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domenica 8 dicembre 2013

Alla ricerca dei linguaggi perduti: Poussin





Nicolas Poussin, I pastori in Arcadia, 1639, olio su tela, 87x120cm , Musée du Louvre, Paris


                           ALLA RICERCA DEI LINGUAGGI PERDUTI


                                             I PASTORI IN ARCADIA


                                    Nicolas Poussin, 1639, olio su tela, Musée du Louvre, paris


File:Nicolas Poussin 052.jpg
Nicolas Poussin, Pastori in Arcadia, Musée du Louvre, Paris


Il fascino e la fama di questo dipinto del grande pittore francese Nicolas Poussin non è tanto nella sua bellezza, pur straordinaria, quanto nel fatto che presenta un soggetto e un'epigrafe enigmatici, un fascino che nasce dal suo mistero immutato nei tempi. Dei pastori che in verità non sembrano tali, una pastora dal profilo ieratico e dall'abbigliamento da dea, nessuna traccia del gregge, un raccoglimento intorno ad una misteriosa tomba indicata dal pastore barbuto inginocchiato, un'enigmatica epigrafe sulla tomba: Et in Arcadia Ego.Generazioni di studiosi, ricercatori, dilettanti eruditi, interpreti fantasiosi, hanno fornito varie versioni di possibili significati iconologici, da quello classico ed eccezionale di Erwin Panofsky nel saggio del 1939, alle interpretazione di esperti con Wind, Freinlander, Blunt, a quelle più recenti di tipo esoterico ed ermetico, a cominciare da quella di Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln, nel best seller storico Il Santo Graal, la cui tesi è ripresa dal romanzo di fama mondiale di Dan Brown, Il Codice da Vinci , fino alle interpretazioni della geometria sacra e persino astrologiche. Ne Il Santo Graal si tenta una interpretazione esoterica della famosa epigrafe: Et in Arcadia Ego che sarebbe un anagramma :"I! Tego Arcana Dei"  (" Vattene! Celo i segreti di Dio" ). Secondo  Richard Andrews e Paul Schellenberger in The tomb of God, del 1996, considerando come nella frase manchi il verbo e che senza di esso non si possa interpretare, pensano ad un anagramma partendo dalla frase completa: Et in Arcadia Ego( sum ), che andrebbe così anagrammata: Arcana Dei Tango Iesu ( "Io tocco la Tomba di dio-Gesù " ) , per cui, tesi anche sostenuta in Il Santo Graal , il pastore-filosofo inginocchiato starebbe indicando che non sta toccando un sepolcro qualsiasi, bensì il sepolcro di Cristo seppellito non in Palestina, bensì in una regione francese non lontano da Rennes Les Chateau, dove Cristo, sfuggito al Supplizio si sarebbe rifugiato con la sua compagna Maria Maddalena dando vita ad una stirpe segreta i cui segreti sarebbero stati conservati da una setta, il Priorato di Sion che aveva fra i suoi Gran Maestri, anche artisti famosi come Leonardo da Vinci che avrebbero poi criptato nei loro dipinti il segreto. Quella che si vede nel dipinto sarebbe, insomma, il sepolcro francese di Cristo noto nella locazione e nella forma a Poussin. Peter Blake e Paul Blezard, in Il Codice Arcadia , del 2000, riprendono la tesi esoterica riferendo che Poussin aveva conosciuto a Roma il filosofo-scienziato gesuita Athanasius Kirchner e anzi era stato da lui a lezione di prospettiva e di ottica. Kirchner era un appassionato studioso di linguaggi cifrati, di esoterismo, di geroglifici egiziani e secondo i due ricercatori poteva aver trasmesso al pittore un sapere occultistico del quale egli poteva essersi servito in seguito( p. 30 ). Si tratta di congetture non documentabili che gli storici dell'arte hanno già liquidato, tuttavia una lettera ci inquieta non poco. Poussin aveva avuto una conversazione riservata con l'abate Louis Fouquet che scriveva al fratello Nicolas, sovrintendente alle finanze di Luigi XIV, con delle parole alquanto sibilline: " Lui e io abbiamo discusso di certe cose, che poi ti spiegherò con comodo in dettaglio; cose che ti daranno, grazie al signor Poussin, tanti vantaggi che perfino un re farebbe di tutto per carpirne il segreto e che, secondo lui, probabilmente