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venerdì 6 dicembre 2013

Una misteriosa tempesta




                   

                              UNA MISTERIOSA TEMPESTA 

                        Giorgione, La Tempesta, Gallerie dell'Accademia, Venezia





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Giorgione, La Tempesta, 1505-1508, Gallerie dell'Accademia, Venezia




     
          
         



 La Tempesta è un piccolo quadro ad olio su tela di 82x72 cm ( chi è abituato a vedere l'immagine a piena pagina nei libri di storia dell'arte non riesce quasi a capacitarsi di un ridimensionamento reale che l'occhio fatica a definire nei suoi limiti, un po' come capita con un quadro, per altro ancora più piccolo, che uno si aspetta invece più grande, il S. Girolamo nello studio di Antonello da Messina ), dipinto molto probabilmente per il nobile veneziano Gabriele Vendramin, nella cui casa lo ammirò Marcantonio Michiel nel 1530, quando lo descrisse brevemente in un suo appunto che gli sarebbe più tardi servito per realizzare un'opera sugli artisti veneti del suo tempo: " paesetto in tela con la tempesta e la cingana e il soldato; fu di man di Zorzon di Castelfranco" . L'interpretazione dei due personaggi ( la cingana, cioè la zingara, ed il soldato ) è già a quella data complessa, enigmatica, indefinita, incerta e lo sarà ancora per molto tempo, almeno sino al Settecento quando venne interpretata in modo diverso ma ancora più confuso ( Mercurio ed Iside ), quando a metà dell'Ottocento si trovava in casa Manfrin. Fra le interpretazioni quella che vuole, sulla scorta del romanzo archeologico-allegorio Hypnerotomachia Poliphili , la figura femminile una sorta di Iside-Venere, madre di tutte le cose, origine e fine del tutto. Un'altra interpretazione, in chiave cristiana, è promossa da Salvatore Settis che si richiama ad un rilievo dell'Amadeo sulla facciata della Cappella Colleoni, presso la Chiesa di S. Maria Maggiore di Bergamo, che raffigura una Cacciata dal Paradiso Terrestre, dove il fulmine al centro fra le nubi, sarebbe da collegare all'ira divina ( raffigurata attraverso la spada fiammeggiante ), la città sullo sfondo, una Gerusalemme celeste, l'uomo a sinistra un Adamo che riposa dalle fatiche del lavoro e la donna a destra una Eva che allatta il piccolo Caino, dopo che dio per punizione l'ha esposta ai dolori ed alle fatiche del parto. Edgard Wind, invece ha visto nell'opera una raffigurazione allegorica della carità che nella tradizione iconografica romana era raffigurata come una donna che allatta. Il messaggio qui sarebbe quello di una forza ( il soldato ) e di una carità ( la donna ), che dovrebbero poter convivere fra di loro per fronteggiare in modo vincente i rovesci della natura ( il fulmine ).

                Nel dipinto i due personaggi posti ai due lati, hanno un valore simbolico rispetto al paesaggio retrostante, ed  il paesaggio stesso lo ha rispetto ai due personaggi in primo piano figurativo. Si tratta di un triangolo che ha il vertice sul fulmine  ed i due angoli sul soldato a sinistra e sulla donna che allatta sulla destra. Come se la saetta fornisca l'energia per la forza vitale a sinistra e la forza generante a destra . Il paesaggio è interessante: va diviso ( o meglio va divisa la sua raffigurazione nel quadro ): in primo piano abbiamo un taglio figurativo con una corona di bosco ( piante a destra e a sinistra, massi in primissimo piano, una pianta destra, attraverso il quale vediamo il nudo della donna che allatta e guarda verso lo spettatore. In terzo piano figurativo passiamo dal paesaggio naturale al paesaggio urbano, che presenta una duplice caratteristica : due edifici di tipo veneto ( si veda l'altana in alto sulla casa a destra ), probabili case del contado veneto ( sulla facciata di una casa è stato riconosciuto lo stemma della famiglia Carraresi ), ed una serie di edifici che man mano che si allontano sul fondo perdono in realismo e si caratterizzano attraverso un monocromatismo bluastro, come fossero investiti dalla luce a flash prodotta dal lampo. Si tratta di edifici che appartengono alla serie delle architetture fantastiche che si riscontrano sino al tardo rinascimento, ed hanno come riferuimento massimo la Città Ideale do Urbino, ma che si trovano già in nuce in alcuni sfondi architettonici, si pensi ad esempio alla città che si vede sullo sfondo, oltre le mura, nell'Orazione nell'Orto di Mantegna, databile fra il 1458 ed il 1459.            
     

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Andrea Mantegna, Orazione nell'orto, 1458-60, National Gallery, London


Si tratterebbe di figurazioni urbane idealizzate della Gerusalemme Celeste , i cui edifici, poi diverranno topos riconoscibili nella loro caratterizzazione geometrica e all'antica.

                        

Il paesaggio di terzo piano de La Tempesta


          Nella Tempesta questi edifici sono ridotti al minimo e selezionati ( la cupola e la torre ), ma non si trovano solo nello sfondo, Giorgione li inserisce anche nel piano più avanzato con intenzione nobilitante del luogo ( vediamo le due mezze colonne su piedistallo e sollevate su di un muretto e un arco trionfale all'estrema sinistra che risulta cieco, cioè senza l'apertura delle luci ).
         Nella caratterizzazione del suo paesaggio l'artista si è rifatto sia agli esempi figurativi di Albert Durer, che nei suoi soggiorni veneziani aveva disegnato e dipinto ad acquerello diversi paesaggi necessari a fungere da sfondi delle sue incisioni, ma che poi si evidenziarono per l'uso del luminismo e del cromatismo raggiungendo una propria autonomia figurativa. Si veda, ad esempio il Tiglio su un bastione ( acquerello su carta ), conservato al museo Boymans van Beuningen di Rotterdam , come accurato esempio singolo. Oppure come esempio di paese l' acquerello su carta, che raffigura il Lago Santo in Val di Cembra fra le province di Trento e Bolzano dove Durer amava passeggiare lungo il sentiero che oggi è a lui intitolato.

Albert Durer, Paesaggio, acquerello su carta, 1495c.




