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sabato 7 dicembre 2013

Uno strano inverno


                                     

                                        Un strano inverno

                                     Nicolas Poussin , L'inverno, 1660, Musèe du Louvre, Paris



Nicolas Poussin, L'inverno, olio su tela, 1660, Musée du Louvre, Paris
Fra il 1660 e il 1664, Poussin, su incarico del duca di Richelieu, nipote del cardinale, dipinse quattro tele di grande formato, ad olio, che dovevano illustrare le Quattro Stagioni che mostravano 4 paesaggi direttamente collocati a 4 motivi della storia religiosa biblica e 4 momenti della giornata: la Primavera ( ambientata di mattina ), che mostra l'Eden e la vicenda di Adamo ed Eva; l'Estate ( pieno giorno ), che mostra l'episodio biblico di Ruth e Boaz. E' ambientato in un campo di grano assolato e in parte tagliato. Ruth aveva sposato un ebreo di Gerusalemme, alla sua morte aveva seguito sua suocera Noemi a Bethlemme; qui, stante la carestia, le due donne vivono in miseria spigolando nei campi di grano. Nei pressi dei campi di grano ( o di orzo ), vive Boaz un ricco proprietario terriero che è parente prossimo del marito di Ruth e quindi ha diritto di riscatto, cioè a prendere per moglie Ruth. Però c'è un ostacolo, vi è un altro parente che risulta avere più diritto di Boaz. Ma questi lo convince a rinunciare. A questo punto anche Ruth prende l'iniziativa a favore del matrimonio, sposa Boaz e i figli che nasceranno saranno gli iniziatori della stirpe di Davide, dalla quale nacque Gesù. Il dipinto, ambientato in un paesaggio estivo mostra un campo di grano, ma più precisamente di orzo, con steli alti e ricche spighe, già in parte tagliato. In primo piano la figura di Ruth in ginocchio e del ricco Boaz in piedi. Il terzo dipinto, L'Autunno ( ambientato nel pomeriggio ) , in primo piano un grande grappolo di uva che è simbolo di Cristo, tenuto con una trave che allude simbolicamente alla croce e dunque al sacrificio. L'ultimo dipinto è L'Inverno ( ambientato in una gelata notte ) che mostra una scena del Diluvio Universale. Gli studiosi si sono chiesti perché mai l'inverno, la notte e il freddo, sono rapportati al Diluvio Universale. Si tratta sempre di un tema biblico, svolto in una visione da fine del mondo, da paesaggio apocalittico. Una simile associazione non era mai stata figurativamente proposta prima. Jacopo Tintoretto in una tela della Madonna dell'Orto del 1562-1563, aveva associato il Diluvio Universale al Giudizio Universale, in una composizione verticalizzata ed ogivale con in cima la figura di Cristo Giudice, molto complessa e zeppa di figure, che riprendeva motivi dal Giudizio Universale di Michelangelo nella Sistina ( si veda la colomba poco sopra l'arca ).  Nessun rapporto, però, con il paesaggio invernale, che nell'opera di Poussin non si svolge in verticale nel Diluvio-Giudizio del Tintoretto, bensì in orizzontale. Nella tradizione del Diluvio Universale poi, non esiste alcun collegamento fra la stagione invernale ed il Diluvio.  Paolo Uccello aveva realizzato un affresco del Diluvio Universale nel cosiddetto chiostro verde di Santa Maria Novella a Firenze ( oggi gli affreschi   sono staccati e sovrapposti su tela per evitare che si deteriorino, anche se la collocazione è la stessa ) dove si trovano due figurazioni monocrome di terra verde sovrapposte, nella lunetta il Diluvio e la Ritenzione delle acque, nella parte sottostante Il Sacrificio e L'Ebbrezza di Noè. Anche qui non vi è alcun collegamento del Diluvio con l'Inverno, anzi qui non vi è proprio alcuna stagione, ma un'assenza di tempo e spazio determinati, una proiezione in una visione onirica e allucinata da fine del mondo. Poussin certamente conosceva l'affresco di Paolo e non è   impossibile che avesse ripreso qualche spunto iconografico, come l'uomo che si regge alla testa del cavallo semi sommerso dalle acque che vediamo con l'abito rosso al centro nel dipinto di Poussin e l'uomo con la spada sollevata e il cavallo che a stento tiene la testa fuori dall'acqua nell'affresco di Paolo. Ma certo altri aspetti  di

