverde di cui si vestirono nei secoli, soldati ora perduti negli ossari del mondo a lasciare il verde di quel panno nei crepu­scoli di bufera...  (Pasolini) ( in materiali per la " Ricotta", in Pier Paolo Pasolini, Per il Cinema, Meridiano Mondadori.pp. 323.351 )



Deposizione
Pontormo, Deposizione, 1526-1528, Cappella Capponi, S.Felicita, Firenze

                Quando Pier Paolo Pasolini, nel 1963 diresse l'episodio de La Ricotta inserito nel film Rogopag-Laviamoci il cervello, fra i materiali usati per il film guardò e descrisse con la solita penetrazione critica e la straordinaria capacità espressiva, il dipinto del Pontormo, un pittore che come Rosso Fiorentino o Caravaggio, usciva dalla tradizione figurativa rinascimentale per sviluppare una propria nuova poetica personale ed originale che alla fine diventa una dirompente rivoluzione. E proprio il melanconico ed eretico Pontormo, chiuso in se stesso, poteva interessarlo figurativamente per realizzare un tableau vivant  a colori in un film in bianco e nero, con il commento sonoro di Scarlatti, che poteva meglio illustrare la varietà stilistica che il regista si era proposto ; l'ideale ( al di là dell'autoironico compiacimento per la propria formazione pittorica sotto la guida illuminata di Roberto Longhi ) per rappresentare la disperata passione del povero affamato Stracci, il protagonista del film, che interpreta la parte del Buon Ladrone in una Passione diretta da Orson Wells. Nelle note al dipinto pensato per il film Pasolini aveva posto l'attenzione sui personaggi raffigurati dal Pontormo e di uno di questi aveva osservato il volto pasoliniano, proletario, soldato anonimo perduto in chissà quale ossario, del giovane che sostiene il peso della storia ( della tragica storia della Passione e dell'Incarnazione di Cristo ), con leggerezza e disperazione. Il giovane che ci volge lo sguardo, sembra non sentire il peso del corpo di Cristo, ma nella sua espressione mostra di sentire tutto il peso della tragedia, cercando, nello spettatore, quasi un richiamo disperato, un coinvolgimento alla tragedia che si è compiuta. Pasolini aveva sottolineato come il giovane al centro si stacchi dal panno verde a terra ( senza appoggiarsi il giovane accucciato vi si libra sopra ) lasciando ( o rapendo ) quel colore " ai crepuscoli di bufera ". La morte, dunque ( gli "ossari del mondo" ) e la tragedia naturale ( i " crepuscoli di bufera " ).


Poontormo. Deposizione. 1525






     Pasolini, La Ricotta, 1963, fotogramma





Il soggetto del dipinto è comunemente interpretato come Deposizione o Deposizione dalla Croce, ma qui non abbiamo nessuna croce come ad esempio nell'altro esempio pittorico usato da Pasolini, la Deposizione dalla Croce del Rosso Fiorentino, che presenta personaggi originali e fuori dalla tradizione e che precede di qualche anno l'opera del Pontormo. Abbiamo un trasporto del corpo di Cristo, come già aveva fatto Raffaello  che raffigurava nel  1502, nella Deposizione della Galleria Borghese, il momento del trasporto ( ma la croce era evidenziata in piccolo in alto a destra nel paesaggio verdeggiante) classicamente effettuato, in primo piano, da due trasportatori che evidenziano, nelle loro posizioni di contrasto, lo sforzo compiuto sollevando il lenzuolo mortuario. In Raffaello l'ordine geometrico della composizione mostra il perfetto equilibrio dei personaggi e la loro collocazione ha una precisa logica di pesi e di misure. In Pontormo tutto   è


Rosso Fiorentino, Deposizione dalla Croce, 1521, Pinacoteca e Museo Civico di Volterra