nessun altro scoprirà nei secoli a venire. E non solo, sono cose così inaccessibili che in questo momento niente su questa terra potrebbe avere maggiore o ugual valore"( Lettres de Louis Fouquet,citata tradotta in Il Santo Graal, p.30  ). Di quale segreto inaccessibile poteva essere stato depositario il pittore, che addirittura valeva più di qualsiasi altra cosa sulla terra? In merito non sappiamo niente di certo. A voler stare con i piedi per terra si può ipotizzare con Franco Baldini ( in Episteme, 2002 ) che la sibillina frase di Fouquet si riferisse al segreto dell'alchimia del quale Poussin poteva essere depositario, ma si tratta di un'ipotesi e la frase di Fouquet in sé è certo intrigante, specie se pensiamo che il fratello Nicolas dopo la lettera e forse l'incontro col pittore, venne arrestato e gli fu proibito di vedere qualsiasi persona ( alcuni pensano che fosse lui a celarsi dietro la maschera di ferro, il personaggio a cui il Re Sole fece indossare una maschera di velluto con cerniere di ferro affinché non potesse essere svelato il volto, ma l'ipotesi è debole  ) mentre il dipinto di Poussin, venne acquistato dal Re Sole e non esposto pubblicamente, ma sistemato nei suoi appartamenti privati a Versailles. Vi era dunque relazione fra lettera e dipinto? Seguendo la stessa strada esoterica va inoltre detto che Pierre Plantard, diffusore delle ardite tesi del Priorato, aveva indicato come possibile fonte per la tomba del dipinto, un sepolcro rinvenuto negli anni'70, piuttosto antico, fra la vegetazione di una località vicino al paese di Rennes- les- Chateau,un villaggio della Francia meridionale che si vuole ancora collegato ai misteri del Priorato di Sion. La tomba ritrovata ( e sembra oggi distrutta, ma ci sono riproduzioni fotografiche ) era molto simile a quella che si vede nel dipinto e costituiva il prototipo del sepolcro poi dipinto da Poussin che conosceva bene il luogo, che, sembra, essere riprodotto nello stesso dipinto. A seguire l'affascinante e tortuosa via esoterica ci si perde però non poco e si rischia di smarrirsi , pertanto in attesa che i misteri di Poussin vengano in qualche modo chiariti , sarà bene seguire vie più rettilinee senza dimenticare, però, che anche qui, a stare dietro solo alle interpretazioni ufficiali si perdono i dettagli, i particolari che certe strade impervie perseguono con ostinazione, facendo magari interessanti scoperte. Sarà bene quindi, per una lettura iconologica più obiettiva, non tralasciare certi apporti simbologici, mitologici ed ermetici che non impoveriscono, ma anzi arricchiscono, l'interpretazione iconologica. Partiamo dunque dalla frase: Et in Arcadia Ego, cosa significa? La lezione di Panofsky è fondamentale. Lo studioso ha sostenuto che si tratta di una sentenza latina ellittica, il cui verbo, che manca, deve essere aggiunto da chi legge e che non può essere, in ogni caso, un verbo al passato. Dunque la frase dovrebbe essere letta così: " Et in Arcadia Ego (sum ) ", per cui non essendovi un verbo al passato, bisognerebbe leggerla non " Io pure sono nato ed ho vissuto in Arcadia ", bensì " Anche in Arcadia io sono", per cui i pastori non starebbero commemorando un pastore o una pastora morta in Arcadia, cioè dove si trovano, ma leggendo una frase che è pronunciata dalla Morte stessa nell'epigrafe, dunque " anche (io)( la Morte ), sono in Arcadia", cioè nel luogo bucolico, idilliaco, cantato da Virgilio, ad indicare la precarietà della vita anche in presenza della maggiore bellezza e felicità. Ma da dove viene questa frase? E' un parto della fantasia erudita del pittore? Circa dieci anni prima, Poussin realizzò un altro dipinto, il cui titolo ( piuttosto che Pastori in Arcadia ) è proprio Et in Arcadia Ego. Il soggetto è lo stesso, ma la tomba è diversa. Il paesaggio è boscoso e collinoso e la sepoltura si trova su una piccola altura. Epigrafe e pastori, però, non sono solo qui, si trovano anche in una tela del Guercino che ha ancora lo stesso titolo, Et in Arcadia Ego.