Paolo Uccello, Diluvio universale e Recessione delle acque, 1447-1448, Chiostro Verde, S. Maria Novella, Firenze

possibili convergenze, come vedremo, possono essere rinvenuti fra le due opere, pur nella sostanziale differenza di modalità figurative, di stile, di scelte allegoriche. Soprattutto, possiamo dire, che fra tutte le iconografie del Diluvio Universale, sebbene per aspetti diversi, quella di Paolo e quella di Nicolas presentano un medesimo senso di smarrimento allo sguardo: in uno la visione allucinata, onirica, irrazionale, nell'altro una visione ordinata, chiara, ma allo stesso tempo enigmatica, misteriosa. Ma torniamo al dipinto di Poussin. I quattro dipinti realizzati dal pittore dovevano essere collocati nella stessa sala che poteva essere individuata tematicamente come Sala delle Stagioni. Il rapporto stagione-episodio biblico era stato scelto come, per i dipinti dei Sette Sacramenti , ogni sacramento aveva un episodio tratto dalla Bibbia. Tuttavia nei Sette Sacramenti il rapporto binario è solo religioso, mentre nelle stagioni vi è un'associazione fra aspetto profano e aspetto religioso. Si trattava quindi di associare figurativamente aspetti metaforici ed allegorici fra natura e soggetti biblici. L'intenzione era quella di sviluppare una meditazione in forma pittorica su vari aspetti della vita dell'uomo, della natura, del senso della vita e della morte ( in linea con la poetica dell'artista ), piuttosto che lo sviluppo di soggetti ricchi di forte simbolismo religioso. Guardiamo, ad esempio, la Primavera-Eden, in cui si vedono Adamo ed Eva nudi al centro, piccoli di fronte all'immensità della natura rigogliosa del Paradiso Terrestre. Adamo è seduto sul prato, Eva è in ginocchio; Adamo guardo Eva che col braccio alzato indica la mela del peccato sull'Albero del Bene e del Male. In alto a destra, fra le nuvole, Dio padre che guarda dall'alto il destino dei progenitori che sta per compiersi.


Nicolas Poussin, La Primavera, 1660-64, Musée du Louvre, Paris 
Più complesso ma sostanzialmente aderente è L'Estate-Ruth e Boaz. L'associazione principale è quella del campo di grano ( o di orzo ), così rigoglioso perché in piena maturazione, con la dea delle messi Cerere,  che
è la madre del personaggio che vediamo al centro in ginocchio davanti a Boaz in piedi.

Nicolas Poussin, Estate, 1660-1664, Musée du Louvre, Paris  
Il colore dominante è il giallo oro delle messi cui si articolano perfettamente i cromatismi di altre forme, dal verde rigoglioso dell'albero a sinistra, ai colori delle vesti dei personaggi disposti ai due lati e al centro, ai cavalli bianchi e neri, alla veste rossa deposta sul prato, al cielo grigio e azzurro, ai monti e al maniero sull'altura cui dominano i grigio-azzurri e il rosso di pareti e del tetto. Un accordo ordinato, classico, perfetto al paesaggio estivo rappresentato. Al centro, vestita di bianco, rosa, azzurro e celeste è Ruth che esprime la sua inferiorità e povertà in ginocchio, in piedi col turbante bianco, la tunica arancio, la veste azzurra, è Boaz, il ricco proprietario terriero. A sinistra il grande ombroso albero è quello della Resurrezione o della Rigenerazione ( in terra, a sinistra, vediamo il manto rosso, simbolo del sacrificio di Cristo ), mentre a destra, alle spalle dell'uomo in bianco, uno schiavo che esprime devozione al signore, vediamo invece un tronco rinsecchito, un simbolo della morte.  Nell'Autunno-grappolo d'uva la scena con i due contadini che portano su di  un'asse un'enorme spropositato grappolo d'uva, simbolo del sangue di Cristo e di Cristo stesso ( l'asse è il braccio orizzontale della croce ) è in rapporto semantico con la vendemmia che l'operazione contadina più comune durante il mese autunnale. Il richiamo biblico preciso è al passo dei Numeri, 13, quando Mosè manda i suoi uomini a vedere la Terra Promessa nel tempo di vendemmia. I due rappresentati di Mosè, giunti ad Escol in una vigna ( la vigna del Signore ) , staccano il grappolo d'uva come un segno simbolico di fondazione. A causa del grappolo d'uva portato come in trionfo il luogo verrà chiamato Valle di Escol.