File:Raffaello, pala baglioni, deposizione.jpg
Raffaello, Deposizione, 1502, Galleria Borghese, Roma

rovesciato, il pittore esce dall'armonia geometrica rinascimentale per ricreare una nuova armonia attraverso posizioni e collocazioni apparentemente irragionevoli, ma significativamente disposte per creare un insieme allucinato e drammatico. I due trasportatori qui non sollevano esprimendo una fredda fatica, ma una evidente facilità, una leggerezza che sembra provenire loro da una un'energia sovrumana, infatti non sono degli esseri umani, ma sono degli angeli, come correttamente bisogna leggerli, senza le ali, ma con espressioni che possono essere riviste in diverse immagini fisiognomiche di angeli ( gli stessi capelli chiari e il volto con espressione straniante ne sono una riprova ). Il momento è quello che precede la sepoltura e che è successivo alla deposizione, Cristo viene trasportato verso la tomba e il suo trasporto non provoca un composto  dolore come in Raffaello, ma determina uno scompiglio dell'anima negli astanti, un dolore che è molto più incisivo e disperante. Nell'immagine appare la Madonna che, come in Raffaello, evidenzia la presenza iconografica di una Pietà dissociata ; nel senso che Cristo e la Maria non sono uniti insieme come nella tradizionale iconografia della Pietà, ma sono distaccati. La Madonna, di fronte all'apparire del cadavere del figlio, ha un mancamento, non proprio un completo svenimento come in Raffaello ( ma probabilmente qui l'artista ha voluto ritrarre solo il primo momento del dolore trafiggente che colpisce la madre di Cristo; un dolore che si avverte però in modo molto più incisivo che non nell'Urbinate ). Rispetto alla Maria di Raffaello che ha non propriamente i tre colori canonici ( azzurro, bianco, celeste ), ma che comunque rispetta la tripartizione cromatica ( azzurro del velo, bruno della veste, bianco della sottoveste, della quale si intravvede il bordo ) ed anche simbolica, la Maria del Pontormo sfoggia una grande veste con un solo colore dominante, il celeste, che si caratterizza, poi nei suoi viraggi di chiari e scuri, sul corpo vestito della Vergine.E' una Madonna tutta in celeste. Secondo una tradizione cristiana Maria è chiamata " Il giglio blu", ad associare le idee di purezza ( il giglio ) e di spiritualità ( il blu, o azzurrino ). L'azzurro ( il celeste è una sua componente ad una tonalità più bassa ) è associato, simbolicamente, alla spiritualità ed al cielo. Nel dipinto del Pontormo, il celeste centrale di Maria, è indossato anche dal personaggio a destra in basso che sorregge Cristo ( probabilmente un angelo ), dalla donna a sinistra che protende le braccia, è presente nel turbante di un'altra donna poco più avanti, e nel velo della donna in alto in piedi. Se, come è corretto, dobbiamo vedere nella costruzione geometrica dell'immagine, una piramide, vediamo come il celeste domina tanto il vertice, quanto i lati e la base della faccia frontale questa piramide. E' un'immagine, dunque, segnata, simbolicamente, dalla spiritualità. Se poi pensiamo che in questa raffigurazione il cielo, che dovrebbe essere celeste, sede naturale della spiritualità, non lo è affatto, possiamo dire che tutto il celeste del cielo, tutta la spiritualità, è calata in questa piramide di corpi aggrovigliati senza peso, quasi fluttuanti nel vuoto, che sono uniti intorno alla grande tragedia della morte di Cristo. Per comprendere meglio l'immagine, è bene collocarla nel contesto della cappella in cui si trova. Innanzitutto dobbiamo dire che Ludovico Capponi, che aveva il proprio palazzo a breve distanza dalla piccola ed isolata chiesa di S. Felicita nella zona di Oltrarno, nel 1525 acquistò la cappella Barbadori di architettura brunelleschiana, per destinarla a propria cappella funeraria. Per questo diede incarico al Pontormo di realizzare la decorazione . In origine, la cappella era formata da un ristretto spazio cubico su 4 pilastri che reggevano una cupola innalzata, come quella di S. Maria del Fiore, senza armatura da Brunelleschi.  Nell'occhio della cupoletta  ( oggi scomparsa a seguito dell'affaccio sul Corridoio Vasariano ), realizzò un Dio padre, nella parete ovest, una Annunciazione, nei Pennacchi della cupola, insieme al Bronzino, i 4 Evangelisti, mentre sopra l'altare collocò il capolavoro, con la Deposizione o, meglio con Il trasporto di Cristo al Sepolcro ). La cappella è poi completata da una ulteriore decorazione nella stessa parete ovest, la vetrata dipinta di Guillaume de Marcillat ( per la precisione con una copia, perché l'originale è andato perduto ) , con un'altra Deposizione, realizzata dal grande maestro di vetrate nel 1526. Il Pontormo, spirito bizzarro, scontroso, solitario e malinconico ( come ce ne dà ragione il suo Diario ), serrò la cappella con una staccionata impenetrabile per lavorare in pace. Finì nel 1528, quando venne aperta per essere mostrata"con grande meraviglia di tutti ", come sottolineò Giorgio Vasari che pure aveva storto non poco il naso di fronte a tanto ardire contrario alla tradizione toscana ed ai principi della religione contro riformata di stretta osservanza romana .


