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sabato 30 novembre 2013

L'attesa della fine


     






                                 L'ATTESA DELLA FINE


                          Caravaggio, Davide con la testa di Golia, 1609c, Galleria Borghese, Roma 



File:Caravaggio - David con la testa di Golia.jpg
Caravaggio, Davide con la testa di Golia, 1609-1610, Galleria Borghese, Roma





" Mio padre era testimone militare al processo delle Fosse Ardeatine. Ha visto impiccare la salma di Mussolini...Molti dei miei ricordi sono legati a villa Quasso sul lago, a Cecilia e Davide che sono presenti in Caravaggio, perché ho scritto dei ricordi d'infanzia di Caravaggio con in mente i miei ricordi d'infanzia in Italia: l'arrampicata in montagna, la rondine che entra nella stanza..." Derek Jarmach, regista di"Caravaggio",1986, in Mymovies.it. 

« Guardami, guardami, ancora più solo, più giù qui dietro nel cranio, immaginando e sognando e, oltre il bordo della cornice, le tenebre, la nera notte che invade. La fuliggine delle candele che scurisce la vernice si aggira furtiva per lo studio vuoto, incorona i miei quadri feriti che macchiano la luce del crepuscolo. Ferite di coltello tagliente conflitto nell’inguine, annaspando senza fiato a strappare il tuo ultimo respiro alle stelle, mentre il seme scorre sulle lenzuola brucianti. E cadi nella notte. Galleggio sulla superficie vitrea di un lago ancora buio, nero come carbone nella notte, silenzioso come un’eco. Una pagliuzza nei tuoi occhi. Con un battito di palpebre mi fai roteare ed ingoiare da un vortice. Precipito in profondità violette l’indescrivibile silenzio di queste acque, una lacrima si forma e cade. Le increspature si diffondono oltre l’orizzonte più lontano, oltre la materia, Scintilla! Stella! Ti amo più dei miei stessi occhi. » Caravaggio, nel film " Caravaggio" di Derech Jarmach, 1986. 

" Ultimamente arrivato in un luogo della spiaggia, misesi in letto con febbre maligna: e senza aiuto humano tra pochi giorni morì malamente come appunto male havea vivuto" Giovanni Baglione, Le vite de'pittori, 1642.

" Era un uomo col cervello stravolto che si addormentava vestito e armato"" Susinno, Vite de'pittori messinesi, 1724 

                   L'attesa della fine. Sdraiato su una tavola che gli funge da letto, dentro una specie di capanno sulla riva del mare, sudato e febbricitante di malaria, lo straordinario Caravaggio di Derek Jarmack ( insuperato e insuperabile film sul grande pittore ), impersonato eccezionalmente da Nigel Terry ( che ha una straordinaria somiglianza con l'artista lombardo  ), rivive come in un delirante sogno gli avvenimenti della sua vita violenta che non è la vita di un uomo, di un'artista, lontano da noi, ma che vive anche nel nostro tempo pur appartenendo al passato, con la sigaretta fra le labbra e un cappotto sdrucito ( si vedano le immagini in questo stesso blog ), dentro una vasca da bagno come Marat, sul fine con un giovane amante, per i vicoli di una Roma ottocentesca in un triangolo amoroso con Ranuccio Tomassoni, amante e modello del pittore, ma anche fidanzato di Lena e Lena, prostituta e modella preferita di Caravaggio . Un triangolo di passione e di morte che porterà il pittore all'omicidio e alla fuga da Roma. Sul letto di morte Caravaggio di Jarmak ricorda tutti gli episodi del suo passato in tanti quadri-flasch back, in cui una straordinari visionarietà dettagliata della figura umana si sposa con le immagini della pittura in un mix particolare e straordinario che è, insieme, biografia intima del pittore lombardo e del regista inglese, o per meglio dire una biografia del primo attraverso i ricordi e i sogni dell'altro. Abbiamo citato questo film per parlare dell'attesa della fine di Caravaggio, perché meglio di altri è in grado di evocare immagini che colpiscono, che si mostrano nella loro forza espressiva e rivoluzionaria, che riescono a dare un profondo senso di recupero onirico e tragico di una vita attraverso i fatti e soprattutto le immagini-quadro. Una vita che ri-vive sullo schermo proprio nel momento dell'abbandono della vita. 
               Caravaggio aveva sperato sino all'ultimo di ottenere la grazia dal papa ed evitare così la morte per decapitazione che era la pena che spettava a chi si fosse macchiato di una colpa grave come appunto era l'omicidio di Ranuccio Tomassoni che nella realtà ( nella finzione filmica aveva altre motivazioni legate ai torbidi rapporti che legavano, secondo la sceneggiatura, Lena a Ranuccio e a Michele ) avvenne a seguito di un'accesa discussione fra giocatori di pallacorda ( una sorta di tennis che si giocava però davanti a scommettitori che puntavano sulla vittoria dei giocatori ) degenerata prima in rissa, poi in scontro pericoloso finito con l'omicidio di Ranuccio, colpito da Caravaggio con un colpo di spada alla gamba che doveva aver colpito, o meglio reciso, l'arteria femorale. Nella rissa dovevano anche, però, giocare un ruolo preponderante la rivalità ed i rancori passati fra Ranuccio e Caravaggio, forse per ragioni di donne e di prostitute-modelle in particolare. Ranuccio, come ha ben chiarito Robb, era un giovane scapestrato e un baldanzoso magnaccia che ci teneva molto ad avere le sue puttane e Caravaggio lo ostacolava perché era amico e protettore di alcune prostitute che si prestavano a fare anche da modelle, come Anna Bianchini, Lena Ambrongini, Fillide Melantoni. Così lo scontro, nato a seguito della contestazione sulla validità o meno di un punto, si era vieppiù acceso proprio a causa di questi contrasti. Quanto la rissa si trasformò in uno scontro pericoloso con le spade in  pugno, non ci fu più alcuna remora, ognuno voleva colpire e uccidere l'altro, ma anche punirlo dei passati rancori subiti. La spada che colpisce la parte interna della coscia e recide l'arteria femorale, aveva tentato, di punta, come indica Robb, 2001, 362-362 di colpire il sesso, cioè la vantata virilità del giovane ternano. 
             Nel quadro che vediamo sopra, la spada è chiaramente direzionata sull'inguine. Diciamo questo perché è nostra convinzione che Davide con la testa di Golia , realizzato fra fine del 1609 e inizio 1610,   come una sorta di omaggio-richiesta di grazia al potente cardinale Scipione Borghese, appassionato collezionista di opere d'arte, anche del Caravaggio, contenga dei richiami al delitto commesso e si caratterizzi, nello stesso tempo, come una personale interpretazione del pentimento di fronte al giudizio già emesso e che pesava su di lui, quello della condanna a morte. Da tempo si sa che nella testa del gigante fariseo Caravaggio si è autoritratto : il volto è quello di un uomo condannato, segnato, con gli occhi gonfi, i denti ingialliti e storti, la bocca aperta in una sorta di impressionante grido afono di dolore. La testa, come vediamo, è guardata con una sorta di commiserazione, di compatimento, dal giovane Davide, che secondo l'intuizione di Sergio Rossi, 2012 ( ma nel 2001, era già stato il Resca a parlarne ), è un altro autoritratto del Merisi, un autoritratto da giovane ( confermato da confronti, come poi vedremo, su altri autoritratti accettati del pittore ): il giovane Davide- Caravaggio, non ancora colpito dall'ombra del peccato e quindi in uno stato di grazia, fissa con sguardo quasi compassionevole, Golia-Caravaggio maturo, segnato dal peccato e dal male. Un doppio autoritratto, dunque, che ha una funzione di captatio-benevolentiae nei confronti del destinatario del messaggio, il papa. In questo messaggio non giocano una loro precisa funzione le sole immagini, ma intervengono anche le parole, scritte, che servono a rendere ancora più esplicito il messaggio stesso. Sulla lama della spada si leggono le lettere H-AS-OS, che costituiscono la nota abbreviazione per Humilitas ( H-AS ) Occidit Superbiam ( OS ), l'umiltà uccide la superbia. Pertanto il messaggio era anche scritto e proprio sulla lama destinata ad uccidere e direzionata verso il pene ( che naturalmente era quello di Ranuccio, assente nel dipinto, ma in questo riassunto figurativamente attraverso una indicazione indiretta ). Scrive Robb, 2001, 378, che una delle misure più efficaci prese contro i criminali che si erano macchiati di colpe molto gravi e odiose, quale appunto l'omicidio, era l'ignominia che veniva diffusa attraverso l'immagine del ricercato, come aveva scritto il cardinale De Luca ne " Delli giudizi criminali" : "L'immagine di quel bandito si mette in figura di impiccato alle forche...per l'ignominia e la mortificazione de'parenti..." . Quindi Caravaggio nella figura di Golia non aveva fatto altro che riprodurre il se stesso da morto, quella figura che nei bandi indicava non solo l'ignominia di cui era fatto oggetto il pittore nei territori dello Stato Pontificio, ma anche che invitava, coloro che lo avessero incrociato negli stessi territori, ad ucciderlo e a decapitarlo per portare la testa alle autorità e riceverne la ricompensa promessa. Se guardiamo con attenzione il volto impressionante di Golia, oltre alla ferita al centro della fronte che era stata prodotta dal colpo inferto dal sasso scagliato con la fionda e che faceva diretto riferimento al racconto biblico, possiamo considerare come il volto segnato, scavato alle guance, mostri il caratteristico colorito scuro che si ha quando i tessuti si anneriscono a seguito della perdita di sangue determinando il fenomeno del livor mortis. La testa mozzata, che Davide tiene per i capelli, mostra, in basso i gangli sanguinolenti che restano attaccati alla base del collo. Evidenzia, dunque un altro tipo di ferita, quella della tragedia contemporanea, della storia umana del pittore. 