Nicolas Poussin, L'Autunno, 1660-1664c, Musée du Louvre, Paris


Nel dipinto vediamo come la scala ( come simbolo indica l'unione fra terra e cielo come nel Sogno di Giacobbe ) è posta in diagonale fra l'albero di frutti e il grappolo d'uva e come sulla scala vi si trovi una donna, vestita di bianco, intenta a raccogliere i frutti. La donna è la Chiesa che raccoglie i frutti che il sacrificio di Cristo ha reso disponibili all'impegno della Chiesa. Sulla destra, con la cesta sulla testa è la Sinagoga che ha, davanti agli occhi il telo che cala dalla cesta e che non le permette di vedere "la retta via". Questi dipinti hanno dunque sempre un rapporto fra soggetto e passi biblici ( e volendo si potrebbero tirare fuori molti altri significati dalle figure, forme e colori simbolici che si possono vedere ), quindi sono tutte bene in associazione semantica, non c'è alcuno scarto fra ciò che è figurato e ciò che il riferimento biblico chiede di essere evidenziato o interpretato in senso simbolico e allegorico. Anche il fatto che ogni pannello figurato è una riflessione sulla vita, nei tre quadri trova un riferimento puntuale. Lo stesso può dirsi per i rapporti fra soggetti iconografici diversi, fra un quadro e l'altro. La Primavera ( stagione della rinascita vegetale ) e l'Eden ( il luogo ideale e paradisiaco, del bosco di dio, dove si viola la proibizione, mangiando il frutto del peccato ) sono in rapporto da una parte con l'Autunno ( stagione della raccolta dei frutti, dell'eredità della Chiesa dal sacrificio di Cristo, del riscatto dal Peccato Originale ), dall'altra con l'Estate ( stagione della pienezza della vita, dell'abbondanza ) e con il mito di Cerere e le allusioni cristologiche ( le messi ricche e alte, le spighe e i chicchi di grano legati all'eucarestia-nell'iconografia spesso compare l'associazione spighe-grappolo d'uva come allusione al sacrificio di Cristo ). L'Inverno-Diluvio Universale no. Sembra una rappresentazione a sé, senza scambi semantici interni al quadro, ed esterni fra i quadri della serie. L'inverno è certo collegato con lo sconvolgimento della natura a causa dello scatenarsi degli elementi, con il riposo, con la vita nascosta nella terra prima del risveglio della primavera, è immagine di una meditazione sulla morte. E il diluvio rappresenta una situazione apocalittica, terrificante, uno scatenarsi senza controllo degli elementi della natura: un ideale castigo divino per un'umanità corrotta dal peccato. E pur tuttavia non esiste nella pur ricca iconografia un rapporto del genere. L'inverno è rappresentato come iconografia paesaggistica stagionale, con riferimento ai mestieri del tempo come, ad esempio, nel bellissimo Cacciatori nella neve, di Pieter Bruegel il Vecchio, del 1565, in cui il colore dominante e significante è il bianco ghiacciato che si allarga in tutto il dipinto schiacciando un po'le figurine minute dei personaggi. Ma in cui non manca un coerente simbolismo cristiano: i cacciatori che si trascinano la muta di cani si preparano alla caccia della preda; da una parte, al margine sinistro una locanda con un'insegna con l'immagine di un cervo. L'allusione è a S. Eustachio e alla leggenda che vuole la conversione del martire dopo aver visto la croce fra le corna di un cervo. Ed è anche un'allusione alla rigenerazione della vita dopo il riposo e l'abbandono invernale, perché le corna si rinnovano periodicamente al cambio di stagione. Vi può essere anche una rappresentazione allegorica del  tema iconografico, come nel Trionfo 


Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve, 1565, Kunsthistorisches museum, Wien