File:Guillaume de marcillat, trasporto di cristo al sepolcro.jpg                      File:Santa felicita, annunciazione di pontormo.JPG
vetrata ( copia ) di
Guillame de Marcillat ( 1526 )        Pontormo, L'Annunciazione, parete ovest della Cappella Capponi
con La Deposizione
                 
                       Non sappiamo se il Capponi scelse l'artista perché di chiara fama o perché in qualche modo condividesse le sue idee in materia di spiritualità e di religione, non strettamente connesse con i dettami ufficiali. In ogni caso l'iconografia della cappella, a destinazione mortuaria, evidenzia il principio e la fine della incarnazione: Cristo, per volere di Dio padre, nasce nel ventre virginale della Madonna, dopo la passione e la crocefissione ( Il Marcillat nella sua immagine mostra la croce sullo sfondo ), Cristo viene trasportato da due personaggi che sono visualizzabili come angeli ( non sentono la fatica del peso del corpo, hanno volti stranianti, capelli chiari, sembra che quasi sfiorino il suolo come se vi scivolassero sopra in punta di piedi; a guardare bene, anzi, sembra quasi che stiano per spiccare il volo per trasportare il Cristo fuori dello spazio terreno in quel cielo che non si vede e che invece si trova al di là, nell'oltre, presso dio padre che vigila dall'alto nell'occhio della Cappella. Secondo il critico Antonio Natali, la scena rappresenterebbe, in realtà, l'Eucarestia, in cui Gesù Cristo sarebbe il pane angelico, come indica S. Agostino nell'Omelia 13, il corpo trasportato dagli angeli. E' un'interpretazione molto suggestiva e credibile che spiega come mai a trasportare il corpo di Cristo siano appunto due angeli ed anche perché vi è una certa insistenza nella raffigurazione del medesimo soggetto nella stessa cappella, come è evidenziato dalla vetrata del Marcillat ( Natali, 2006 ). Dunque, il trasporto di Cristo non sarebbe altro che il trasporto del pane angelico, cioè la personificazione ( e quindi l'istituzione ) dell'eucarestia. Nel fluttuare di personaggi ( se ne contano 11 ), possiamo vedere, di spalle, una donna che si rivolge verso la Madonna, che sta per svenire, allarmata, con in mano un fazzoletto. La donna ha una veste rosa, i capelli chiari ed è di spalle. Si è voluto identificarla con la Maddalena che è un personaggio di regola presente nelle scene di Crocefissione e di Deposizione. Un personaggio che è invece sicuramente identificabile è Niccodemo. Lo vediamo a destra, dietro la Madonna. Taluni critici hanno identificato nel volto un autoritratto dello stesso Pontormo che però si raffigurerebbe come un vecchio, mentre all'epoca aveva 33 anni, come quelli di Cristo al momento della Crocefissione. E allora sembra più utile vedere nel volto di Cristo un autoritratto del pittore, da mettere in relazione con quello di san Jacopo nel dipinto Madonna con Bambino e Santi ( Pala Pucci ), del 1518, in S. Michele Visdomini a Firenze.