La testa di Golia

Si noti come la fronte ferita,  illuminata dalla luce della storia, mostri al centro un vero e proprio foro, un buco nero evidenziato dalle ripiegature ingrinzite della pelle verso l'interno, mentre se vediamo in basso il fascio di gangli sanguinolenti, notiamo come la luce tragica della realtà esalti il colore del sangue che appare sparito o in via di sparizione sulla pelle del volto. Un sangue che non zampilla, che non indica più alcuna vitalità, un sangue che esprime la definitività della morte. 






Davide con la testa di Golia






                  Sappiamo che Caravaggio, al pari dei pittori del suo tempo ( era una consuetudine necessaria per uno studio dal vero ) aveva assistito alle esecuzioni che si tenevano di regola nella piazza di fronte a Castel Sant'Angelo allo sbocco del Ponte ed in particolare aveva assistito all'esecuzione di Beatrice Cenci, della quale si ricorderà quando dipingerà Giuditta ed Oloferne , nel 1599, conservato alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma. Ma è anche del tutto possibile che a Roma Caravaggio avesse avuto modo di vedere cadaveri negli obitori degli ospedali e quindi avesse potuto osservare i processi di necrosi e di ipostasi sui cadaveri da poco depositati. E naturalmente poteva aver visto da vicino anche i cadaveri di giustiziati per decapitazione. Nella raffigurazione della testa tagliata Caravaggio non faceva altro che rappresentare, dunque, una avvenuta realistica esecuzione che aveva il compito di muovere l'attenzione verso la pietà nei confronti del giustiziato che in questo caso, essendo il volto di Golia riconoscibile in pieno nelle fattezze del pittore, era non una pietà verso il gigante filisteo, ma una pietà mossa verso quello che di lì a poco sarebbe accaduto a Caravaggio che non voleva nascondere la sua colpa, ma allo stesso modo non voleva nascondere il fatto di essere anche stato una vittima. Non è chiaro dove il dipinto fosse stato realizzato. Robb, retrocede la datazione al 1606, prima del viaggio a Napoli che avvenne, forse alla fine di settembre di quell'anno ed afferma che il dipinto venne realizzato dal vero nei feudi Colonna, forse a Paliano e che nella figura di Davide aveva ripreso il suo modello e garzone Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, allora diciassettenne e che era con il pittore nel suo rifugio. In questo caso il dipinto doveva era stato realizzato a seguito dell'emissione del bando contro il pittore sulla scia della dell'angoscia per essere ricercato dalla polizia pontificia e della paura per essere riconosciuto e catturato o addirittura ucciso e che in seguito il dipinto, probabilmente nel 1610, venisse utilizzato per convincere il cardinale a perorare la sua richiesta di grazia. L'altra possibilità è che invece venne dipinto a Napoli, ma quattro anni dopo, nel 1610, dopo altre disavventure passate fra la stessa città partenopea, Messina, Palermo, Malta e, appunto, di nuovo Napoli. In questo caso il dipinto doveva essere inviato al cardinale Scipione Borghese che divenuto " nepote " del papa Pio V era divenuto molto influente e aveva grande interesse per le opere del Caravaggio che già possedeva nella sua ricca collezione ( Il ragazzo con il canestro di frutta, ed altri fra i quali la Madonna dei Palafrenieri ), ma non è chiaro se doveva essere inviato assieme ad altre opere menzionate dai documenti come la Maddalena ( quasi certamente la Maddalena in estasi o Maddalena Klein ) e i " due S. Giovanni Battista " ( di cui uno era sicuramente quello alla Galleria Borghese ), o se invece fosse stato inviato prima al cardinale forse per saggiarne la disponibilità. E' importante considerare che i dipinti inviati avevano fra di loro una relazione, erano cioè in funzione della richiesta di grazia. I soggetti in questo senso sono eloquenti. La Maddalena in estasi  ( dipinta nel 1606 forse a Paliano o comunque nei feudi Colonna dopo la fuga da Roma )  presenta non l'immagine della peccatrice, oppressa dall'ombra del peccato, ma quella della redenzione, in cui Maddalena è già convertita e preda di una visione estatica; mentre S. Giovanni Battista della Borghese ( dipinto nel 1610 e forse l'ultimo dipinto del pittore ) mostra l'adolescente Battista diverso da altre versioni   ( dove è rigoglioso nella sua baldanza e sicurezza ), mesto, smagrito, malaticcio, con una immagine di solitudine e di malinconia che sottintende l'avverarsi prossimo della tragica fine. Ma il S. Giovanni allude anche alla speranza, alla salvazione, alla grazia, che non è solo in senso cristiano ( l'ariete è un simbolo del sacrificio di Cristo ), ma anche in senso personale e terreno ( a voler forzare l'interpretazione e a leggere il soggetto come buon pastore, con allusione simbolica alla richiesta di grazia presso il cardinale, hanno valore tanto il drappo sul quale siede S. Giovanni, di colore rosso porpora, cardinalizio, quanto il bastone o pastorale che è tenuto come si impugna una penna ). 