dell'Inverno  di Antoine Caron, del 1568c in collezione privata a Parigi, dove le molte figure allegorico-mitologiche che richiamano vari momenti e aspetti invernali, sono inserite in un paesaggio dominato dal bianco della neve, dalla nevicata, dal ghiaccio e da un cielo grigio-verdastro. E' un'opera che ci interessa perché faceva parte di quattro tele destinate ad illustrare le Quattro Stagioni, come quelle di Poussin. In quest'opera Caron  mostra l'arrivo dell'Inverno in abito bianco su di un cocchio trainato da bianchi aironi che segue un corteo di divinità greco-romane, come Apollo con la cetra, Mercurio con il caduceo, Minerva con la testa di Medusa, Vulcano che, come dio del fuoco, svolgeva il mestiere di divino fabbro nel mese più freddo e per questo è il primo dopo il carro dell'Inverno ad aprire il corteo della stagione fredda e nevosa, mentre in alto a sinistra, Saturno come Giano bi-fronte si reca ad aprire le porte del suo Tempio all'anno nuovo e a destra la città è imbiancata dall'abbondante nevicata. Caron non ha alcun interesse ad una attenta e ordinata rappresentazione del paesaggio naturale e urbano, ma come in altre sue opere, gli interessa vedere i suoi soggetti in uno spazio scenografico in cui i personaggi e le forme che evocano in modo disordinato, caotico, l'antico, si mostrano come apparizioni da teatro rinascimentale , come nei Trionfi e negli Intermezzi fiorentini ( ricordiamo che nel 1565 Firenze era stata lo scenario di un complesso di manifestazioni spettacolari urbane e di teatro cortigiano, per celebrare le nozze di Francesco de'Medici e Giovanna d'Austria, ma grandi manifestazioni erano già state organizzate dal 1536 e durante le Feste di S. Giovanni dal XV secolo erano molto diffusi i Trionfi all'antica   ) . La scelta di Caron, a seguito delle esperienze figurative manieriste fiorentine rivissute in chiave idealistica classica alla francese nella grande officina dei maestri toscani di Fointenebleu, era ideologico-politica e per questo vista in chiave trionfale ( l'esempio erano i  pannelli decorativi con i Trionfi del Mantegna ) ed espressa attraverso il linguaggio spettacolare del teatro, di immediata presa visiva.  Le scelte di Poussin erano altre.   Nelle    tele  

Antoine Caron, Trionfo dell'Inverno, 1565c, Collezione Privata, Paris.
delle Quattro Stagioni era mosso da una interpretazione meditativa personale sulla vita e sulla morte e dalla rappresentazione squisitamente naturale del paesaggio che era letto, secondo la tradizione idealistico-classica, anche in chiave di simbolismo cristiano. Ma è proprio questo aspetto, così chiaro ed efficace negli altri dipinti, che nell'Inverno-Diluvio presenta delle stranezze, delle assenze semantiche, al punto da far perdere il discorso che era svolto dagli altri tre pannelli. A differenza di Caron che nello scenario teatrale, come su di un palcoscenico, vede lo scorrere trionfale e non propriamente ordinato dei figuranti di molte storie simbolico-mitologiche ( l'idea di sviluppare più storie in un solo dipinto viene al Caron dall'esempio alto delle Storie di Giuseppe di Pontormo ), Poussin sviluppa la storia sacra nell'ordine inappuntabile del paesaggio naturale, dove ogni cosa è al suo posto, perfetta e significante; e però, nel nostro Inverno-Diluvio, diventa altro, ci pone dei dubbi, si qualifica come enigmatica, misteriosa: sostituisce all'ordine tradizionale della natura e della storia sacra, il disordine dei significati: perché l'Arca che dovrebbe essere elemento centrale o di primo piano e oggetto di primaria significazione è relegata all'orizzonte, fra i veli nebbiosi, piccola e insignificante? E cosa significano quelle piramidi e quegli obelischi anch'essi nascosti e appena visibili fra il grigio-azzurro gelato del cielo carico di pioggia? In ogni scena di Diluvio la presenza di Noè è visibile, accennata o è posta in relazione simbolica ( ad esempio con l'immagine della colomba ), perché qui non  vi è alcun  cenno? I personaggi di primo piano perché hanno i colori così vivi degli abiti come se il pittore volesse porre l'attenzione su di loro? Perché il personaggio in veste bluastra si regge ad un grosso libro? che significa? E perché l'altro si regge alla testa di un asino? L'imbarcazione che è vicina alla riva è sicuramente la barca della salvezza, dell'approdo sicuro. Ma chi è la donna che mette in salvo il bambino? Perché, se si tratta di un racconto della salvezza dal Diluvio ( i personaggi sembra che si muovano dentro una grotta invasa dall'acqua dove sembra che abbiano trovato rifugio ),proprio questa immagine di una famiglia che si salva? Nel racconto biblico a salvarsi per primo è Noè con la sua famiglia, ma con l'arca che si arena sul monte Ararat dopo la fine del Diluvio. Ma qui quale famiglia si sta rappresentando? Che significato ha il serpente rosso fuoco sul monte a sinistra? Che relazione può avere con il fulmine in cielo che scuote il buio ? Perché la parte destra è illuminata da una fonte di luce che è esterna e quella di sinistra è in ombra? Ma ci sarebbero anche molte altre domande che questo strano, emblematico, misterioso dipinto pone, a cominciare dai colori simbolici degli abiti dei naufraghi, a cosa alludono?