File:Jacopo Pontormo - Madonna and Child with Saints - WGA18082.jpg
Pontormo, Madonna con Bambino e Santi ( pala Pucci ), S. Michele Visdomini, Firenze 
Il volto di S. Jacopo ( o Giacomo Maggiore ), autore del noto Protovangelo in cui attribuisce una importanza non secondaria alla figura di S. Giuseppe, rappresentato qui a sinistra ed indicato dalla Vergine, è quello a destra, con il Santo imponente che ha in mano una versione ridotta del bordone, il bastone che portavano i pellegrini. E' possibile che Pontormo si sia dunque autoritratto nel volto di Cristo trasportato, incorniciato dalla barbetta bionda come i lisci capelli lunghi, con gli occhi chiusi e le labbra aperte, con una leggerissima ombra sull'incarnato rosato illuminato da una luce esterna frontale, i cui tratti delicati ricalcano, appunto quelli di S. Jacopo della giovanile pala Pucci. A proposito del volto di Cristo, Sergio Rossi ha sottolineato come esso sia un doppio di quello del personaggio che lo sorregge alle spalle, senza barbetta e con i capelli biondi    

File:8 Cristo morto.jpg
Gesù Cristo, part. della Deposizione o del Trasporto di Cristo al Sepolcro in S. Felicita
e ricci, ma con tratti che sono perfettamente coincidenti nella sovrapposizione dei due volti ( Rossi, 2012,p.96 , figg. 7 e 8 ) : quindi abbiamo anche uno sdoppiamento dell'autoritratto. Pontormo come Cristo e come l'Angelo ( più che S. Giovanni ) che lo sorregge. E' possibile, però, che il pittore abbia voluto ritrarre anche se stesso da vecchio nella figura di Nicodemo, col berretto verde e la vesta marroncina, e che quindi l'ipotesi dell'autoritratto non vada scartata, anzi, se ben vediamo, il volto non è altro che quello di Cristo e dell'angelo, invecchiato ( capelli biondi, barbetta arricciata e bionda, tratti comuni ). Pontormo ha quindi voluto non raddoppiare, ma triplicare il proprio autoritratto sia nella fase, contemporanea al dipinto, da giovane, sia nella fase della vecchiaia, intristita e malinconica, come sembra mostrare l'immagine e che nasceva propriamente dalla sua indole e dal suo carattere tendente alla solitudine e alla malinconia. Forse l'autoritratto qui nasceva anche dalla leggenda su Nicodemo che alla morte di Cristo aveva voluto ritrarre il corpo del cadavere che poi avrebbe dovuto preparare per la sepoltura, ma giunto al volto si era bloccato sentendosi impossibilitato a continuare. Sfinito si era addormentato e, al suo risveglio, aveva visto la raffigurazione completata dagli angeli. Per cui si può anche pensare, se non forziamo troppo l'interpretazione, che il pittore avesse voluto, anche, sviluppare questa idea: a sinistra il povero e intristito Nicodemo, impotente davanti al volto, giovane e luminoso, del Redentore, a destra lo stesso volto, come opera degli angeli. E quindi Pontormo è Nicodemo, Cristo e l'Angelo allo stesso tempo.