Caravaggio, Maddalena Klein, Roma, collezione privata
Caravaggio, S.Giovanni Battista, Roma, Galleria Borghese



I dipinti portati sino all'approdo pontificio di Palo laziale quali omaggi per il cardinale Scipione Borghese, non vennero scaricati a terra in quanto il pittore venne arrestato probabilmente già sulla feluca e imprigionato subito, forse in una segreta del castello Orsini Odescalchi, ma rimasero a bordo sin quando il pittore con una ingente somma si denaro ottenne la liberazione; non però vennero scaricati come il Caravaggio aveva richiesto, ma inspiegabilmente vennero portati via dalla feluca che prese il largo lasciando sulla spiaggia il pittore. Bottino troppo ghiotto per non essere subito portato via. Della triste fine di Caravaggio a Porto Ercole dove si dice si fosse recato ( ma vi sono molti punti oscuri dei quali si accennerà ) non appena la feluca si era allontanata, sappiamo quanto ci è stato documentato da avvisi e lettere e biografie, dei dipinti, invece, bramati un po' da tutti i committenti ed i protettori o presunti tali, sappiamo che in un primo tempo furono presso la marchesa Colonna a Napoli ed in seguito sparirono anche da lì. Il cardinale Scipione riuscì ad assicurarsi il S. Giovanni Battista e forse, già prima, possedeva il Davide con la testa di Golia
                   Ma torniamo al nostro dipinto di Davide con la testa di Golia.
La figura del giovane Davide è attraversata al centro da una linea diagonale che separa il busto ( a sinistra la camicia bianca spiegazzata, a destra il corpo nudo ) e arriva passando invisibile nel buio sino ai gangli sanguinolenti posti sotto il capo mozzato. E' da notare che questa diagonale è raddoppiata, in basso dalla spada impugnata a sinistra. A queste due diagonali fanno riscontro, in verticale, due perpendicolari: una va dall'apice della fronte ( divisa da una zona in ombra a destra da una in luce a sinistra che attraversa il viso sino ad arrivare al mento ) alla parte alta della coscia coperta dalle brache marroni; l'altra, invece, parallela a questa, è quella che impernia la testa di Golia partendo dall'impugnatura della mano di Davide, che regge la testa per i capelli, per fuoriuscire alla base della stessa testa fra i gangli sanguinolenti ( anzi, se vogliamo, la perpendicolare è conclusa proprio dal fascio unito e verticale di alcuni di essi ). Questa composizione è illuminata da una luce occulta ( nel senso che non sappiamo da dove viene né che reale direzione abbia ) che mostra in chiaro il corpo di Davide e le parti sinistre delle due teste, mentre le destre sono in ombra al pari del braccio dell'eroe. In questo senso le due teste sono simbolicamente accomunate da un rapporto di luce-ombra, di bene-male, di innocenza-colpa, mentre il braccio, nella parte che contiene la forza che uccide ( e che giustizia ), cioè nella mano che stringe la spada, è appunto in ombra. L'immagine del Davide ha il fondo nero bituminoso. Caravaggio tende a creare ora figure singole su sfondi bui, figure che sembrano emergere alla luce o che sostano alla luce in un attimo, quello di un flash. Nell'attimo in cui la luce rivela l'azione compiuta rivela anche l'attenzione dello sguardo di Davide, del giovane verso l'uomo maturo, del giustiziere verso il giustiziato, dell'anima ancora in uno stato di innocenza verso l'anima dannata. Ma non è uno sguardo severo di condanna, è uno sguardo di compatita comprensione: il male sconfitto muove la pietà più che la tronfia vittoria. Che la testa di Golia fosse un autoritratto lo sapeva già il biografo Bellori, 1672: "mezza figura di Davide, il quale per li capelli tiene la testa di Golia, che è il suo proprio ritratto" . Una pratica, quella del pittore che era stata più volte espressa sia quando si ritraeva da giovane che da maturo adulto. Ora, se anche Davide, come già detto, è un autoritratto, possiamo parlare di un doppio autoritratto e di una doppia condizione: quando era giovane e ancora innocente e quando era più anziano e colpevole. Vediamo di documentare questo doppio autoritratto. Iniziamo dunque con il Caravaggio-Golia. Il più vicino, da un punto di vista strettamente somatico, è quello che vediamo nel Martirio di San Matteo a San Luigi de' Francesi a Roma. Il volto del pittore, amaro, malinconico, appare subito a sinistra dietro il carnefice.

    
Caravaggio - Particolare Davide con la testa del Golia 
                  Caravaggio, Davide con la testa di Golia,                      Caravaggio, Vocazione di San Matteo, autoritratto
                                 part. della testa di Golia
                                         



Un altro sicuro autoritratto è quello che compare nella Cattura di Cristo di Dublino: è il volto del personaggio che sorregge una lanterna ed illumina la scena. La luce rischiara questo volto che appare attento e quasi sorpreso, con la bocca semiaperta e la barba.

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Caravaggio, Cattura di Cristo, 1603c. National Gallery of Ireland, part.  
  