Questa straordinaria immagine, assolutamente sorprendente per l'immediatezza della resa naturalistica che a questa data, intorno al 1495, non sembra avere altri esempi in Europa, mostra un paesaggio alpino al tramonto, con una cura particolare nella resa degli alberi ad alto fusto a destra e dei cespugli in primo piano intorno al lago blu. Paesaggi acquarellati come questi potrebbero essere stati osservati da Giorgione e accuratamente ripresi per il paese della Tempesta.



Giorgione, La Tempesta, paesaggio



Nella formazione di Giorgione paesaggista non vi è però solo il minuziosismo naturalistico di Durer , ma anche la visione sfumata del panorama che Leonardo utilizza nei suoi paesaggi di sfondo. I rapporti fra Giorgione e Leonardo sono abbastanza chiari e sono documentate da Vasari che si riferiva probabilmente al passaggio dell'artista a Venezia e alla sua attenzione per il paesaggio in particolare: " Aveva veduto Giorgione alcune cose di mano di Lionardo, molto fumizzate e cacciate, come si è detto, terribilmente di scuro: e questa maniera gli piacque tanto, che, mentre visse, sempre andò dietro a quella, e nel colorito ad olio la imitò grandemente" (Vasari-Milanesi, Vita di Giorgio da Castelfranco, ed. 1568 , vol. IV, p. 92 ) . Sfumato e prospettiva aerea presenti nella pittura di Leonardo, come gli accordi contrasti del chiaroscuro e la schermature degli alberi alla luce del giorno, vennero di certo studiati e ripresi da Giorgione, allo stesso modo gli effetti di fumeggiature, della nebbiolina mattutina con cui il pittore tendeva a rappresentare il paese in profondità, la tecnica di rendere unito il vicino con il lontano lasciando che vi circoli l'aria. Se guardiamo il paesaggio della Gioconda , diviso in due metà, a destra e a sinistra di Monna Lisa e dietro di essa, notiamo ben resi questi effetti leonardeschi. In  particolare, la parte destra presenta un ponte ad arcate di tipo romanico che, semplificato, vediamo anche nella Tempesta.  


La Gioconda
Leonardo Da Vinci, La Gioconda, 1503-1506c., Musée du Louvre, Paris
Vari tentativi di identificazione del paesaggio sono stati fatti ( Val di Chiana, campagna del Montefeltro ), ma anche se Leonardo aveva ben presenti un'immagine realistica, il paese è certamente idealizzato. 



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Leonardo, La Gioconda, parte sinistra

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Leonardo, La Gioconda, parte destra

Giorgione poté probabilmente anche servirsi di diversi disegni leonardeschi, che circolavano in copie fatte dai suoi allievi, dove vi sono accurati schizzi di campagne, alberi, fiumi, insenature, colline e monti. Giorgione naturalmente aveva anche ben presenti le vedute paesaggistiche presenti negli sfondi di Giovanni Bellini presso il quale aveva fatto il suo apprendistato. Possiamo parlare dello sfondo urbano ( con la raffigurazione di un edificio con la cupola che dovrebbe essere il mausoleo di Teodorico a Ravenna ) idealizzato con edifici romagnoli e veneti e citazioni di antichità che vediamo sullo sfondo del S. Giorolamo leggente nel deserto.  


Giovanni Bellini, San Girolamo leggente nel deserto, part. dello sfondo, 1505, National Gallery, London
    
      



Nel dipinto possiamo vedere anche il ponte ad arcate che attraversa il fiume al centro a sinistra, la cui posizione centralizzata si ritrova anche, sebbene in altro contesto figurativo, nella Tempesta. Sempre da Giovanni Bellini il Giorgione aveva appreso, e poi perfezionato, grazie all'esempio leonardesco, la tecnica del tonalismo, delle velature tonali che smorzano i contrasti di luce-ombra e rendono l'insieme come plastico amalgamando soggetti con l'ambiente, di modo che sembri che lo spazio si attraversato da luce e aria che vi circolano liberamente ( nella Tempesta è quel fondo dorato che rende magnificamente questo effetto ).
          Un aspetto particolare e molto significativo, per le implicazioni tanto simboliche quanto semplicemente naturalistiche, è la straordinaria resa del cielo tempestoso con le nubi scure e la saetta che appare minacciosa. Si tratta, al di là degli aspetti emblematici e simbolici, di una delle prime ( e forse anche la prima ) delle più straordinarie rese degli effetti atmosferici e della natura che sta per esserne coinvolta, mai realizzate nella Storia dell'Arte . Un attimo cambia lo scenario ( e la storia ) : il cielo carico di nubi scure e di elettricità ed umidità viene attraversato e sconvolto dal fulmine e dal suo bagliore che rende forti contrasti di paesaggio che non sono semplicemente effetti visivi, ma anche effetti carichi di significato: il primo piano naturale è attraversato da un'ombra scura ( bluastro-verdastra ) il secondo piano naturale degli edifici e delle piante si carica di una luce giallastro-dorata ( i riflessi dorati sulle foglie degli alberi di fondo danno un senso di quieto movimento, come fossero mossi da un alito leggero che va però ingrossandosi, mentre nel piano avanzato l'umidità ombrosa è accentuata dai riflessi che sembrano come gocce di pioggia, magari quella lieve che fa presagire il temporale) C'è un tempo di attesa di un cambiamento improvviso e l'immagine mostra l'attimo in cui avviene il passaggio dalla tranquillità che è già passato e lo sconvolgimento che è già presente e si attende da un momento all'altro. Ma c'è da credere che l'attesa porterà ad un futuro diverso ( dorato ) , a qualcosa di veramente nuovo che spazzerà il vecchio, il superato. A tal proposito ci sembra interessante la tesi di Rudolf Schier ( Rennaissance Studies, 2008 ) che questa raffigurazione derivi dalla I e dalla IV ecloga di Virgilio, che sia un'illustrazione di un idillio pastorale. Se il paesaggio e gli effetti atmosferici hanno qualche riscontro nella I, nella IV questi due aspetti sono legati ai due personaggi di primo piano : a sinistra un pastore in abiti rinascimentali appoggiato ad un lungo bastone ( l'ipotesi avanzata da più parti e nata dall'interpretazione antica del Michiel, che si tratti di un soldato, un lanzichenecco appoggiato ad una alabarda non è per nulla convincente, non veste da soldato, ma da borghese ed ha un bastone e non una alabarda ; il bastone è invece tipico dei pastori e nei noti Et in Arcadia Ego del Guercino e del Poussin  i pastori sono sempre appoggiati a bastoni, sia che siano seduti, siano che si trovino in piedi : vedi i due post nel Blog )e a destra la madre nuda che allatta un bambino, il frutto di una nuova era che nasce, di prosperità e speranza, l'età dell'oro. Il pastore guarda la donna che guarda emblematicamente noi. Il poeta-pastore ( e nel dipinto il pittore-pastore )  ha una visione, un sogno, quello di una vergine che partorirà la nuova prosperosa progenie: " ...già torna la vergine e ritornano i regni di Saturno,/ già una nuova progenie viene mandata dall'alto del cielo. / Tu o casta Lucina,sii favorevole al bambino che ora nasce / con cui per la prima volta cesserà la generazione del ferro/ e in tutto il mondo nascerà quella dell'oro: già regna il tuo Apollo./ Proprio sotto il tuo consolato incomincerà questa età gloriosa/ o Pollione, e cominceranno a trascorre i grandi mesi;/ sotto la tua guida, se rimangono tracce della nostra scelleratezza,/ rese vane, libereranno le terre dalla continua paura. " ( Virgilio, IV ecloga, vv. 7.14 ). Lo studioso pensa che vi sia nella resa figurativa dell'artista un amalgama fra visione pagana e visione cristiana, dove la Vergine nuda sia una Vergine Maria che allatta Gesù Bambino, nuova speranza e redenzione dell'umanità ( riferimento cristiano sarebbe anche la Gerusalemme celeste che si potrebbe intravvedere nel fondo, che trova riscontro nella visione pre-cristiana e quindi pagana, virgiliana ).L'immagine cristiana di riferimento che potrebbe accostarsi alla nuda che allatta è quella tipica dell'iconografia della Madonna dell'umiltà, diffusa nel XIV e XV secolo, in cui la Vergine non è in trono, ma seduta per terra, talvolta con il Bambino sul grembo, talaltra con il Bambino attaccato al seno ( significativa anche se non di un un  artista importante, la Madonna dell'umiltà che si trova nella Chiesa dell'Umiltà a Pistoia, seduta sulla pietra, con ,lo sguardo rivolto a chi guarda e con Bambino attaccato al seno ).