File:Jacopo Pontormo 069.jpg
Nicodemo

    
                     Nel dipinto occorre notare come vi sia una straordinaria rete di sguardi. L'unico che non guarda è Cristo che ha gli occhi chiusi, mentre tutti gli altri personaggi hanno gli sguardi intrecciati e pluridirezionati. La Madonna ha uno sguardo liquido e dolente verso il Figlio morto; la Maddalena guarda allarmata ( non ne vediamo il volto ma intuiamo la sua espressione) Maria che sta per svenire. Il personaggio biondo a sinistra della Madonna, guarda la Vergine dolente, così come la donna che in veste verdina con svolazzo rosa sulla manica e volto orizzontale direzionato in basso. La donna in piedi in alto invece guarda a sinistra preoccupata l'altra donna col velo rosa e la tunica celeste che sembra partecipare al sollevamento di Cristo. A guardare verso lo spettatore angosciati e problematici sono i due angeli e Niccodemo, testimoni che parlano della tragedia. Il grande critico Shearman, in un importante studio della Cappella Pucci, ha sottolineato come nell'aspetto originario della Cappella, modificato nel Settecento, alterando molte parti, vi fosse una unità figurativa che creava una illusione di rapporti fra le varie pitture, anche e soprattutto attraverso l'intreccio degli sguardi. Si cominciava con Dio Padre ed i Patriarchi che si affacciavano in una sorta di balconata che girava tutto intorno all'anello della cupola e che quindi sembravano guardare in basso cosa accadeva. Dio in particolare si affacciava con un'espressione di commossa pietà e di intensa partecipazione al dramma della Storia, che Lui stesso aveva voluto e reso possibile, in direzione del Cristo morto raffigurato in basso sulla Pala dell'Altare. Dai pennacchi della cupola, a loro volta, gli Evangelisti guardavano Dio, la Vergine e la Pietà. In particolare, al bellissimo giovane nudo Matteo, era affidato di volgere lo sguardo carico di tristezza verso il fedele-fruitore che si affacciava sulla soglia della Cappella ( D'Adda, 2004,p.128 ), mentre l'angiolino-putto in basso guardava da sotto in su lo stesso Matteo tentando di partecipare alla commozione generale.

Pontormo e Bronzino, S.Matteo, Cappella Capponi
                
                   Si tratta, dunque, di un sistema di complesso intreccio di sguardi ( interni al dipinto, interni alla Cappella, esterni rispetto al dipinto e alla Cappella ) che avevano il compito di svolgere un discorso ( ce ne sfugge purtroppo la reale coordinazione ed il significato ) che coinvolgesse il fedele in visita alla Cappella. Possiamo immaginare che i due assi semantici fossero quelli della disperazione contenuta per la tragica scomparsa di Cristo e della partecipazione comune alla trasformazione del Redentore in Pane degli Angeli ( il riferimento letterario è al panis angelicum , primo verso dell' imnus Sacris di S. Tommaso d'Aquino ) , alla transunstazione dell'Eucarestia, di cui parlano tre evangelisti ( ad eccezione di S. Giovanni ). 




     
Evangelisti della cappella Capponi
S.Felicita, Cappella Capponi, due tondi con Evangelisti e la Deposizione del Pontormo


Secondo Shearman Pontormo, per la realizzazione della Cappella, si era ispirato alla Cappella Chigi di Raffaello in S. Maria del Popolo a Roma, per l'unità architettonica e decorativa che essa poteva offrire con la disposizione cubica sormontata da una cupoletta , con i pennacchi figurati a tondi e la pala d'altare. Al centro della cupoletta vi era anche qui il tondo con dio padre, dalle forme e dalle espressioni michelangiolesche, un dio padre-padrone-creatore che giganteggia dall'alto e che doveva essere disposto per
una visione diretta dal basso che era necessaria per sviluppare la visone dell'insieme ed il significato delle pitture. Diverso era il dio commosso e partecipe voluto da Pontormo, che non andava visto come un gigante che domina, ma che doveva essere non la immagine dominante, ma una delle immagini del discorso di spiritualità, di commossa partecipazione, che interessava all'artista. Piuttosto la disposizione della Cappella poteva interessare per il carattere illusionistico della decorazione e per la sua disposizione geometrica.