Nicolas Poussin, Et in Arcadia Ego, 1627,Chartsworth House


Epigrafe e pastori, però, hanno un importante precedente, si trovano in una scena figurata dal Guercino probabilmente nel 1618 nella tela oggi a Palazzo Barberini, con lo stesso titolo: Et in Arcadia Ego.


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Guercino, Et in Arcadia Ego, c.1618, Galleria d'Arte Antica, Roma
Due pastori ( gli abiti ed i bastoni rustici per governate il gregge sono pertinenti all'iconografia arcadica ), all'alba, contemplano mesti e malinconici non una tomba, bensì un teschio, poggiato su un frammento di muro, con vicino e sopra un  topo ed una mosca che, come afferma Panofsky sono simboli popolari del tempo che tutto divora ( il topo come simbolo del tempio divoratore compare in un'opera molto nota all'epoca di Poussin, gli Hyeroglyphica di Horapollo, che diffonde simbologie e geoglifici dell'antico Egitto e della tradizione ermetica ) . Sul muro sono incise le parole. " Et in Arcadia Ego " che  compaiono qui per la prima volta. Si tratta di un memento mori, un ammonimento sull'estrema precarietà della vita terrena e sulla presenza sempre in agguato della morte, anche in un luogo idilliaco come l'Arcadia classica virgiliana. Il teschio è quindi anche emblema della vanitas , appartiene al dualismo fra la bellezza e la fine dell'esistenza e in questo senso è spesso un'icona dei quadri di vanitas che portano un'altra scritta emblematica: nihil omne ( tutto è niente ), come nel dipinto di Antonio de Pereda, Vanitas Vanitatum, c.1640, Kunsthistorisches Museum, di Vienna.
File:Antonio de Pereda y Salgado 002.jpg
Antonio de Pereda, Vanitas Vanitatum,c.1640, Kunsthistorisches Museum, Wien
Nello stesso periodo compaiono in pittura tutta una serie di teschi che emergono sulle cose mondane ad indicare il risvolto della vanità che è vinta dalla morte presente ovunque e in ogni situazione di piacere mondano a segnare l'inevitabilità della fine. Come in questa composizione dell'artista olandese Harmem Steenwick, del 1640c., intitolata appunto Vanitas.

File:Harmen Steenwijck - Vanitas.JPG
Hasmen Steenwijck, Vanitas, c. 1640, Lakundal Museum, Leida, Paesi Bassi

Et in Arcadia Ego del Guercino, venne suggerita, forse dal cardinale Giulio Rospigliosi, letterato e drammaturgo, autore della  famosa opera sacra in musica, Sant'Alessio e dell' altra composizione, Chi soffre, speri.in seguito eletto al soglio pontificio col nome di Clemente IX. Panofsky ha sottolineato come il Guercino era spesso ospite a Palazzo Rospigliosi che ospitava L'Aurora di Guido Reni, soggetto che Guercino riprese nella stupenda Aurora del Casino Ludovisi ( Panofsky, III, 288 ). La frase, forse composta dallo stesso cardinale, era scaturita dalle sue letture classiche ed in particolare dalle ecloche virgiliane, ma anche da altre composizioni che cantano l'arcadia, una regione in realtà arida e selvaggia della Grecia, ma che venne poi rivistata ed idealizzata con sovrapposizione letterarie in età classica e poi nella tradizione umanistica italiana, a cominciare dal poema del Sannazzaro, Arcadia, del 1487 e al noto episodio di Erminia fra i Pastori, nella Gerusalemme LIberata del Tasso. Lo stesso soggetto dei pastori che contemplano la morte, doveva essere anche opera del Rospigliosi. Un soggetto moraleggiante in veste umanistica, " cioè uno dei temi prediletti della teologia morale cristiana trasferito al mondo pastorale classico o classicheggiante " ( Panofsky, III, 292 ) . Franco Baldini ( Guercino, I ) ha invece preferito una strada diversa, seguendo il percorso impervio della interpretazione ermetica ed alchemica. I due pastori altri non sarebbero che incarnazioni di personaggi partecipanti a culti misterici legati all'arte della fusione dei metalli. Di qui la possibilità che uno di loro sia Lyca ( colui che è curioso, bramoso di conoscenza, vestito di bianco ), che secondo la tradizione mitologica era alla ricerca delle ossa di Oreste. L'altro ( vestito di rosso ), è il suo iniziatore, colui che lo mette a parte dei segreti. Entrambi guardano, meditabondi le spoglie dell'eroe. Questa lettura non esclude un secondo livello di significato, appunto quello moraleggiante. Lyca si reca a cercare le ossa di Oreste, nella città arcade di Tegea. Ora la frase potrebbe contenere un altro anagramma: Ara in Tegea Dico , Per Baldini : " l'ablativo "ara" è certamente da intendere come complemento di argomento, nel senso di "de ara", in cui il "de" - come avveniva quasi sempre in latino - è sottinteso. Il verbo "dico" non significa dunque "dedico" - se così fosse richiederebbe l'accusativo "aram" - bensì è da intendere nel senso di "narro, racconto". La frase "DICO (DE) ARA IN TEGEA" - tenuto conto del fatto che il termine "ara" designava comunemente anche il sepolcro - significa dunque esattamente: "NARRO DEL SEPOLCRO IN TEGEA", concordando alla perfezione con il brano di Erodoto che abbiamo supposto costituire il referente letterale del dipinto." E il brano di Erotodo è quello che narra della ricerca e della scoperta da parte di Lyca delle ossa di Oreste. Dunque il dipinto avrebbe un significato diverso da quello che sinora si è supposto. Non seguiamo Baldini nell'approfondimento alchemico che qui non interessa ai fini della nostra analisi iconologica del dipinto di Poussin, ma sottolineiamo ( e meglio vedremo ), come se questa tesi è vera e se un soggetto del genere può essere stato completato da padre Kirchner, che poteva essere l'unico esperto in materia a disposizione nella cerchia di letterati e scienziati del cardinal Rospigliosi, certo il quadro di Poussin Et in Arcadia Ego I,nato nell'ambito della stessa cerchia culturale, non poteva non avere legami col quadro del Guercino. Dunque, vediamo il dipinto del Poussin. E' certo che Rospigliosi, che doveva avere particolarmente cari frase e tema, nel proporre il soggetto a Poussin, che gli era stato presentato da lettere del Marino e da Cassiano Del Pozzo, doveva riagganciarci al dipinto del Guercino e chiedere al pittore francese un ulteriore sviluppo. Poussin dunque, sviluppò il tema figurativo in una scena diversa: la luce della mattina è qui più chiara, il luogo è boscoso e collinare, la tomba, di foggia classica ( è un sepolcro di tipo greco ), si trova in alto e i supposti pastori che vi arrivano stupefatti di qualcosa ( la frase che trovano sulla tomba indicata dal personaggio in ginocchio barbuto ), debbono quasi inerpicarsi. Ma chi sono questi personaggi? Si è detto pastori sia pure in veste classicheggiante. In effetti, se vediamo l'opera di Poussin Adorazione dei pastori , da lui dipinta nel 1634, oggi a Londra, vediamo nel pastore inginocchiato in gesto di Adoratio , un precedente figurativo del pastore barbuto che si inginocchia più o meno allo stesso modo ne I pastori in Arcadia del 1639. 