Madonna dell'Umiltà, Chiesa dell'Umiltà, Pistoia 
La nuda che allatta era stata individuata come Eva dopo il Peccato Originale sottoposta ai dolori del parto, in un rilievo dell'Amadeo della Cappella Colleoni a Bergamo ( intorno al 1475 ) che rappresenta Adamo ed Eva condannati da Dio ( al centro ), dopo il Peccato, al dolore e al lavoro ( ma qui Adamo, che pure si appoggia ad un bastone, è nudo e Eva, che pure ha una posizione molto simile, non guarda verso lo spettatore ), da Salvatore Settis che dava una interpretazione anche qui cristiana della Tempesta. 


File:Capcolleoni7.jpg
Giovanni Antonio Amodeo, Adamo ed Eva puniti dopo il Peccato Originale, 1475 rilievo
della facciata della Cappella Colleoni, Bergamo
Foto Georges, Creative Commons, 2.0




Giorgione, La Tempesta, La nuda che allatta, part.
I due personaggi della Tempesta sono il vero enigma del dipinto perché il paesaggio al di là dei suoi aspetti simbolici si spiega nella natura e nella situazione meteorologica che rappresenta; sarà emblematico, ma non è enigmatico, mentre i due personaggi sono propriamente enigmatici e le tante interpretazioni degli studiosi mostrano l'imbarazzo che gli interpreti moderni hanno sempre nutrito nei confronti di quest'opera della quale non si conosce il codice interpretativo e quindi si procede per ipotesi. Se ritorniamo ai versi virgiliani e alla interpretazione che abbiamo delineato, la nuova età dell'oro che la nascita virginale fa presagire ( da notare la mantella bianca e il drappo bianco, simboli di purezza e di verginità nella nuda che allatta ), è simboleggiata dalla doratura del paesaggio di fondo che investe anche la città ( probabilmente Gerusalemme ) e dalle colonne binate ( simbolo del Tempio di re Salomone ) spezzate ( simbolo di rottura col passato ). L'uso dei versi della II e IV ecloga sarebbero dunque cristianizzati, o meglio verrebbero usati in una duplice significazione : da una parte alluderebbero alla nuova pagana età dell'oro, dall'altra all'età della redenzione e della salvezza che opererà Gesù Cristo ( e le colonne spezzate alludono anche alla inevitabilità della morte, al sacrificio ). In questa linea anche se la nuda è Eva partoriente, essa indicherebbe ciò che sarà: la Vergine nuova Eva, Maria, madre di Cristo e le colonne spezzate indicherebbero il peccato e la nuova realtà umana: la vita che si spezza, la morte ineluttabile. Possiamo inoltre dire che l'attesa della nuova era, nel dipinto, può anche essere intesa come una sorta di passaggio, sia pure traumatico, tra la religione giudaica del passato e la nuova religione della redenzione cristiana : l'ombra che si dirada e illumina la città della luce gialla prodotta dal fulmine che serpeggia fra le nubi scure ( il segno dell'intervento divino ) potrebbe essere intesa come la luce divina della redenzione. Torniamo però alla donna. Non ha un atteggiamento materno ( non guarda il Bambino e non lo tiene al seno, ma quasi distrattamente lo tiene appoggiato in terra ). E questo ci pone un problema in senso cristiano e dunque anche di iconografia cristiana. Ed è meno pudica della Eva dell' Amadeo, che peraltro sembra anche avere un atteggiamento più materno. Il personaggio ha di fatto un senso di straniamento, di distacco, tanto dall'ambiente naturale quanto dalla sua natura di madre. Il Wind aveva ipotizzato che la Nuda che allatta potesse essere interpretata come un'allegoria della Carità ( il personaggio a sinistra sarebbe invece un'allegoria della Fortezza ), infatti il Ripa la illustra con un putto attaccato al seno, ma poi è tradizionalmente accompagnata da altri due putti e il colore che la indica è il rosso, mentre nella Tempesta la Nuda, come abbiamo detto, ha, come colore, sicuramente simbolico, il bianco che indica la purezza, la verginità. Anche in questo senso, dunque, siamo in difficoltà. Se poi passiamo al personaggio a sinistra le difficoltà non diminuiscono, anzi. Se fosse un'allegoria della Fortezza qualche rapporto simbolico potrebbe averlo con la colonna spezzata, che era uno dei suoi attributi.