Raffaello, Cappella Chigi, S. Maria del popolo, Roma


                                                            Cupola della Cappella Chigi


Nella organizzazione spaziale e decorativa Raffaello era guidato da una visione paganeggiante, neoplatonica e astrologica, dove le personificazioni solari e dei pianeti ( come divinità pagane a mezzo busto )  disposte nei mosaici a cassettoni della cupola, sotto l'occhio con dio creatore, avevano una funzione semantica specifica, quella di illustrare il moto regolare e perfetto dell'universo imposto da dio padre e temperato dagli angeli che avevano il compito ( figurati sopra le personificazioni dei pianeti ), di limitare la potenza degli astri dirigendone il corso nel firmamento. Sull'altare della Cappella destinata ad ospitare i defunti della illustre casata committente ( a destra la tomba di Agostino Chigi a piramide su disegno di Raffaello, simboleggiante l'eternità ) si trova un dipinto di Sebastiano del Piombo completato da Francesco Salviati con la Nascita della Vergine , mentre altri dipinti figuravano la Creazione e il Peccato Originale. L'intenzione decorativa era dunque quella di una illustrazione pagana e cristiana di una perfezione che era tanto quella del cosmo circostante, quanto quella dell'avvento dell'incarnazione del Redentore, riscatto e perfezione prossima ventura dell'Umanità dal Peccato Originale. Se nella Cappella Chigi vi era dunque la celebrazione dell'armonia dell'inizio e del prossimo divenire, nella Cappella Capponi vi era la commossa compartecipazione  di dio e dei testimoni della Fede alla fine. Che non era però né una fine perfetta, né una fine assolutamente tragica: la leggerezza dei corpi, la loro unità in un sentire comune, il coinvolgimento degli sguardi e dei gesti, faceva si che il tutto fosse vissuto senza gravità, come in una bolla d'aria in un silenzio soffuso compenetrato di luce, con un chiaro scuro ridotto al minimo, dove l'essenza materiale diventa spirito, dove la carne del Cristo diventa il Pane degli Angeli , la carne spirituale dell'Umanità redenta dal Sacrificio.
                   L' " uomo fantastico e solitario", come lo aveva definito Giorgio Vasari, aveva affidato alla Cappella Capponi, destinata alla sepoltura e dedicata alla Pietà , il suo messaggio pessimistico nei confronti di una vita vissuta nella pienezza dei piaceri terreni e tutto chiuso nell'intimità dell'essere. Nel futuro dell'umanità non vedeva che l'avvento dei giorni della fine e non pensava ad altro che ad un'espressione interiore della spiritualità, qualcosa che nasceva da lui stesso, dal suo essere fuori dal mondo, diverso dagli altri e non incline al commercio comune degli uomini. Di questa sua estraneità alla vita dà ragione il famoso Diario, in cui sono ossessivamente annotati i momenti della giornata, il mangiare e il bere, il defecare, il dormire, il lavorare. Il corpo messo a nudo nella sua essenzialità e materialità, distaccato ed estraneo dalle cose vere dello spirito.
                      Prima della Cappella Capponi Pontormo aveva vissuto rinchiuso nella Certosa di Galluzzo per sfuggire alla peste che aveva colpito Firenze, a contatto giornaliero con i frati e la vita monastica che certamente ebbero una qualche importanza nella sua formazione futura. Sono testimoni di questo periodo, risalente al 1525-26, gli affreschi ( influenzati dalla moda "todesca" di Durer ) che dipinge nella Certosa, che, se hanno perduto lo splendore dei colori originari ( copie sono nel Museo di Empoli ) , non mancano di sorprenderci per l'espressione di forte drammaticità, per l'affollamento scomposto delle figure, per le vesti ricche e abbondanti, per lo spazio concentrato ed angusto.
                 Il Compianto sul Cristo morto è il sesto affresco della serie eseguito nell'angolo ad est del chiostro. Inizialmente doveva essere una Deposizione, ma poi le autorità ecclesiastiche imposero una modifica iconografica forse più adatta al clima di ripresa di una religiosità più rigorosa e pietosa, dopo i primi attacchi riformistici luterani. Tutto doveva essere concentrato sul Cristo morto ( al centro della scena ) e sul suo compianto, da parte della Vergine, della Maddalena e delle Pie Donne. Vasari, non propriamente contento dello stile alla nordica ( si vedano i veli del capo annodati al sottogola ), si era interessato alla varietà degli abiti e alla qualità dei volti di Nicodemo e Giuseppe di Arimatea con "barbe piumose e colorite con dolcezza meravigliosa" ( in D'Adda, cit., 120-121 ). Si trattava di una iconografia precedente a quella della Cappella Pucci in cui già si avvertivano i segni di quella leggerezza scomposta dei corpi, di quei colori vivaci e brillanti, del senso di un tragico sommesso e pietoso. Anche qui vediamo la presenza centrale e coinvolgente di Maria con l'ampio abito marroncino e il velo bianco sul capo e vediamo come il peso di Cristo adagiato inerte sembra essere inesistente o secondario : Giuseppe d'Arimatea vestito con la tunica azzurrina e il turbante bianco, ha una torsione quasi completa della schiena, ma le braccia sollevano solo, appena, la testa di Cristo. Nello spazio angusto tutte le figure sono raggruppate, unite in un medesimo dramma che i colori, dalle tonalità leggere, varie e brillanti, finiscono per rendere più umanamente sentito.
                     Non vi è dubbio che qui la predicazione, la vicinanza dei monaci, le solitarie disquisizioni, il senso di angoscia che la peste e l'attesa di una fine apocalittica suscitavano nell'animo tormentato del pittore, avevano avuto la loro importanza e avevano segnato la visione religiosa e la poetica dell'artista. Quando venne il momento della grande committenza Pucci, quando stava per rivelarsi al pubblico, Pontormo non poté dimenticare quel periodo buio, né il bisogno di una vera e più intima spiritualità : nella Pala della Deposizione o del  Trasporto di Cristo al Sepolcro ad affollarsi intorno al Redentore è una piramide di giovani ricchi di umanità e non affogati nel dolore, ma con la speranza di una vita migliore e più sincera.