Nel Martirio di Sant'Orsola, dipinto a Napoli nel 1610, due mesi prima della morte, abbiamo l'ultimo autoritratto, collocato proprio dietro alla santa, mentre il flash di luce improvvisa ( una tecnica che esalta la contrapposizione luce-ombra, come aveva già sperimentato in Davide con la testa di Golia ) mostra la scena della storia e la tragicità della morte che tutto vince, anche l'amore.  Da notare che anche qui, come nel precedente autoritratto la bocca è semiaperta, ma non è più una bocca che esprime stupore e contenuta indignazione come nella cattura di Dublino, ma esprime sgomento e già una evidente disperazione di fronte allo spettacolo della morte. Insomma non siamo lontani dall'autoritratto di Golia, con la differenza che qui la bocca è spalancata da un vivo che ha ancora la forza per lottare, per vivere, in Golia, la bocca aperta è quella di un cadavere dove i muscoli rilasciati hanno spalancato un antro infernale con tutti i peccati mortali cacciati dentro, una testa però che non è un trofeo, ma rappresenta l'arrivo di una parabola drammatica della vita violenta del pittore: dall'espressione malinconica della Vocazione a quella sgomenta della Cattura sino a quelle prima disperata di fronte alla morte poi tragica della morte stessa incarnata in cui non ci sono più sguardi, ma solo gli occhi di orbite senza  vita.   



  
Caravaggio, Martirio di S. Orsola, 1610, Palazzo Zevallos, Napoli
                    


Abbiamo detto che il Davide che guarda Golia è un autoritratto giovanile di Caravaggio, usato anche in funzione di un rapporto figurativo di antitesi fra gioventù e maturità, come fra bene e male ( o deviazione dal bene ), ma anche di amaro commento ( in senso morale e autobiografico ) sulla grandezza sconfitta ( il gigante Golia ), sulla differenza fra l'adolescenza ancora attraversata dalla grazia e dall'incoscienza e la maturità della consapevolezza della sconfitta e della pre-figurazione della morte. Davide guarda con un senso di comprensione amara la testa spiccata dal busto. Possiamo indicare, come possibili autoritratti di Caravaggio giovane Il ragazzo con il canestro della frutta e soprattutto il Bacchino malato , che si trova sempre alla Borghese e proprio accanto al Davide.

File:Bacchino malato (Caravaggio).jpg
Caravaggio, Bacchino malato, 1593 o 94, Galleria Borghese, Roma











Il bacchino ritrae Caravaggio da giovane, pochi anni dopo il suo arrivo a Roma, quando il pittore era convalescente, appena uscito dal ricovero per malaria nell'ospedale della Consolazione. L'opera proviene dal gruppo di dipinti sequestrati al Cavalier D'Arpino nel 1607 a seguito di una denuncia pretestuosa per porto illegale d'armi e divenuti di proprietà Borghese. Presso il Cavalier D'Arpino aveva lavorato proprio Caravaggio da giovane e l'opera faceva parte di quel gruppo realizzato dal pittore ( come il Giovane con canestro di frutta ) e rubricato fra i dipinti di figura umana associati alla natura morta. Qui il Merisi si ritrae usando lo specchio e verificando nell'immagine riflessa i danni causati dalla malattia come le labbra livide, il pallore, le occhiaie ( il compianto studioso e amico Maurizio Marini sosteneva però che si trattava non dei segni della malattia, ma che il generale colore bluastro dell'opera era dovuto ad un restauro mal fatto; tuttavia il volto del bacchino è indubbiamente segnato dalla malattia e all'ospedale della Consolazione venivano portati malati di malaria, anche se vi sono versioni contrastanti sul ricovero del pittore e sul motivo dell'infermità ); il soggetto è quello allegorico di Bacco giovane, visto di taglio, in una posa classica, statuaria, con la gamba sollevata, come a voler uscire dalla parte bassa sotto il tavolo, che  allude alla resurrezione e alla rinascita dopo la morte ( o nel caso specifico dopo la malattia ) e in questo senso per analogia simbolica l'uva alluderebbe sia a Bacco, dio del vino, sia a Cristo e quindi alla Passione. Va però detto che la posizione della gamba parte da un ricordo lombardo del pittore, del suo datore di lavoro a Milano in bottega, Simone Peterzano, in particolare della Sibilla Persica dipinta da Simone nella Certosa di Galluzzo e allora ci si chiede se il simbolismo cristologico non sia poi una forzatura, considerata anche la giovane età del pittore. Lo sguardo del Bacchino, è posto in basso a sinistra, quello del Davide è direzionato leggermente a sinistra ed è più basso, ma la testa è posizionata dall'altra parte, a destra. Lo sguardo del Bacchino coinvolge lo spettatore con un'espressione allo stesso tempo affaticata e sensuale con i grandi occhi e la bocca aperti, mentre Davide sembra estraniarsi rispetto a chi lo guarda e preferisce fissare compassionevole Golia che è propriamente l'oggetto dell'attenzione del quadro. 



Caravaggio, Bacchino malato





Caravaggio, Davide

Ma Se guardiamo attentamente i due autoritratti, notiamo in entrambi una vena di tristezza ( anche se nel Bacchino è mal celata da una apparente giovanile sfrontatezza ), più consona all'idea di malattia nel Bacchino, più idonea all'idea di compassione nel Davide. Inoltre, le fattezze dipendono, in qualche modo, dalla tensione dei nervi e dei muscoli ( splendida nel Davide la V profonda del trapezoidale ) che sono evidenziate da due nudi  (  nel Davide il corpo nudo è studiato sull'anatomia michelangiolesca ). Il Bacchino ha un evidente rilasciamento della muscolatura che è dovuta alla malattia, mentre il Davide ha la muscolatura tirata, come se avesse delle corde che ne tirassero ai due lati il trapezoide : è una chiara evidenza della tensione che è ancora dentro il personaggio dopo l'impresa doppia del lancio del sasso sulla fronte di Golia e del taglio della sua testa. Ed è una tensione che resta anche nella pietà dello sguardo al male sconfitto.

               Ma restiamo alla Borghese e osserviamo un altro dipinto, proveniente anch'esso da quelli del sequestro occorso al Cavalier d'Arpino, il Ragazzo con canestro di frutta che per posizione del volto e per espressione è  vicino, a mio avviso, al Davide, sebbene non sia un autoritratto di Caravaggio, bensì un ritratto del suo modello preferito, il pittore siciliano Mario Minniti.