Nicolas Poussin, Adorazione dei Pastori, 1634, National Gallery, London





I due pastori, quello dell' Adorazione e quello del dipinto del'39 , sono rappresentati in modo classico, con il torso nudo di profilo, come anche nel dipinto del'27 ( per comodità li chiameremo entrambi: Et in Arcadia Ego, I e II ), però nei due dipinti successivi il gesto, ovviamente non più di Adoratio, è di attenta sorpresa nel primo caso, e di calma osservazione nel secondo. 


I pastori di Arcadia
Et in Arcadia Ego II, 1639
Et in Arcadia Ego I, 1627

Ma notiamo che il pastore in Et in Arcadia Ego I è in piedi, è barbuto in modo più pronunciato e in un modo più pertinente ad un saggio o ad un filosofo e porta in capo una corona di alloro, mentre tiene in mano un bastone diverso da quello che ha il pastore al suo fianco, è più un pastorale  che è anche segno simbolico di guida e di comando. Il pastore con la schiena completamente nuda seduto in basso a destra, con in testa la corona di alloro, discosto e con il capo chino a guardare in basso un ruscelletto che lui contribuisce ad alimentare versando acqua da un vaso, non è un pastore è una chiara allegoria di un fiume, nel caso specifico, essendo in Arcadia, il fiume Alfeo. Secondo la favola narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, Alfeo, innamorato di Aretusa, la ninfa che è stata trasformata in Fonte di Odigigia, presso Siracusa, trasformato a sua volta dagli dei in fiume carsico dell'Arcadia, s'insinua nelle profondità della terra per passare sotto il mare e sbucare in Sicilia, ad Odigigia, per potersi così unire con l'acqua della Fonte in cui è trasformata l'amata ninfa. Per questo Alfeo nel dipinto guarda in basso, come a voler indicare che il corso del fiume prosegue sotto, nella profondità terrestre. L'allegoria del fiume che versa acqua e sta discosto si trova mirabilmente realizzata in un altro dipinto di Poussin, Mida si bagna nelle acque del Pattolo , che faceva pendant con questo nella stessa sala.
Sisifo, Dipinto, opera di Franz von Stuck del 1920
Nicolas Poussin, Mida si bagna nelle acque del fiume Pattolo, c.1624, Metropolitan Museum, New York