Allegoria della Fortezza ( a sinistra ), attribuito a Bonifacio Veronese, sec.XVI, Fondazione Zeri.
Ma la figura allegorica è sempre rappresentata da una donna e non da un uomo. E poi se si trattasse della Fortezza sarebbe plausibile un richiamo simbolico al soldato alabardiere, ma abbiamo visto come il personaggio a sinistra non è un soldato e non ha nessuna alabarda e la presenza sul fondo delle querce, attributo simbolico della Forza, non sembra convincente né collegabile, in quanto le querce sono un dato naturalistico prima che simbolico e fanno parte del paesaggio. Il nostro personaggio è invece un pastore vestito in abiti rinascimentali, come abbiamo detto; per la precisione è un giovane pastore. Nel caratterizzare il personaggio e volendogli dare un connotato simbolico aggiuntivo, oltre alle sembianze, di giovinezza nobilitata, il pittore si rifece quasi certamente alle proprie conoscenze ed esperienze giovanili veneziane ( nel 1509 a Venezia aveva dipinto lo scomparso affresco esterno sulla facciata del Fondaco dei Tedeschi ) ed alla frequentazione delle compagnie di spettacolo e gioco a Venezia che agitavano soprattutto a carnevale ( il vestito ha un che di carnevalesco e teatrale insieme ), le Compagnie della Calza, che si distinguevano per l'uso simbolico di calze divise da più colori, diversi per ogni Compagnia ( un Compagno di Calza era raffigurato proprio sulla facciata del Fondaco dei Tedeschi ). Se vediamo il giovane a sinistra più da vicino, ci rendiamo conto che indossa delle calze di diverso colore e che dunque la figura potesse essere ispirata al costume di un giovane di una di queste Compagnie  ( come ha dimostrato Ludovico Zorzi, Compagni di Calza sono raffigurati anche dal Carpaccio nell'Arrivo e nel Ritorno degli Ambasciatori Inglesi, dove si vedono complessi ricami sulla spalla, sulla veste e sulle calze di diverso colore dei giovani nobili a sinistra ).


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Vittore Carpaccio, Ritorno degli Ambasciatori Inglesi, 1490, Gallerie dell'Accademia, Venezia
Il giovane che vediamo all'angolo sinistro della Tempesta indossa calze di colore diverso, a destra di colore bianco, a sinistra rosato, ma senza, qui, alcun ricamo. Va anche detto che alcune Compagnie hanno nomi come I Zardinieri e gli Ortolani che traggono origine dai mestieri legati alla terra e che i primi avevano una Calza di colore bianco. 


Giorgione, La Tempesta, particolare






Il giovane della Tempesta indossa una mantella rossa su una camicia bianca. La mantella è caratteristica anche della Nuda che allatta a destra, il colore, qui, come si è detto è il bianco che indica purezza, mentre il rosso sta ad indicare forza, vitalità, ma anche, nell'iconografia cristiana, il sangue versato da Cristo. Abbiamo detto che il giovane è un pastore, come indica il bastone al quale si appoggia. Un pastore con calza bianca che si appoggia ad un bastone è anche nell'Adorazione dei Pastori, dello stesso Giorgione della National Gallery di Washington, databile fra il 1500 ed il 1505.




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Giorgione, Adorazione dei pastori, 1500-1505, National Gallery, Waschington




Un pastore, dunque, anche se ben vestito e senza i segni di povertà sulle vesti, come questi due qui sopra che hanno le maniche lacerate. Si tratta, anche per l'abbigliamento, abbiamo detto carnevalesco e teatrale, di un pastore da opera pastolare o da momaria ( le rappresentazioni pantomimiche dei Compagni di Calza a Venezia ). L'intenzione del pittore, dunque, non è di rappresentare la storia, come nell'Adorazione, bensì quella di idealizzare un soggetto. Ora, nell'ambiente di giovani nobili e di circoli culturali umanistici veneziani e padovani dove circolavano idee filosofiche neoplatoniche ed aristoteliche senza che si opponessero decisamente, ma che invece cercassero un'intima armonia tanto nel dialogo erudito, quanto nell'arte e nella musica, si consumavano anche favole mitologiche che trovavano spazio nell'editoria di pregio (ne è esempio l' Hypnerotomachia Polihily di Francesco Colonna pubblicato da Aldo Manunzio nel 1499 con 172 xilografie ), ma anche più comunemente negli oggetti d'arredamento ( casse di gioie, contenitori di profumi ecc. ), dei quali sembra che Giorgione, come ricordato dal Ridolfi, in Le meraviglie dell'arte, del 1648, si dilettasse a dipingere i coperchi ). Queste illustrazioni avevano come destinatari committenti ricchi e eruditi che erano al corrente di simbologie anche complesse. Non è da escludere, dunque, che il soggetto della Tempesta uscisse fuori dalle conversazioni erudite fatte a Venezia e a Padova, dove, pur nel rispetto della religione ( significativa e importante la presenza del vescovo umanista Ermolao Barbaro, che si era laureato a Padova )  , si imbastivano discorsi laici di tematiche umanistiche sulle favole antiche, sui miti greco-romani. 
         I grandi committenti nobili veneziani, collezionisti ed eruditi ( si parla delle famiglie Vendramin, Contarini e Grimani ), facevano parte di questi circoli dove particolarmente era attivo lo scambio culturale umanista. Gabriele Vendramin, committente della Tempesta era uno dei più importanti collezionisti di opere d'arte e di antichità, possedeva manoscritti preziosi, come ad esempio l'Album di disegni  di Giovanni Bellini. Abbiamo, prima, visto come la direzione dell'illustrazione umanistica ( visione armonica della natura in un momento di passaggio critico verso un'età migliore  ) come soggetto della Tempesta , partita dalle due ecloghe virgiliane, potrebbe rappresentare una coerente spiegazione anche in senso cristiano, dove l'età migliore, la vera Età dell'Oro è quella appunto dell'avvento di Cristo nell'umanità e nella natura stessa. Possiamo ora vedere, sempre in direzione umanistica, una seconda possibile interpretazione. La Tempesta illustrerebbe una storia storia pastorale appartenente ad un possibile Ciclo di Paride. Di questo ciclo esistono già altre opere attribuite al maestro di Castelfranco : Paride abbandonato sul monte Ida ( University Art Museum di Princeton ), Paride consegnato alla Nutrice ( della Collezione Gerli di Milano ), Il Ritrovamento di Paride (del Szépmuveszeti Museum di  Budapest ). Un frammento del Ritrovamento conservato al Museo di Budapest mostra un pastore in abito rinascimentale posto in una posizione non molto dissimile da quella del pastore della Tempesta , sebbene nel dipinto si accompagni ad un altro pastore