File:Caravaggio - Fanciullo con canestro di frutta.jpg
Caravaggio, Ragazzo con canestro di frutta, 1593-94, Galleria Borghese, Roma
       
Non si tratta solo del trapezoide che vediamo ben rilevato con una profonda infossatura a sinistra, o della posizione degli occhi e dello sguardo, ma anche per l'espressione venata di malinconia, anche se la bocca aperta, dalle labbra rossastre, del giovane, ha una certa sensualità trattenuta che non ha ovviamente riscontro nel Davide. Nel cesto sono raccolti i frutti della stagione calda insieme a fogliame della stessa pianta dei frutti, come le foglie di vite. Era intenzione del pittore mostrare tanto il rigoglio fremente della stagione migliore quanto la caduta e l'appassimento, così come viene evidenziato dalle due foglie di vite, quella in alto e quella in basso. Non abbiamo, qui, abbiamo detto un autoritratto del pittore, ma un'attenzione realistica e psicologica che è presente anche nel Davide: non specchio dell'animo del pittore dunque, bensì specchio dell'anima della giovinezza che viene colta in un momento duplice: da un lato l'esaltazione sensuale della vita, dall'altro il declino, l'appassimento, la morte e questo rapporto vita-morte appunto si trova nel Davide con la testa di Golia . Un sicuro autoritratto giovanile, invece, è il Ragazzo morso da un ramarro ( quello autentico è certamente l'opera della Fondazione Longhi, l'altro alla National Gallery di Londra è di un allievo e certo una copia ) che il lettore può confrontare come somiglianza con il Bacchino malato.  Nel dipinto, carico di una forte ambiguità sensuale, Caravaggio dipinge se stesso usando anche qui lo specchio. Il volto ha la tensione di un'espressione di orrore un po' femminea del giovane che viene morso da un ramarro che è sbucato da un sotto un vaso di fiori di vetro trasparente che riflette la luce che lo attraversa. Abbiamo già precedente accennato al ramarro come ad un  simbolo fallico, ma qui la particolarità non interessa, né interessa il fatto che questo dipinto raffiguri simbolicamente in modo sintetico ed eccezionale i cinque sensi, quello che interessa è il fatto di confrontarci con un altro Caravaggio giovane,  sia per fattura pittorica sia per raffigurazione di se stesso, anche qui l'espressione ha una grande importanza. Non c'è la tensione trattenuta del Davide, c'è quella che sfocia da un momento all'altro nella paura, nello sgomento di fronte ad una presenza inquietante. Insomma l'autoritratto serve a Caravaggio per analizzare e mostrare uno stato d'animo in modo dettagliato e analitico e il Davide-Caravaggio giovane esprime proprio questo specchiarsi dell'anima, questa manifestazione psicologia tutta interiore. 

File:Michelangelo Caravaggio 061.jpg
Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, 1593-94 Fondazione Longhi, Firenze 
Anche questo dipinto dovrebbe provenire dallo stock dei dipinti sequestrati al Cavalier d'Arpino e appartenere, al di là dell'allegoria, ai soggetti con figura umana e frutti e fiori di cui era ottima produttrice la bottega di Giuseppe Cesari, il suddetto cavaliere. E quindi come altri potrebbe essere un autoritratto e uno studio di anatomia ancora una volta di tipo michelangiolesco sebbene la spalla messa a nudo con la camicia abbassata sia più dinamica e molto più sensuale. Di certo il pittore in quel periodo era in una fase di sperimentazione, fra studi anatomici ed espressioni dell'animo e questa tendenza così curata dell'analisi dei moti interiori servirà moltissimo al pittore che imparerà a perfezionare la lettura psicologica dell'interiorità sino al punto che non servirà più cogliere l'estremizzazione ( la malattia, l'orrore ) del sentimento per renderlo vivo, ma basterà accennare con pochi risoluti tratti ciò che l'animo nasconde, come appunto nel Davide.
        Come si è detto la scena della decapitazione, della violenza della pena capitale è spesso presente nella pittura di Caravaggio a cominciare dal dipinto della Galleria d'Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, con Giuditta ed Oloferne. Come abbiamo già detto Caravaggio aveva assistito nella Piazza di Ponte S. Angelo alla decapitazione di Beatrice Cenci e dei suoi fratelli e aveva certo memorizzato il momento del sollevamento della testa spiccata dal busto che era un momento di grande partecipazione emotiva e quasi rituale effettuato di fronte ad un numeroso e strepitante pubblico. I pittori in genere prendevano appunti grafici, così avrà certamente fatto Guido Reni che era presente; ma non Caravaggio che non usava disegnare, ma di regola dipingeva direttamente col pennello sulla tela e dunque è difficile che prendesse appunti grafici in un album o quaderno. A ricordare bastava la sua straordinaria memoria visiva.



Caravaggio, Giuditta e Oloferne, 1599,  Galleria di Arte Antica di Palazzo Barberini, Roma





                 Caravaggio avrà certamente ricordato il momento in cui la spada ( qui impugnata da Giuditta ) taglia il collo del condannato ( l'Oloferne barbuto ). La separazione fra testa e collo è impressionante così come lo schizzo violento di sangue sul cuscino. Qui la spada è più piccola rispetto a quella del Davide , Giuditta la impugna nella mano in alto, mentre quella in basso tiene Oloferne per i capelli. Possiamo immaginare che Giuditta una volta tagliata la testa al generale siriano con la sinistra la sollevi, poi con la destra ruotando il braccio a destra e sollevandolo di quel tanto perché appaia con un trofeo la mostra soddisfatta a lei stessa. La posa che non c'è, quella della testa sollevata, si ritrova nel Davide della Galleria Borghese. La scena ha una forte drammaticità e esprime in maniera straordinaria i moti dell'animo di fronte al fatto : la bocca e gli occhi spalancati di Oloferne, la sua faticosa ricerca di un appoggio per una vana resistenza all'ineluttabilità del del destino, esprimono la sconfitta del male, lo strazio di fronte al gesto violento di Oloferne posto nel suo spazio angusto mentre esce alla luce della verità e giustizia divina che cala dall'alto, dal buio del peccato. A destra invece Giuditta ha quasi un moto di stupore per aver lei donna potuto fare un'impresa così difficile e disperata in partenza. E' la lettura attenta dei moti dell'animo umano negli studi fatti da Leonardo e riletti nel Lomazzo e soprattutto studiati su stampe e copie ( Leonardo peraltro è anche citato in quel profilo del tutto leonardesco a destra della serva che severa assiste Giuditta nel difficile atto della decapitazione ). Lo stesso studio dei moti che si ritrova ( sebbene adattato lì a necessità più personali ) anche nel Davide della Borghese.   Il soggetto biblico di Davide e Golia , aveva interessato Caravaggio già da prima. Quando frequentava la sontuosa dimora del cardinale Francesco Maria del Monte ( oggi palazzo Madama, sede del Senato ), ed era legato alle rappresentazioni con due o tre figure e cominciava ad interessarsi di soggetti ricavati dalla storia sacra, Caravaggio, intorno al 1598, realizza una prima versione del Davide e Golia . Siamo qui lontani dallo studio dei moti espressivi dell'interiorità di fronte a fatti o situazioni drammatiche ( l'unico particolare che rimanda a questi aspetti potrebbe essere la mano del gigante chiusa a pugno a sinistra, che esprime la rabbia per la sconfitta e il dolore lancinante ), la scena è calma e Davide sembra un pastorello che trova la testa di Golia più che l'eroe che va a guardare il risultato della sua impresa. Da notare che anche qui la testa del gigante spiccata dal busto è un autoritratto del Caravaggio ed allora ci si chiede se il successivo autoritratto della Borghese non fosse più che altro una ripresa più che una rappresentazione di un determinato momento biografico. Però l'autoritratto del 1610 ha una tale impressionante drammaticità che non lascia dubbi sulla condizione che il pittore sente e che vuole rappresentare; ma va anche detto che Caravaggio che allora era giovane, si ritrae da uomo maturo e, forse, nella intenzione di vedere in Golia l'immagine del peccato ( era dunque consapevole sin da allora della sua condizione di peccatore? ). La testa di Davide è qui in ombra mentre quella di Golia è alla luce, mentre la composizione si basa su due perpendicolari centrali sole: la gamba e il braccio di Davide, il contrasto luce-ombra rappresenta una ulteriore perpendicolare che assume più un valore simbolico che compositivo: la luce livida scopre nel volto sofferente del pittore autoritratto, l'immagine del male e la mostra ad un Davide che è ancora inconsapevole e guarda il male con una certa malinconia e tristezza, ed anche qui con una certa compassione.  