Secondo quanto scrive Ovidio nelle Metamorfosi ( Lib.XI, 161-181 ), il re Mida ricevuto da Bacco in dono la possibilità di trasformare ogni cosa in oro, presto si accorse che non poteva né mangiare né bere, allora chiese di potersi disfare di quello che era stato un dono gradito per un verso e nefasto per un altro; il dio, mosso a compassione lo invitò a bagnarsi in Arcadia nelle acque del Pattolo per liberarsi dal dono controproducente. Poussin, che aveva ricevuto dal poeta Gian Battista Marino a Parigi un'educazione mitologica e si era formato sulle Mythologiae di Natale Conti, un libro che ebbe un'enorme influenza su tutti gli artisti del Cinque e Seicento, diede molto spazio nella sua pittura alle favole mitologiche ovidiane, come vediamo da questo dipinto. Data l'affinità fra le due allegorie di fiume, è possibile, al di là del referente iconologico rinascimentale, che Poussin avesse cercato nell'ideare il dipinto di Et in Arcadia Ego I, anche di sviluppare un linguaggio simbolico mitologico?Al solito, fuori della ferma linea accademica, ci viene in soccorso Baldini. Il dio fluviale non partecipa all'azione, ignora gli altri, quindi non condivide nulla con loro? Non esattamente. Il dio e il personaggio barbuto in piedi vicino alla tomba hanno entrambi una corona di alloro in capo, simbolo di gloria, ma anche di saggezza e di sapienza, di conoscenza. Secondo la tradizione cristiana è simbolo di immortalità, e infine è il segno che si mettono in capo coloro che partecipano a rituali, di purificazione o misterici. Quindi i due personaggi sono tra loro in relazione semantica: condividono una conoscenza che non va svelata agli altri? Sono due iniziati? Si tenga in considerazione anche la barba del personaggio in piedi, che è segno di saggezza e conoscenza e che l'uomo è un adulto, un uomo maturo che differisce da quello giovane accanto a lui, anch'esso con i capelli neri. Ma chi è la donna in bianco? Già una pastora è in sé una figura iconografica poco comune, ma poi abbigliata così, con quel bianco lucente e il chitone dalle elaborate pieghe classicheggianti, dall'aspetto discinto, che mostra la coscia e un seno, chi mai potrà essere? Non certo Aretusa, mancando il segno iconografico della Fonte e non essendoci rapporti di continuità con Alfeo che resta isolato ed estraneo; forse Elena, dai facili costumi? Non vi sono motivi per crederlo. E allora? Il colore bianco è il simbolo della purezza ( così sono le ali degli angeli ), è anche il colore della veste che portavano gli iniziandi, è usato nei riti della nascita ( le bende di Gesù sono bianche ), ma anche in quelli della morte ( il sudario è bianco ); ed è, nella tradizione greco-romana il colore del lutto. Baldini vede nella donna Ermione ( figlia di Menelao e di Elena ), la vedova di Oreste, che in un passo di Sofocle, è indicata come colei che, al modo delle spartane, veste discinta e mostra le cosce. E' un'osservazione molto interessante e un'ipotesi intrigante. Allora gli altri sono il compagno dell'eroe Paride ( quello con la barba nera più maturo) e il figlio di Oreste, Tisameno ( quello accanto più giovane ). La famiglia così formata ( una triade ), giunge trafelata per vedere la tomba dell'eroe e scopre con sorpresa che qualcuno è venuto prima ed ha lasciato una scritta a ricordo, a memento. Dunque, seguendo questa concezione, Poussin vuol dire ( in primis ai tre che scoprono la scritta, alla famiglia dell'eroe )  che ha compreso il messaggio criptico di Guercino e lo ha poi sviluppato nella sua fabula figurata. Interpretazione coerente ad una visione interpretativa mitologica intorno alla storia della tomba di Oreste in Arcadia. Naturalmente è solo una delle non poche possibilità interpretative. Ora veniamo al nostro dipinto che chiamiamo Et in Arcadia Ego II. Qui non ci troviamo in un bosco di collina, ma in un luogo pianeggiante; la tomba non è in una posizione sopraelevata, ma in piano, allo stesso livello dei personaggi che la osservano. La sua forma non è più da sarcofago classico lavorato, ma è più spartana, più squadrata, un monoblocco, un  parallelepipedo. E' più simile alla descrizione della tomba di Daphni che nella V Ecloca ne dà Virgilio e soprattutto a quella " pietra quadrangula" descritta dal Sannazzaro nell'Arcadia. Ma chi sono qui i pastori che pastori non sono? Iniziamo dalla pastora che ci appare sulla destra vestita di