Giorgione, Ritrovamento di Paride, frammento del Szépmuveszeti Muzeum di Budapest


Il Ritrovamento di Paride di Giorgione venne visto da Michiel in Casa di Taddeo Contarini, nobile veneziano nel 1525, e nel dipinto era raffigurato, in una scena pastorale, il Ritrovamento di Paride infante che non veniva allattato dalla nutrice ( come afferma il mito aveva avuto il latte da un'orsa, alla quale il pastore l'aveva affidato ), ma era sulla radura erbosa, nudo. Questa scena era stata riprodotta da Daniel Teniers, ed incisa nel 1658 da Thédorus Van Kessel dove si mostra una interpretazione dell'intero dipinto di Giorgione del quale, appunto, si conosce il solo frammento del museo di Budapest. Se guardiamo a destra la figura femminile e la sua postura sui drappi collocati in terra, ci viene in mente ( si guardi il volto che fissa lo spettatore ), la donna della Tempesta che in qualche modo la richiama.





Théodorus Van Kassel, da Daniel Teniers, Ritrovamento di Paride, 1658, di Giorgione,  Museo di Castelfranco Veneto 
     


I testi di riferimento delle storie di Paride, come segnatalo da Fabia Zanasi in homolaicus, 2013, sono, oltre alla Bibliotheca, di Apollonio Rodio, un'opera di Ovidio, Heroides, finte lettere d'amore scritte da donne abbandonate al proprio amante . Con riferimento alla Tempesta, non interessa tanto la storia del Paride bambino ad interessare, ma il Paride adulto e maturo pastore che, dopo aver sposato la ninfa Enone, la lascia per la bellissima Elena, causa della Guerra di Troia e quando, la bella Enone, figlia del dio fluviale Cebren scrive al suo amante ricordandogli con amarezza i giorni del suo amore. In relazione a questo aspetto della storia, guardando sempre alla Tempesta, possiamo osservare come nell'opera Giorgione , prima della versione definitiva, avesse operato un pentimento nel dipinto, in qualche modo rivelatore. Al posto del pastore enigmatico appoggiato al bastone che vediamo oggi, in una radiografia fatta sul dipinto, si può vedere, in una posizione più bassa rispetto al pastore, una donna nuda che si bagna nel fiume : si trattava della Ninfa Enone con riferimento simbolico al sottostante fiume-padre Cebren? 




pagina sinistra
Ricostruzione in base alla Radiografia della prima versione de La Tempesta, da Eugenio Battisti, in Emporium, 1957 
           
           

  La nudità della donna che si bagna nel fiume, a sinistra ( come quella che poi verrà aggiunta a destra nella seconda versione del dipinto ), indica ( impensabile pensare che si tratti di una comune donna nuda che si bagna nel fiume ), che si tratta proprio di una ninfa ( anche l'ambientazione nella selva contribuisce all'identificazione ) dell'acqua . Enone nella sua lettera ricorda come gli amori con Paride si svolgevano prevalentemente all'aperto sui prati erbosi; da questi amori nacque un figlio, Corito, che nella seconda versione del dipinto appare allattato dalla madre, mentre il padre, già distante ed estraneo, sembra assistere alla scena in una posizione sognante ed estraniante. Il bambino in questo caso sarebbe propriamente Corito e non lo stesso Paride che, abbandonato sul monte Ida da bambino, fu trovato e allevato da un pastore, perché il mito raccontato da Apollonio Rodio, parla di un Paride allattato da un'orsa, non da una donna; quindi la Nuda che allatta, sarebbe proprio Enone. Come referenti visuali possibili possediamo un interessante Idillio campestre, attribuito a Giorgione , in cui si vede una donna ( vestita, però e che non allatta ), con un bambino e un soldato con armatura ed alabarda. La coppia ha una posizione invertita rispetto alla composizione della Tempesta : la donna, infatti, è a sinistra, il soldato con alabarda e armatura, forse un lanzichenecco ( la figurina spiegherebbe l'identificazione del Michiel ), invece, è a destra. Si tratta di una scenetta ambientata in un paesaggio agreste ( in una luce solare mattutina e con un cielo sereno ) che, di fatto, è, sia pure nelle differenze, vicina alla figurazione della Tempesta




Giorgione, Idillio rustico, Frogg Museum, Cambridge



   
Dietro la coppia il paesaggio ha un doppi piano di figurazione: in primo piano presenta edifici rustici di abitazione e di lavoro, in secondo piano, sulla destra, in un monocromo grigiastro che sottolinea la lontananza, una città dove spicca una rotonda non dissimile, a mio avviso, da quella che vediamo nel paesaggio della Tempesta. Esistevano delle figurazioni simili che servivano da prove per il capolavoro dell'Accademia di Venezia? Vediamo ora due altre interessanti figurazioni ( forse copie da Giorgione ), la tavoletta in basso,  mostra ancora una donna seduta ( con il bambino in braccio ) , mentre a sinistra è un un uomo ( plausibile che sia un pastore ) a destra, in un paesaggio mitologico con architetture idealizzate; mentre sopra abbiamo, nella seconda tavoletta, l'immagine di una Leda con il Cigno, scenetta campestre anch'essa.