   
Nicolas Poussin, L'inverno, olio su tela, 1660, Musée du Louvre, Paris
Prima di tentare una lettura iconologica richiamiamoci un attimo all'affresco di terra verde di Paolo Uccello. Abbiamo detto che nulla fa pensare a rapporti con questo affresco che Poussin attento osservatore e infaticabile viaggiatore nelle città italiane, certamente conosceva. E' possibile che avesse molto apprezzato il senso di apocalisse, di sconvolgimento visivo, irrazionale ed onirico che l'opera monocroma mostra. Se pensiamo alla divisione dello spazio prospettico con i due punti di vista contrapposti e le due incombenti e sfuggenti e assurde pareti della stessa Arca e vediamo l'impossibile corridoio che vi passa in mezzo ad attraversarla, osserviamo come qui lo spazio in relazione alle storie rappresentate, sia diviso anche in senso semantico: a sinistra lo spazio del peccato, della disperazione, della fine, con i naufraghi che si aggrappano disperati alle rocce, all'arca chiusa, agli animali, o che cercano di mettere in salvo i preziosi significando la loro avidità, a destra lo spazio della salvezza con Noè che va incontro alla colomba, la parete dell'Arca che ha toccato terra, la fine del castigo. Ora il caos apocalittico di Paolo in Poussin non esiste. Tutto qui è ben ordinato, ogni cosa è al suo posto, ma anche qui c'è una divisione simbolica: a sinistra lo spazio della fine, della caduta, del castigo, l'ombra ( ma il serpente rosso che scende è illuminato ), la disperazione dell'uomo inginocchiato che prega con le mani in alto giunte, mentre un alto si regge a stento alla roccia per non precipitare, più avanti vicino alla cascata, un altro uomo che nuota disperato. A destra lo spazio della salvezza , con l'imbarcazione giunta a riva, con un uomo che cerca di issarsi per trovare rifugio, una donna che solleva il bambino che viene preso da un uomo che è già in salvo. Sappiamo che a destra c'è la sicurezza dietro gli scogli solidi e protettivi. Insomma l'avventura, a destra, è finita bene. L'Arca in lontananza non interessa, è ancora nel mare limaccioso, prossima ad una specie di fattoria semisommersa, con un sole velato che sottolinea la presenza della morte. In Primo piano, a destra, abbiamo invece la sicurezza della vita. La possibilità di una ri-costruzione della famiglia. Ecco. Nulla fra Paolo e Nicolas è proprio uguale. Spunti grafici potrebbero essere stati ripresi dall'affresco di terra verde e poi liberamente elaborati in un disegno più completo. Eppure, al di là della divisione simbolica dello spazio, a noi sembra che vi sia in entrambe le opere un  medesimo senso di angoscia e di speranza, di morte e di vita che si rigenera dopo il castigo. Detto questo vi è da osservare che come in Et in Arcadia Ego e Pastori in Arcadia , Poussin si serve di richiami ad un codice figurativo complesso ed oseremmo dire anche nascosto. Abbiamo visto come, attraverso le osservazioni così puntuali ed erudite di Franco Baldini, le due opere rivelino significati e aspetti insospettabili che rimandano ad un antico linguaggio cifrato di forme, gesti, colori rinvenibile nel simbolismo religioso e mitico dell'antica Grecia e dell'antico Egitto. E abbiamo visto anche come questo simbolismo fornisca una chiave di interpretazione in senso esoterico e cristiano. Si tratta di vedere, anche qui, insomma, la presenza nella cultura del pittore francese di una conoscenza specifica e nascosta che egli, sotto forma di segnali iconici, poteva applicare nella concezione e realizzazione di alcune sue opere, come quelle innanzi dette, ma anche, crediamo in questo Inverno-Diluvio Universale . Il richiamo più forte e convincente, a questo punto è al padre gesuita tedesco del Collegio Romano, Athanasius Kircher, singolare figura di scienziato, alchimista, egittologo, erudito in molti campi dello scibile umano e in particolare studioso di linguaggi e figurazioni cifrate. L'intenzione principale era quella di far emergere, attraverso simboli, icone, emblemi, allegorie,i dogmi della fede  in veste gesuitica. Nicolas Poussin ebbe padre Kircher come suo maestro di prospettiva e attraverso di lui entrò in possesso certamente di un vasto numero di informazioni tratte da antiche simbologie. Durante il suo soggiorno romano Poussin ebbe modo di frequentare intellettuali di primo piano tutti più o meno legati a padre kircher, Cassiano Del Pozzo, Giulio Rospigliosi, Gerolamo Casanate che nelle sua ricca biblioteca possedeva volumi e manoscritti del gesuita. Quanto a Kircher era noto il suo rapporto con gli artisti, ad esempio con Gian Lorenzo Bernini, con il quale collaborò alla Fontana dei Fiumi in Piazza Navona e per l'Obelisco in groppa all'Elefantino in Piazza S. Maria sopra Minerva. Delle opere di padre Kircher assume, per noi, una certa importanza il Mundus subterraneus, pubblicato ad Amsterdam nel 1565, ma che Poussin doveva aver già conosciuto prima, manoscritto. Ai fini dell'Inverno-Diluvio , in quanto opera di erudizione specifica doveva aver avuto una certa importanza: vi si parla, oltre che di speleologia, vulcanologia, oceanografia, anche delle terre emerse prima del Giudizio Universale. L'opera presenta preziose illustrazioni cartografiche, fra cui una raffigurazione della mitica Atlantide di Platone. Particolare interesse è il capitolo che rappresenta, con importanti disegni, il ciclo dell'acqua ( bacini idrofiliaci e moderni acquiferi ). Poussin avrebbe potuto trarre preziose informazioni non solo sulle terre emerse prima del Diluvio, ma anche sulla varietà dei bacini acquiferi sulla terra, necessarie fornire importanti spunti grafici. Ma per un pittore aveva certamente grande importanza l'Ars Magna lucis et umbrae in mundo, anch'esso pubblicato nel '65, ma già noto prima manoscritto. L'opera è importante non solo perché contiene la personale iconografia di kirchner, ma anche perché, oltre a descrivere in modo completo orologi solari, la camera oscura e la lanterna magica, sviluppa importanti capitoli sulla simbologia e la teoria del colore (Cromatismus ), sulla natura della luce ( Photosophia ), sul tema dell'ombra ( Sciasophia ) (cfr.AA.VV.Athanasius Kircher. Il museo del mondo, a c. E.Lo Sordo,Roma 2001 ). Sarebbe ozioso analizzare le varie parti di questa importante opera, sia pure in funzione di Poussin e non si vorrà, del resto, annoiare a morte il lettore e portarlo lontano da quello che è il nostro principale interesse, il quadro. Pertanto ci limiteremo, come esempio, a vedere come alcune idee di padre Kircher siano verificabili in un dipinto come La danza della vita umana  del 1640c, conservato a Londra. Si tratta della rappresentazione     della