                 Pasolini per la sua sgangherata Passione era rimasto attratto proprio da questa gioventù scapestrata, proletaria e disinibita ( la donna in alto, che ha già una profonda scollatura ed un abito che evidenzia nella trasparenza le forme del seno, appariva completamente nuda nel fotogramma della Ricotta , ed i due giovani che reggono Cristo sono due regazzi di borgata ), l'unica che avrebbe potuto riscattare un mondo corrotto e perduto.


Bibliografia

Wikipedia, Deposizione del Pontormo, Pontormo, Cappella Pucci, Cappella Capponi, Cappella Chigi
PP, Pasolini, Scritti per il cinema, Meridiano Mondadori, in Pasolini, Tutti gli scritti.
Etnosemiotica.it, La ricotta, Scheda.
V. Rossi, Pontormo e Rosso: sulle tracce di una doppia affinità, citazione e interpretazione nell'opera di Pier Paolo Pasolini, Dispensa, n.5 Premio Pozzale Luigi Russo, 1987.
Roberta d'Adda , Pontormo, I Capolavori,  Classi dell'arte Rizzoli, 2004, a c. di Marco Vallora.
Antonio Natali, Rosso Fiorentino, Milano, 2006
Sergio Rossi, Arte come fatica di mente, Roma, 2006
J. Shearman, Funzione e illusione: Raffaello, Pontormo, Correggio, Milano, 1983
Jacopo da Pontormo, Diario, a c. di R.Fedi, Roma, 1996









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