Giorgione o copia da, Due tavolette, Museo Civico di Padova








            Il dipinto di Cambridge, la seconda tavoletta del Museo di Padova e la Tempesta, a mio avviso hanno qualcosa in comune, probabilmente un'atmosfera mitologico-pastorale che rimanda alle favole di Ovidio, alle Metamorfosi , tradotte a Venezia e illustrate già nel 1501 ( Ginzburg, 1986, p.149 e il sito Ikonos ). Nel I libro, a questo proposito, si narra la storia di Giove e Io. Il padre degli dei si era invaghito della bellissima Io e per poterla sedurre senza che Giunone se ne accorgesse, l'aveva coperta con una densa nube o con una fitta nebbia ( cfr. nel Blog Giove e Io del Correggio ) che però aveva insospettito Giunone, così Giove aveva trasformato in una bianca giovenca Io per salvaguardarla dall'ira di sua moglie; tuttavia questa aveva chiesto in dono la bella giovenca e Giove non aveva potuto rifiutarsi. Giunone, che aveva mangiato la foglia, aveva chiesto ad Argo, il pastore dai cento occhi, di sorvegliarla giorno e notte. Giove però chiese a Mercurio, messaggero degli dei di trasformarsi in pastore e di liberare Io. Mercurio avvicina Argo e lo addormenta raccontandogli la storia di Pan e di Siringa ( accompagnandosi, nella narrazione, proprio con la siringa, che è una specie di flauto pastorale ricavato dalla canna palustre in cui la ninfa Siringa si era trasformata per sfuggire a Pan ) dopo di che gli taglia la testa e sistema i cento occhi sulla coda di un pavone ( ma in un'altra versione è Giunone stessa che ritrova il suo guardiano ucciso e cavatigli i cento occhi li pone sulla coda del pavone a lei sacro ) . Giunone irritata invia sulla terra un terribile gigantesco tafano per tormentare la povera giovenca Io al punto che Giove si vede costretto a chiedere alla moglie comprensione. Alla fine la ottiene e così Io  riesce a riappropriarsi del suo aspetto originario, sebbene la caratterizzino vesti bianche a rammentare il colore della giovenca. Io raggiunge l'Egitto dove partorisce Epafo, figlio di Giove. Nelle Metamorfosi Ovidio scrive che Epafo ha " templi in tante città accanto alla madre", a sottolineare il binomio fra madre e figlio e la diffusione futura del culto dei due quanto Io verrà venerata come dea Iside nelle città di Egitto. Quindi Io è associata ad Iside, dea della fertilità, della nascita, della natura. E come Iside, dea egizia, tiene nelle figurazioni in braccio il figlio Horus, così Io tiene in braccio e allatta Epafo. La scena pastorale con Iside è spesso figurata nell'antichità, talvolta con il pastore Argo che la sorveglia. In un affresco del Museo Archeologico di Napoli, vediamo proprio una scena pastorale con Io/Iside e Argo.




Iside prigioniera di Argo, Affresco, Museo Archeologico di Napoli
         

La figura di Argo, a destra, ci rammenta un po' il pastore della Tempesta, sebbene la postura sia decisamente diversa ( il volto leggermente girato, lo sguardo attento ma non diretto, il pastorale ). La figura di Io/Iside ( riconoscibile per le due corna bianche ) è però senza il figlio Horus. In un affresco della Casa di Livia sul Palatino , vediamo Mercurio che, vestito da pastore, sopraggiunge a liberare Ilo/Iside controllata da un altro pastore, a sinistra, Argo. Giorgione, naturalmente, non poteva conoscere né il primo né il secondo affresco; ma le due immagini forniscono interessanti referenti figurativi di un  soggetto    proveniente  