due colori ( una mantella giallo oro ed una gonna blu ), con una specie di turbante in testa e la mano sul fianco. Si tratta di una sacerdotessa o forse anche una dea come il profilo ieratico farebbe pensare. L'identificazione del Baldini nella pastora-dea in Iside, la Grande Madre egizia, è qui ancora più convincente delle precedenti identificazioni. Nell'ambito della cerchia colta raccolta a Roma intorno a Cassiano De Pozzo e Rospigliosi, gli studi di egittologia di padre Kirchner e il culto di Iside avevano un posto di primo piano, lo studioso ne parla nel suo Oedipus Aegyptiacus, del 1653, in cui compare anche un'illustrazione con i simboli della dea. Questi simboli ( la mezzaluna, il sistro, la veste stellata ), non si riscontrano, però i colori usati per il personaggio possono essere associati alla dea, specie lo scialle dorato ( Apuleio, nelle sue Metamorfosi, XI, parla del giallo oro della sua tunica ) e il blu della gonna ( come il cielo ), che, come scritto in Codice Arcadia , era il colore di Amon- Ra, il dio coinvolto nella resurrezione di Horus, figlio della dea.  Se partiamo da questa identificazione possiamo giungere, seguendo Baldini, a identificare gli altri pastori. Quello sul quale la dea appoggia maternamente la mano sulla spalla è il figlio Horus-Apollo ( Orapollo ), che si volta per guardare la madre e indicare anche a lei la scritta. Invece l'altra figura che tiene il bastone e appoggia il braccio sul sepolcro è Ermes-Anubi ( Ermanubi ) , figlio adottivo della dea. Il personaggio inginocchiato, infine, è il dio del silenzio, della "riservatezza iniziatica", Arpocrate. Però va detto, pur rispettando l'identificazione di Baldini, che il personaggio non ha il gesto arpocratico ( signum harpocraticum ), cioè il dito sulle labbra per invitare al silenzio, che simbolicamente lo qualifica come questo dio, né i suoi simboli, come il serpente, il cane, il gufo, o quelli ellenistici legati alla fertilità, come la cornucopia e la spiga. E poi, sebbene non sempre , il dio è un fanciullo e comunque giovane e qui il personaggio sembra più maturo. Pertanto sono poco convinto della identificazione, anche se è chiaro che si tratta di un personaggio che ha il ruolo di iniziato dei culti misterici di Iside, con la corona di alloro in testa, la tunica dello stesso colore della gonna della dea. Il personaggio indica la scritta ( in particolare la lettera D ) e il suo braccio colpito da una luce innaturale proietta sulla tomba non l'ombra del braccio, ma l'ombra di una falce, quindi un monito. Manca il teschio, ma la morte, che qui parla in prima persona attraverso la scritta, si manifesta attraverso uno dei suoi attributi. Ma la morte, come ha scritto Wind può anche avere una funzione positiva, di passaggio, iniziatica:" Morire significava essere amati da un dio e partecipare per mezzo di lui alla beatitudine eterna" . Ora, nella tomba può essere seppellito un dio ( la D può avere anche questa indicazione: Deus ) ; Osiride era un dio, marito e fratello di Iside, ucciso per gelosia dal fratello Seth. Il sincretismo alessandrino aveva portato la religione misterica egizia nel mondo greco, per cui gli antichi dei egizi si rigenerarono in quelli greci, come appunto Horus-Apollo. Vi è una continuità e un travaso mitologico: Oreste, ucciso da un serpente, è Osiride ucciso da Seth. Quindi anche la continuità fra le due storie e fra i due quadri. Insomma tutti i pastori che vediamo in Guercino e in Poussin, sarebbero, per Baldini non i custodi del gregge, ma i custodi della tradizione ermetica. Personalmente, malgrado l'affascinante identificazione che lo studioso fa dei personaggi del dipinto del Guercino, ciò mi sembra più valido e coerente per il solo Poussin. Bisogna considerare però che vi può essere anche un'altra non meno affascinante identificazione. In Codice Arcadia , 50, si suppone, con qualche ragione, che il personaggio a sinistra di chi guarda, vestito di bianco, piuttosto giovane, unico ad avere i piedi scalzi e poggiati sulla nuda terra, sia il dio Pan. E' il dio del mondo fisico, il Rex Mundi. Il dio Pan è dipinto più volte da Poussin, spesso come erma o statua, con gli attributi del satiro. Pan, che ha in capo la corona di alloro, è nudo e i suoi piedi che poggiano sulla nuda terra, sono quelli tipici del capro, come in Pan e Siringa del 1637 alla Gelmaldegalerie Alte Meister di Dresda.