Davide e Golia
Caravaggio, Davide e Golia, 1597 o 1598, Museo del Prado, Madrid

        
                 Il Davide e Golia del 1610 era stato probabilmente inviato come a dono a Roma, insieme alla domanda di grazia, al cardinale Scipione Borghese che doveva farsene poi partecipe col papa. Non sappiamo se Caravaggio volesse attendere una risposta o se decidesse di partire per Roma con altre opere senza aspettare, magari convinto, o illuso, che la grazia fosse cosa oramai risolta. Il 28 e il 31 luglio vengono pubblicati degli Avvisi a Roma dagli informatori del Duca di Urbino: " Si è havuto avviso della morte di Michiel Angelo Caravaggio, pittore famoso et eccellentissimo nel colorire e ritrarre dal naturale seguito da suo male in Port'Ercole " e " E' morto Michel Angelo da Caravaggio, pittore celebre, a Port'Ercole, mentre da Napoli veniva a Roma per la grazia di sua Santità fattole del bando capitale che haveva". Gli avvisi interessarono certo il Duca che vantava col pittore un credito per un quadro con la Madonna e il Bambino per il quale aveva versato un anticipo. Ora poteva dare addio al quadro perché il pittore era passato a miglior vita. Guardiamo però un po'più da vicino questo fatto. In una lettera del 29 luglio del nunzio apostolico Deodato Gentile da Napoli avvisa che il pittore è partito per Roma portando con sé tre tele ( i due San Giovanni Battista, uno è quello della Borghese e la Maddalena Klein ) su di una feluca che però anziché andare verso il porto di Civitavecchia, il porto di Roma, come sarebbe più logico, si ferma a Palo ( borgo costiero presso Ladispoli ) e il pittore, appena sbarcato, viene arrestato. La lettera precisa che il pittore viene scarcerato dietro il pagamento di una consistente somma di denaro. Si tratta non di una cauzione, ma di un atto di corruzione e c'è da dubitare che ciò sia avvenuto perché il capitano delle guardie non avrebbe certo permesso al testimone Caravaggio di allontanarsi in quanto la corruzione era punita con la morte, né avrebbe rischiato ad accettare il denaro. E' strano che Deodato conoscesse un particolare che se pure vero non avrebbe potuto essere rivelato. La feluca non aspettò il pittore per prenderlo a bordo e ripartire per Roma ( e non si capisce cosa stesse a fare a Palo, forse voleva defilarsi ed entrare a Roma senza essere riconosciuto? ), ma prese subito il largo con tutti i quadri. Caravaggio allora, narrano cronache e biografie, riprese la strada a piedi, ma anziché dirigersi verso Roma, a sud di Palo, prese la direzione verso nord e si dice verso Port'Ercole ( perché?forse pensava di trovarsi più protetto nei presidi spagnoli dipendenti dal Regno di Napoli? ); il borgo toscano era presidio spagnolo e distava ben 100 km e per raggiungerlo bisognava attraversare un terreno molto paludoso infestato dalla malaria e d'estate, con l'acqua razionata e il gran caldo. Ma sul luogo della morte esiste una vera confusione. Nella corrispondenza di Deodato si smentisce una notizia data prima: il pittore non è morto a Procida, dove non è mai stato, ma a Port'Ercole; il Mancini dice invece che è morto a Civitavecchia ( ma su quel documento l'indicazione geografica è cancellata e corretta in Port'Ercole ). Inoltre anche su dove fossero i dipinti le cose non sono chiare: in una lettera inviata dal viceré di Napoli al comandante dei  Presidi spagnoli si viene a sapere che i dipinti e gli effetti del pittore sarebbero a Port'Ercole, mentre secondo la lettera di Deodato sarebbero a Napoli. Il Pacelli che ha pubblicato fra il 1992 ,il 1997 e il 2003 considerazioni e documenti sulla fine del pittore sottolinea come lo stesso Mancini parla di "morte violenta" e come Francesco Bolvito, bibliotecario dei Teatini, nel 1630, asserisce che il pittore "...Michel'Angelo Caravaggio hebbe vicino a cento scudi per farci la pittura che havea promesso, ma perché fu ammazzato si perdè la pittura con i danari". Dunque non per malattia come si è sempre creduto e come hanno scritto i biografi? Ed allora è un falso il documento del 2001 che attesterebbe la morte di Caravaggio a Porto Ercole ? ( " Adì 18 luglio 1609 nel ospitale di S.Maria Ausiliatrice morse Michel Angel  Merisi da Caravaggio dipintore per malattia " ). 1609 ? Si pensa ad un errore di trascrizione o al fatto che nei presidi spagnoli il calendario non iniziava al I gennaio, bensì l'8 settembre e dunque verrebbe confermata la datazione; però, se fosse un falso? Il foglietto venne ritrovato in un Libro de' Conti, e non in un Libro de' Morti dell'ospedale della Compagnia di S. Croce a Port'Ercole, trascritto dal Cancelliere dei Capitoli della Collegiata di S-. Erasmo. La verità per Pacelli va ricercata invece nella seconda persecuzione del Caravaggio: i cavalieri di Malta. Michelangelo era stato espulso dall'ordine per un fatto gravissimo che aveva offeso il vendicativo Alof de Wignacourt, Gran Maestro dell'Ordine ( o un cavaliere a lui vicino ). Nominato cavaliere per meriti artistici, Michelangelo si vide espellere dall'ordine e privato dell'abito: " privatio habitus tam quam membrum putridum et foetidum" . Che cosa aveva mai fatto? Robb insinua che il reato fosse di natura sessuale, legato alle tendenze omosessuali del pittore ( o per meglio dire di pederastia, che non è propriamente la stessa cosa e non esclude rapporti, per altro provati, con donne, sia pure cortigiane ), che sembrano essere confermate anche dal Susinno nel suo libro sui pittori messinesi a proposito di una sospetta attenzione del pittore nei confronti di alcuni adolescenti. Caravaggio aveva dipinto, nel 1608, un ritratto a figura intera di Wignacourt e accanto a lui aveva dipinto un bel paggio che gli reggeva l'elmo e guardava maliziosamente lo spettatore ( peraltro questa figura mirabile aveva un considerevole successo, venne disegnata da Delacroix e Manet vi si è ispirato per realizzare il suo  Enfant avec épée del Metropolitan di New York ). E' possibile, come insinua Robb, che il giovane interessasse tanto il Gran Maestro che il pittore e che fu motivo di una controversia che portò il pittore in prigione, nella terribile cella della Guva. Da qui, per evitare un imbarazzante processo venne fatto fuggire e allontanare da Malta. Anche il Gran Maestro che pure si era fatto ritrarre da Caravaggio e teneva in gran conto il dipinto, se ne sbarazzò.