Casa di Livia, affresco con Mercurio che libera Ilo dalla custodia di Argo, Roma



dalla stessa fonte classica, appunto le Metamorfosi di Ovidio, che poteva interessare, appunto, lo stesso Giorgione nella progettazione della Tempesta. A questo proposito è molto significativa l'importanza data da Ovidio alla descrizione della vegetazione nelle parole di Giove, come aveva segnalato Eugenio Battisti ( Emporium, 1955, p. 198 ) : " O vergine degna di Giove e che farai beato chissà chi quando ti sposerai ritirati all'ombra di quei boschi profondi ( e le aveva indicato le ombre dei boschi ), ora che fa così caldo e il sole è al punto più alto, a metà del suo giro" e, più oltre, quando si fa cenno alla presenza improvvisa e sconvolgente del fulmine, ancora una volta evocato da Giove: " addentrati tranquilla nel folto, che sei protetta da un dio, e non da un deuccio qualunque, ma da me, che tengo nella grande mano lo scettro del cielo, da me che scaglio fulmini errabondi. Non mi fuggire!...Essa infatti fuggiva; e già si era lasciata dietro i pascoli di Lerna ed i campi del Lirceo...quando il dio nascose la terra per un gran tratto sotto una fitta caligine, fermò la sua fuga e le rapì il pudore" . Questa che era stata la scena magnificamente illustrata dal Correggio, trova qualche riferimento nella Tempesta. Il temporale scoppia in pieno giorno e Giove si manifesta con un suo simbolo, il fulmine. Non abbiamo qui la straordinaria nube/nebbia del Correggio, non una personificazione del dio, ma una manifestazione del dio nel paesaggio, che è un luogo di visione primario nel dipinto. Il temporale è così improvviso e la nebbia ( o le ombre umide) sono così inusuali in pieno giorno che l'intera natura resta sorpresa, compreso  l'uccello in alto sul tetto ( forse una cicogna- piuttosto che un pellicano- simbolo positivo, collegato alla fertilità e alla nascita e, in questo senso, al bambino allattato in basso ): tutto è sconvolto in un attimo, dall'arrivo di Giove. Ci si può chiedere però come è possibile associare direttamente ciò che accade in cielo con ciò che si vede sulla terra, ma si potrebbe rispondere che il dipinto si sviluppa su due piani temporali : nel cielo, il ricordo dell'apparizione seduttiva di Zeus/Giove, sulla terra l'allattamento del bambino che la ninfa Io ha avuto dal dio. Allora, nella prima versione, quella svelata dalla radiografia ( se ne veda sopra la ricostruzione ), la donna che si bagna nell'alveo del fiume ( al posto della ninfa Enone, figlia del dio fluviale Cebrene dell'ipotesi precedente ) , potrebbe essere ricondotta ad Io stessa, sacerdotessa di Era/ Giunone e figlia del dio fluviale Inaco. 
      Giorgione, dunque, in questo caso, avrebbe rappresentato il fatto ( la seduzione di Io ) prima che accadesse, mentre, nella seconda versione, avrebbe rappresentato il fatto già accaduto ( l'allattamento del frutto della seduzione divina ). Nella seconda e definitiva versione, al posto di Io bagnante, compare un altro personaggio, che potrebbe essere Mercurio che ha, in precedenza, vinto Argo, custode di Io e che si mostra con uno strano costume teatrale ( forse un'idea ripresa dalle momarie , sorta di pantomime rappresentate dai Compagni di Calza, con personaggi mitologici e pastorali ). Un Mercurio senza ali ai piedi e caduceo, ma con la sola verga di pastore ( Giorgione, forse, col costume teatrale e carnevalesco, voleva indicare un travestimento, come quello operato dal dio inviato da Giove per liberare Io ).
        I motivi del cambiamento compositivo operato sul dipinto, non sono noti, ma forse si può pensare che il pittore si fosse accorto di un difetto di bilanciamento , che poteva, invece, essere assicurato spostando la figura originaria ( il pentimento di Io bagnante ) a destra ( dove poteva forse esserci solo vegetazione ) ed inserendo una seconda figura, Io allattante ; mentre a sinistra, sempre per motivi di bilanciamento, veniva inserito Mercurio/ Pastore. 
        La composizione così completata e bilanciata, si giustificava anche per un bilanciamento della storia che nel primo piano figurativo ( e narrativo ) si definiva nella sua conclusione : assolto il suo compito, Mercurio guarda in modo enigmatico e straniante la sacerdotessa Io finalmente libera e pronta per essere, più tardi, divinizzata come Iside ( o associata alla dea Iside ). In questo senso, come già segnalato da Eugenio Battisti ( Emporium, 1955, p.200), può essere significativa l'interpretazione dei due personaggi che compariva nel Catalogo della Collezione Manfrin, dove la Tempesta si trovava, nel 1865: " Mercurio ed Iside", appunto. E, sulla scorta dello stesso Battisti, che si richiama giustamente a questa antica interpretazione, è addirittura possibile credere che essa poteva già essere indicata prima che la collezione Vendramin si disperdesse, cioè già nel 1530, quando il Michiel vi aveva veduto il quadro e, non sapendone il soggetto, aveva indicato la " tempesta, la cingana e il soldato " , dove la tempesta poteva essere anche Zeus ( per il tramite simbolico del fulmine ), la cingana Io-Iside ( ed il Battisti ricorda che nel Cinquecento gli zingari erano creduti discendenti dagli egiziani ) ed il soldato ( Mercurio ).
         Il paesaggio, a questo punto, poteva essere inteso come un' idealizzazione dell'Egitto, o, meglio, come un insieme di Egitto e di Borgo veneto ( forse la stessa Castelfranco ). Non è questa un'idea strana o estranea all'artista, infatti, se vediamo le due tavolette degli Uffizi, Mosè alla Prova del Fuoco ed Il Giudizio di Salomone ( interessanti anche per l'ambientazione agreste ), vediamo appunto un'interpretazione idealizzata dell'Egitto nella prima tavoletta e di Gerusalemme nella seconda, insieme a citazioni, anche qui idealizzate, di monumenti rinascimentali di possibile ascendenza veneta.  



File:Giorgione, Moses Undergoing Trial by Fire.jpg
Giorgione, Mosè alla prova del fuoco, 1505c, Museo degli Uffizi, Firenze



File:Giorgione, giudizio di salomone.jpg
Giorgione, Giudizio di Salomone, 1505c, Museo degli Uffizi, Firenze




Nella seconda tavoletta, inoltre, colpiscono il portico ad arcate sullo sfondo e quello a destra, in secondo piano figurativo, che potrebbero essere in relazione ( un ricordo visuale ) al portico ad arcate ( sebbene incompleto ) in secondo piano figurativo a sinistra della Tempesta. Si tratta più che altro di un oriente reinterpretato in senso rinascimentale ( e del resto i costumi dei personaggi seguono la stessa scelta ), che sarà meno suggestivo dell'antichità esotico-mitologica che vediamo nel paesaggio della seconda tavoletta del Museo Civico di Padova, ma che, forse, è più vicino di quanto sembri al paesaggio urbano e naturale della Tempesta. E' mia convinzione, inoltre, che, non potendo Giorgione avere un'idea figurativa dell'Egitto e dell'oriente in genere, i referenti figurativi possibili potevano essere solo quelli noti e dunque i monumenti contemporanei cittadini, un'immaginaria summa di monumenti orientali e una selezione di monumenti genericamente antichi che provenivano dalle illustrazioni dell' Hipnerotomachia Poliphili che avevano valore sia simbolico ( la doppia colonna spezzata ) che illustrativo del passato ( e non una sua ricostruzione archeologica estranea a Giorgione ). 