File:Nicolas Poussin - Pan and Syrinx - WGA18302.jpg
Nicolas Poussin, Pan e Siringa, 1637 Gelmaldgalerie Alte Meister, Dresda

Educazione di Pan
Luca Signorelli, L'educazione di Pan,1490, già Kaiser Friedich Museum, Berlin

Il dio che cerca di afferrare la bianca ninfa Siringa sbuca da un cespuglio che si trova fra quattro alberi posizionati simmetricamente come i personaggi. Gli alberi, con in Et in Arcadia Ego II, fanno da sfondo, alla scena in primo piano, con i personaggi disposti simmetricamente. Nei due quadri Poussin ha usato una disposizione geometrica consimile, ma è probabile che abbia visto anche il dipinto oggi distrutto durante il bombardamento del Museo di Berlino nel'45, di Luca Signorelli, L'educazione di Pan, che sviluppa nella disposizione simmetrica sul tema iconografico della Sacra Conversazione, la stessa disposizione a pentacolo ( in Codice Arcadia,tavv. 2 e 6 ).



Pan era il dio delle selve e dei boschi e il suo culto era originario dell'Arcadia. Nella famiglia Medici ( Lorenzo aveva commissionato il dipinto a Signorelli ), si credeva che il dio era portatore di pace e di prosperità e partecipava, come figura mitica-simbolo e culto misterico nell'ambito delle dottrine ermetiche diffuse nell'ambito del circolo dell'Accademia Platonica fiorentina diretta da Marsilio Ficino. Dunque un dio arcadico, simbolo del piacere e del mondo fisico, poteva a pieno titolo entrare in Et in Arcadia Ego II.  Il supposto Pan ( o più semplicemente la figura che, ad esso legata, simboleggia la vita terrena ) si trova sullo stesso piano, in contrapposizione, con l'altra figura che in comune con lui ha la corona di alloro ( sono due sapienti-iniziati che posseggono la conoscenza segreta dei culti misterici ) e per antitesi deve significare la vita spirituale , quella che può essere incarnata dal dio egizio Shu-Ra. Il personaggio inginocchiato al centro potrebbe essere un pastore-sacerdote. In una visione cristologica i due personaggi potrebbero anche identificare il dualismo fra le due nature di Cristo, quella terrena e quella spirituale, ed indicare anche la stessa immagine di Gesù Cristo ( il colore bianco, che simboleggia la morte è contrapposto al rosso che indica il sacrificio dell'uomo-dio poi risorto ) e il personaggio in ginocchio, potrebbe essere il saggio, colui che sa, San Giovanni Battista ( il blu, simbolo del divino e della verità, della rigenerazione e quindi della Resurrezione) , che indica la scritta e la lettera D, deus  ; per cui il sepolcro è anche la tomba di Cristo-Dio. Un particolare: il personaggio che indica, in piedi, la scritta, appoggiandosi al bastone, fa un gesto di indicazione . Questo gesto, orizzontale, si ritrova in un famoso e molto discusso dipinto di Leonardo da Vinci, più volte associato alla serie dei dipinti esoterici e al quadro stesso di Poussin, La Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci che si conosce in due versioni, una a Parigi, l'altra a Londra. Quella con il gesto indicatore è la prima versione del Louvre


Vergine delle rocce
Leonardo da Vinci, Vergine delle Rocce, 1483-1486, Musée  du Louvre, Paris
Quest'opera era sicuramente presente nella collezione di Fointenebleau, nel 1625, quando fu vista da Cassano del Pozzo e da Poussin che aveva studiato lì l'arte dei maestri italiani. E' un fatto molto importante, perché a mio avviso il gesto che S. Elisabetta fa verso S. Giovanni Battista, è lo stesso gesto, ruotato in basso, che fa il pastore-iniziando nel quadro di Poussin.

File:Leonardo da Vinci 032.jpg
Leonardo, gesto di S. Elisabetta






Se rivediamo il gesto del Pastore in Arcadia o meglio vediamo l'intera figura, notiamo come S. Elisabetta e il supposto Pastore si rivolgono entrambi verso chi guarda; ma Leonardo, che usa un gesto indicatore significante di un moto dell'animo, indicando il piccolo Battista non vuole tanto indicare come si vorrebbe in Codice Arcadia l'importanza della continuità da Cristo a Giovanni, bensì il mistero della teofania, della rivelazione di Gesù-Dio al Bambino mediatore, al piccolo Giovanni Battista che battezzerà Cristo sulle rive di quel Giordano che si vede in primo piano ( sul gesto indicatore è molto bello e importante un volumetto di Chastel pubblicato da Laterza che riunisce conferenze del 1983 ), dove Cristo verrà sottoposto al rito purificatore ed iniziatico. Quindi Giovanni come futuro protagonista dell'ingresso del Cristo nella vita spirituale. Il gesto dipinto da Poussin, in genere, come afferma Chastel, è un gesto di movimento, mentre in Leonardo è un gesto significante, indica uno stato d'animo e invita ad una riflessione chi guarda. In Et in Arcadia Ego  II, però, il gesto è significante non tanto per chi guarda il dipinto, ma per chi è guardato da chi lo fa. Il destinatario del gesto, o meglio di ciò che significa l'indicazione, è la sacerdotessa-dea, Iside, ma anche, conoscendo quanto la dea ha prestato in termini iconografici alla Vergine Maria, appunto alla Madonna. E in questo caso l'indicazione della morte, sta anche a indicare la morte del figlio ( e di conseguenza la sua sepoltura ). Inoltre Maria è mediatrice della grazia divina e dunque il personaggio che la guarda, se è simbolo della vita spirituale ,ed è un iniziato, è anche colui che trasmette il messaggio spirituale e misterico, il mistero della divinità e della resurrezione.
Qui non abbiamo fatto altro che riassumere, integrare,sviluppare, varie teorie interpretative che, peraltro, sono diverse, contrastanti, alcune ingegnose, altre farraginose, altre fantasiose, soprattutto una scansa l'altra e vi si sostituisce. Oltretutto basta poco per incrinare alcune concezioni, come quelle complottistiche ed esoteriche del mistero di Renne-le- Chateau , per proporne altre . Ad esempio, vi sono buone possibilità che il paesaggio di Et in Arcadia Ego II ( e probabilmente anche quello di Et in Arcadia  Ego I, più verso l'altura di Nemi e nei suoi boschi di alta collina, piuttosto che quelli più bassi e di pianura di Ariccia ) piuttosto che francese e della campagna vicina a Renne- le-Chateau, potrebbe essere della Campagna Romana, dei Castelli Romani, vicino ad Ariccia, ove è il Bosco Sacro in cui era il Santuario di Diana. Nel bosco si svolgeva il rito del Rex Nemorensis ( descritto da Frazer in Il ramo d'oro ), in cui un Re Sacerdote sfidava a duello il Vecchio Re, chi vinceva prendeva il potere. Sembra che questo rito venisse importato ad Ariccia proprio da Oreste, da qui il collegamento fra paesaggio e fabula mitologica. E il prototipo di sepolcro nemmeno manca, si tratta di quello del cosiddetto Simon Mago, di forma quadrangolare, da sempre considerato misterioso, posto nei pressi del Basto del Diavolo, sotto un arco. Simon Mago era un eretico che praticava la magia e diffondeva una religione misterica, era un Gran Maestro Gnostico, secondo la quale quando l'uomo viene iniziato ai "sacri misteri" partecipa della natura di dio e diventa"potenza di dio". La setta gnostica di Simone di Samaria coinvolgeva in sé varie dottrine misteriche, soprattutto iraniche e di derivazione egizia collegate, come altre alla predicazione di S. Giovanni Battista. Dunque se la tomba era quella di Simon Mago, la trasmissione misterica era quella dello gnosticismo simoniaco. 
             Una cosa è comunque certa, Poussin, sotto la guida di padre Kirchner e grazie alle sue conoscenze classiche era certamente in grado di realizzare dipinti che rispecchiassero tanto concezioni ermetiche, quanto visioni mitologiche e questo aspetto lo seguì in tutta la vita; proprio in vecchiaia, quale ultimo dipinto, che doveva far parte di una serie di soggetti sulle stagioni sotto forma di scene bibliche, realizzò nel 1664, un Inverno che doveva mostrare un ben strano Diluvio Universale. Si tratta di un'immagine molto complessa e di difficile decifrazione, ma non priva di grande fascino enigmatico. 