Ritratto di Alof de Wignacourt
Caravaggio, Alof de Wignacourt con un paggio, 1608, Musée du Louvre, Paris
L'affronto che Wignacourt aveva subito,  non poteva passare senza che fosse, però vendicato. Così ilo 24 ottobre del 1609, mentre Caravaggio si trovava a Napoli ( ospite della marchesa di Caravaggio ), all'osteria del Cerriglio, venne aggredito da un gruppo di giovinastri e colpito a calci e pugni. Ora sappiamo che il carattere del pittore era quello che era, ma non risulta che avesse lui provocato o aggredito alcuno, pertanto vi è da credere che fosse colpito da sicari dei Cavalieri di S. Giovanni di Malta e lasciato, come scrive Giovanni Baglione nella Vita, " nel viso così frattanto ferito, che per li colpi quasi più non si riconosceva" ( viene subito da pensare all'impressionante volto del Golia ). L'affronto che il Gran Maestro aveva subito non poteva passare senza che fosse vendicato. Infatti, il 24 ottobre del 1609, mentre si trovava a Napoli, all'osteria del Cerriglio venne aggredito probabilmente da sicari dei Cavalieri di S. Giovanni di Malta e, come scrive il Baglione " nel viso così frattanto ferito, che per li colpi quasi non si riconosceva"( e possiamo ricordare il terribile volto massacrato di Golia nel dipinto del 1610 alla Borghese ). Inizialmente si diffuse la notizia che Caravaggio, frattanto riparato nel palazzo della marchesa Costanza Colonna di Caravaggio che già lo ospitava a Napoli, fosse morto, ma la notizia in seguito venne smentita. Secondo l'ipotesi del Pacelli, il pittore, convinto di andare a Roma via mare ( forse perché l'ingresso sarebbe stato più nascosto e sicuro e anche perché la cassa con i dipinti si poteva portare più facilmente )  ed ottenere la grazia come accadde poi all'altro amico e latitante Onorio Longhi che dopo il fatto di Campo Marzio era riparato nel milanese. Caravaggio, caricati i dipinti su di una feluca, si diresse verso Civitavecchia che era il porto allora di Roma, ma inspiegabilmente l'imbarcazione si fermò lungo la costa presso l'attuale Ladispoli nella zona fortificata dominata dal castello Orsini Odescalchi in località Palo ( allora il borgo non c'era, ma si trovava solo la zona fortificata con delle dipendenze ), che ancora oggi possiamo ammirare. A favorire il pittore era Scipione Borghese che aveva da poco ottenuto di essere plenipotenziario di papa Paolo V e che era noto e avido collezionista e quindi molto attirato di poter mettere le mani non solo sui dipinti promessi ma anche su altri che si sarebbero potuti sequestrare al pittore. Come detto la feluca giunse in prossimità del castello di Palo dove, appena sbarcato ( o ancora in mare ) venne arrestato o addirittura subito ucciso ( considerato il carattere del pittore non ci voleva molto ad accusarlo di provocazione e di reazione violenta ma necessaria ). Si può pensare, dunque, che anche il capitano della nave era in qualche modo d'accordo per portarlo nel luogo dell'agguato. Perché accadde questo? C'erano convenienze private e politiche. L'intenzione di mettere le mani sui dipinti e di poterne sequestrare altri ( lo status di arresto o di morte a seguito di tentativo di arresto portava al sequestro immediato dei beni ), naturalmente da parte del cardinale e poi il patto segreto fra i Cavalieri di S. Giovanni desiderosi di vendicarsi di Caravaggio che aveva offeso un alto cavaliere o addirittura Alof de Wignacourt e lo Stato Vaticano manovrato dal plenipotenziario Scipione Borghese che mentre trattava di grazia col Caravaggio si guardava bene dal ritirare la taglia e la ricerca di "un bandito famosissimo " ( Robb crede che sia Caravaggio ). Tutto in questo modo, specie con la morte del pittore, doveva passare sotto silenzio, così l'omicidio non avrebbe avuto né testimoni né motivazioni imbarazzanti ( in una intervista Robb ha citato una ricerca di uno studioso di origini maltesi sui reati commessi da frates sodomiti a Malta nel Seicento e ha rivelato che sebbene fossero stati tutti giustiziati non vi è traccia alcuna nei registri; è evidente che il vitio nefando non poteva essere registrato se riferito a rappresentanti dei cavalieri, ai frates, come anche Caravaggio, sebbene avesse dovuto subire una spoliazione, anche era ) ed i dipinti sarebbero stati presi e sequestrati senza spiegazioni alcune ( forse il cardinale non poteva giustificare che tutti e tre i dipinti erano doni e forse ve ne erano anche altri che non erano doni ). Naturalmente poi occorreva inventare una storia e così si parlò dell'arresto, del pagamento di una specie di cauzione per essere liberato, dell'impossibile camminata da Palo a Port'Ercole, della malattia e della morte in seguita ad essa nella cittadina toscana. I quindi si tiravano fuori i falsi. Come faceva il Deodato solo dopo 10 giorni ad avere così e tante informazioni sulla fine del pittore? Bisognava raccogliere le informazioni, scrivere i dispacci, inviarli per mare; ad essere ottimisti si volevano almeno venti giorni e forse anche qualcosa meno di un mese. E poi, come mai i molti amici del pittore non richiesero i resti del pittore per seppellirlo degnamente a Roma? Perché avvisi, lettere, informazioni sono tutti così incerti? Perché all'ospedale di Port'Ercole il cadavere, come era di prassi, non venne sottoposto ad autopsia ( o notomia come si diceva allora ? ) . Insomma, la madre dei complottisti sarà sempre incinta, ma qui c'è puzza di bruciato. In attesa di ulteriori chiarimenti ( un ultimo studio, al 2013, è annunciato dal prof Pacelli dell'università Federico II di Napoli ), ci viene comodo complicare le cose con un ulteriore giallo. Esiste nel museo di Capodimonte un dipinto stranissimo che Roberto Longhi attribuì ad un anonimo caravaggesco di grandi qualità ( il Papi lo ha definito Maestro del Davide  ) e che chiamò, genialmente, Davide, Golia e Disputante ( forse del 1610 ). L'iconografia sembra essere inedita. Chi mai è questo terzo personaggio che compare come un fantasma alle spalle di Davide che si volta appena verso di lui senza guardarlo a sinistra, mentre a destra, sul tavolo col drappo rosso è la testa gigantesca di Golia? Lo strano personaggio guarda verso la testa di Golia e ha una forte espressività e una loquace gestualità : sembra chiedere, con argomenti fondati, qualcosa. Chi è? Guardiamo bene il volto di questo Disputante. Sicuramente chi ha frequenza con i dipinti di Caravaggio e conosce i suoi non pochi autoritratti diffusi in più opere non può non vedere nel Disputante i tratti di un agitato Caravaggio. I motivi di confronto non sono pochi. E se ci sono, come ci sono, chi poteva fare un autoritratto se non il pittore che lo dipinge guardandosi nello specchio? E allora se il personaggio è Caravaggio stesso cosa chiede se non la tanto agognata grazia ? Nel mondo accademico, sempre abbottonato e prudentissimo, come è parzialmente giusto, un'ipotesi del genere fa venire l'orticaria: impossibile.