           Nella nostra lunga analisi di possibili significati della Tempesta , ci siamo appoggiati a quelle che ci sembravano le ipotesi più interessanti e adattabili alla figurazione e al suo contesto culturale, nella convinzione che l'artista non poteva non assecondare il gusto umanistico del suo committente e condividere con lui la complessa e accattivante simbologia ed in questo senso la figurazione di un episodio mitologico ci è sembrata la più plausibile. A mio avviso se l'episodio illustrato di Io/ Iside, Zeus/Fulmine e Mercurio/ Pastore nella sua parte conclusiva trova giustificazione nell'antica attribuzione, nella descrizione ovidiana e negli stessi referenti figurativi, non è da scartare l'ipotesi ( prima descritta ) che nel dipinto vi fossero i richiami virgiliani della I e della IV ecloga, che si volesse figurare un momento di passaggio fra il prima e il dopo, che si volesse sottolineare l'attesa di una nuova era. E che questo aspetto non fosse solamente da intendere in senso laico, ma anche velatamente religioso, sulla scorta di una possibile interpretazione dell'attesa della redenzione e della salvezza. Ed in questa direzione mitologia e messaggio cristiano non si annullano nel dipinto, ma si uniscono nell'insieme, nella complessità del messaggio. Ecco allora, che Io/Iside ( sacerdotessa pagana poi dea egizia ) può essere intesa come Eva/ Maria ( la prima e la seconda donna, il peccato e il riscatto ), che tiene in braccio il bambino Caino/Cristo. Quanto all'uomo, Mercurio / Pastore, in direzione simbolica cristiana potremmo indicare Adamo/ Eva ( e si rimanda all'interpretazione del Settis e al rilievo dell'Amadeo in cui Adamo, però, è nudo e non vestito ) e Giuseppe/Maria. Se volessimo dare quest'ultima indicazione sorge subito alla mente un possibile richiamo all'iconografia del Riposo nella fuga in Egitto . Qui, Giuseppe e Maria, dopo le fatiche del viaggio si riposano in un luogo tranquillo e ombroso. Non è solo la suggestione di quel richiamo al paesaggio dell'Egitto, di cui già abbiamo detto, ma anche alle figure della donna con il bambino e dell'uomo che osserva con discrezione ( un Giuseppe giovane, però, considerato che l'iconografia lo raffigura tradizionalmente vecchio ). A tal proposito abbiamo un dipinto interessante di Palma il Vecchio che raffigura una donna seduta con un copricapo alla zingaresca ( ed abiti non dissimili ) e un soldato alabardiere, un lanzichenecco. Come non farsi venire alla mente subito le parole del Michiel a proposito della cingana e del soldato nella Tempesta? Al centro, però, ci sono due bambini nudi che giocano. E la loro iconografia ci insospettisce, perché ci vengono alla mente Gesù e S. Giovanni e allora per analogia sacra, la donna seduta vestita alla zingaresca è Maria Vergine e l'uomo in piedi è un custode, un soldato ( che guarda Maria con attenzione ) , pronto a difendere l'integrità della Vergine. E' un Giuseppe re-interpretato in senso allegorico e contemporaneo.  Non è chiaro se il dipinto di Palma sia più una Sacra Famiglia o un Riposo durante la Fuga in Egitto ; è interessante però come di questo soggetto sacro nascosto non si parli, ma il titolo antico indichi una donna seduta, due putti e un alabardiere. Era una tendenza dell'ambiente culturale veneto alludere a soggetti sacri nascondendo l'identità dietro ad altre apparenze?      



Palma il Vecchio, Donna seduta, due putti e un alabardiere, 1510c, Museum of Art, Philadelphia 
                         
                              
Un soggetto più identificabile come Riposo nella Fuga in Egitto  è nel dipinto che Tiziano realizzò in gioventù, intorno al 1510. Come nel quadro qui sopra la Sacra famiglia  si riposa in un ambiente boscoso, le cui tonalità sfumata della vegetazione richiamano Giorgione,  presso il quale Tiziano lavorò.




Riposo durante la fuga in Egitto
Tiziano, Riposo nella fuga in Egitto, 1510c, Langleat House, Warminster

Anche qui vediamo S. Giuseppe che osserva attento Maria Vergine di cui è marito e custode. Una Vergine protettiva che va protetta, come va protetto il frutto virginale del suo ventre ( cosa questa ancora misteriosa e oggetto di tensione e sospetto per il padre putativo ). Se nella Tempesta vi era anche questa indicazione simbolica, cioè che i due personaggi sono Giuseppe e Maria, è chiaro che la figurazione ha anche valore psicologico; il personaggio si lascia la tempesta dei suoi suoi sospetti dietro le spalle ( o la ricorda come un momento drammatico della sua vita ), mentre attende che tutto si chiarisca e che il Bambino si riveli come il Salvatore di un mondo destinato alla rovina ( come dimostrano le rovine e le colonne spezzate ).      
       Se Giorgione avesse avuto intenzione di realizzare una doppia figurazione ( laica e sacra ) per accontentare l'umanesimo religioso che circolava a Venezia negli ambienti eruditi, non è dato sapere, per quanto suggestiva possa essere l'idea della sovrapposizione di significati, o meglio dell'amalgama fra scena profana e scena sacra, allo stesso modo di altre sovrapposizioni ( figurazione mitica e figurazione rinascimentale, rovine classiche e edifici contemporanei, paesaggio urbano orientale e paesaggio urbano dei borghi veneti ). Il dipinto è una composizione a puzzle ( per giustapposizione di tessere diverse non sono di figure, ma anche di significati ).
            
            Alla fine, di fronte al quadro restiamo ammirati ma senza certezze, dispersi non meno di quando abbiamo iniziato, forse immodestamente, il tentativo di interpretazione. Giorgione è fuori dal nostro modo di comprendere e, probabilmente, lo sapeva già prima, quando aveva realizzato il dipinto: non capirete nulla, signori! E non perché non ci sia nulla da capire e che non ci siano proprio significati nascosti come voleva Lionello Venturi ( cit. in Battisti, Eporium, 1955 ) , ma perché i significati si nascondono così bene da poter essere tutti senza essere nessuno.

              La donna nuda che ci guarda dal dipinto, mostra una certa ironia, forse quasi compassionevole, verso il nostro ( in primis il mio ) smarrimento e continuerà a rammentarci come la bellezza assoluta, forse, non ha bisogno di spiegazioni e che dobbiamo accontentarci di vedere senza sapere.

Bibliografia: 
B.Guthmuller ., Mito, poesia,arte. saggi sulla produzione ovidiana nel Rinascimento, Romma 1997
A.Gentili ., Giorgione, Arte e Dossier, Firenze, 1999
Museogiorgione.it
Ovidio, Metamorfosi, ed. Einaudi, 1995, pp.33-42, Libro I, 
E.Wind, L'eloquenza dei simboli, 1992
S.Settis, La tempesta interpretata, 1975
A. Lulli, L'opera completa di Giorgione, Rizzoli, 1966
E. Battisti, Una antica interpretazione della Tempesta di Giorgione, in Emporium, 1955   
R. Schier, Giorgione's tempesta : a virgilian pastoral, Renaissance Studies, 13.5.2008
A.Fiegna, Giorgione fra sogno e mistero, in Prismi, Liceo Ferraris.it    
C.Ginzburg, Tiziano e Ovidio in Spie, Einaudi, Torino,1986
Vasari-Milanesi , Le Vite, ed. 1568, Firenze, 1906, vol.IV
Wikipedia, per tutti i dipinti pubblicati
Dizionario degli Italiani, Giorgio da Castelfranco
La tempesta di Giorgione, in Geometrie Fluide.it
Iconos on line.it.  Viaggio interattivo nelle Metamorfosi di Ovidio.

         


                   



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