Nicolas Poussin, Inverno o Il Diluvio Universale, 1664, Musée du Louvre, Paris

Caro lettore che sino a qui mi hai con pazienza, eventualmente, seguito, in questo viaggio fra gli enigmi di Poussin , non preoccuparti, non ho intenzione di mettere ancora a dura prova la tua pazienza; rimando a un altro post  la lettura iconologica che spero tu la possa trovare intrigante al punto giusto. Qui termino la mia disanima, ricordando due cose: la lettre di Fouquet al fratello esprimeva forse la convinzione che il pittore potesse mettere a parte il ministro delle finanze del re, di sue riservate informazioni, che forse nemmeno avevano a che fare con fantomatici o teorie del complotto, in ogni caso resta il fatto che Poussin avesse appreso da Kircher linguaggi cifrati e le modalità per codificarli in forma iconica e che probabilmente lo scienziato gesuita fosse intenzionato a conservare il sapere ermetico-alchemico al di là e al di sopra dell'ufficialità del sapere cristiano e che condividesse questa intenzione, forse, più che col Rospigliosi, con Cassiano del Pozzo e Gian Battista Marino e con un circolo di iniziati che forse costituivano un primo nucleo accademico segreto ( gli Arcadi ) che poi venne ripreso, ricodificato e reso ufficiale, nell'ambito del circolo culturale sorto attorno a Cristina di Svezia. Va detto, infine, che la sentenza Et in Arcadia Ego cara al Rospigliosi, che la intendeva solo in senso moraleggiante, fu sempre cara allo stesso pittore e condivisa con amici e artisti e fu un po'la sua ossessione per l'intera vita. Quando il pittore morì a Roma e venne seppellito nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, dove il lettore potrà andare a vedere il suo sepolcro, Chateaubriand, volendo rendergli omaggio non fece altro che far realizzare sulla sua tomba un bassorilievo che riproduceva proprio i Pastori in Arcadia aggiungendo, ai molti enigmi che ruotano intorno al pittore, un ulteriore enigma: un lascito testamentario morale o una indicazione della strada che il lettore incallito di iconologie segrete deve seguire? L'epigrafe è curiosamente incompleta Et in Arca Ego ( dovrebbe essere così : Et in Arca (dia ) ego. Ma arca? L'Arca di Noè non salvò le specie viventi dal Diluvio Universale? La ricerca continua nel Diluvio Universale? Nell'epigrafe che lamenta la morte per la Francia del grande pittore Chateaubriand fece scrivere: " pur egli è vivo e dai suoi quadri parla": pazienza lettore, cercherò di soddisfare più in là la tua curiosità.


La tomba di Poussin a Roma
Roma, Tomba di Poussin, Bassorilievo ed epigrafe sepolcrale, S. Lorenzo in Lucina

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