Maestro del Davide(?) Caravaggio(?) Davide, Golia e Disputante, 1610? Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli
            
Però. Innanzitutto la tecnica pittorica è quella tipica a risparmio dell'ultimo Caravaggio, con pennellate lunghe e sovrapposte. Come hanno mostrato le radiografie manca il disegno sottostante al colore, preparatorio, come soleva fare appunto il Caravaggio. Sono state trovati punti di campitura, cioè i tocchi con il manico del pennello che il pittore lombardo usava per delimitare gli spazi del dipinto. Ma c'è dell'altro, sotto la versione definitiva si trova un'altra immagine scoperta dalla radiografia, quella di una donna che altro non è come mostrano i confronti Fillide Melantoni, amica del pittore, cortigiana famosa e modella. E chi se non Caravaggio poteva ritrarla? Sul vestito di Fillide le analisi hanno rivelato la presenza di clore da lapislazzuli e proprio questo colore naturale il pittore aveva ultimamente comprato in gran quantità. Ma se l'attribuzione a Caravaggio è sostenibile e affascinante, perché invece del Disputante c'è Fillide? Forse che Fillide nelle intenzioni di Caravaggio doveva fare da mediatrice presso il cardinale per ottenere la grazia? Più adatta grazie alle sue indubbie doti di accentuata femminilità ? E allora il pentimento? Forse Caravaggio pensò di aver esagerato e temeva che il cardinale potesse offendersi e allora ecco una più virile disputa sostenuta da un pittore-fantasma che guarda la sua morte e chiede che non avvenga? Se notiamo la disposizione gestuale delle mani di Fillide vediamo che esse sono poste alle stesso modo nel Disputante : in entrambi c'è un gesto di richiesta. Caravaggio lo ha dunque trasferito dalla donna a se stesso. Chi se non lui poteva fare questo?

Disputante, Fillide nella radiografia e nel Ritratto di Caravaggio

  


Caravaggio, Martirio di S. Orsola, 1610, Palazzo Zevallos, Napoli
Disputante














                               

Dopo la morte di Caravaggio, esattamente 6 anni dopo il maestro corniciaio Annibale Durante eseguì una cornice che secondo un documento da lui redatto doveva contenere una pittura con Davide, Golia con ritratto del maestro Merisi . Ebbene, nella Scheda redatta da Roberta Lapucci su Caravaggio, Electa, p.186 le misure della cornice corrispondo al millimetro alle misure del dipinto.

Nel dipinto il Disputante- Carvaggio guarda la testa che è un altro se stesso, infatti è un altro autoritratto del pittore, la testa di quella che è ormai un cadavere. Dunque anche chi un doppio autoritratto ma non Davide e Golia, ma Caravaggio in persona e Golia, il doppio di se stesso, il male sconfitto: ma, ci si chiede, il pittore aveva chiesto solo la grazia o voleva con un'opera d'arte redimere finalmente quel se stesso di cui aveva detto come documentava Susinno che i " suoi peccati sono tutti mortali"?


Bibliografia

Wikipedia, tutti i dipinti citati e riprodotti.
www.FedericoIIedintornimuseum.it giuliotorta
engrammi.blogspot.it L'ipotesi del disputante.2009
Papi," Paragone Arte", 2002
Museo Galleria Borghese. sito ufficiale
Museo del Prado. sito ufficiale
Sergio Rossi, Arte come fatica della mente, Lithos, Roma, 2012, p.110
S.Macioce, Caravaggio a Malta e i suoi referenti: notizie d'archivio, in "Storia dell'Arte" 81 ( 1984 ),pp. 207-219.
F.Bologna, L'incredulità del Caravaggio, Bollati Boringhieri, Torino,1992
M.Calvesi, Caravaggio in Art e Dossier,1986
V.Pacelli, L'ultimo Caravaggio, 1606-1610, Il giallo della morte. Un assassinio di stato?, Ediart, Napoli, 1995
Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i capolavori a c. M. Gregori con bibl. Milano, 1991
Herwart Rottgen, Il Caravaggio. Ricerche e interpretazioni, Roma, 1974
M. Calvesi, La realtà del Caravaggio, Torino, 1992
Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestintassimus,I, 1973,  Roma, 2005.








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