Nicolas Poussin, La danza della vita umana, Wallace Collection, London
    
armonia dell'Universo. Il dipinto venne commissionato dal drammaturgo ecclesiastico Giulio Rospigliosi, più tardi Clemente IX papa; lo stesso che aveva fatto rappresentare un'opera musicale, Il Palazzo Incantato, per quattro voci da soprano: Pittura, Poesia, Musica, Magia. Il dipinto di Poussin, dunque, aveva il compito di fornire un'idea dell'armonia musicale che regola il macrocosmo in rapporto al microcosmo. Al centro del dipinto ci sono 4 allegorie femminili che si danno la mano danzando in circolo e dandosi le spalle:Povertà, Fatica,Ricchezza ed Ozio. La danza circolare rimanda da una parte all'armonia universale, dall'altra alla mutevolezza della vita dell'uomo. A questa allude, in alto, fra le nubi, il dio-sole, in volo sul suo carro, che tiene in mano il cerchio dello zodiaco. La danza femminile, circolare, inoltre, allude alle opposizioni delle allegorie ( le donne si danno la schiena ), per cui alla Povertà si contrappone la Ricchezza, alla Fatica l'Ozio, per cui, a livello di discorso, si può dire che" senza povertà non c'è stimolo ad accettare la fatica, ma senza il lavoro è impossibile raggiungere la ricchezza e godersi l'ozio"( Keazor,2008,p.60). Ai lati del dipinto, a sinistra vi è un'erma bifronte, a destra, nudo e seduto, con le ali, il Padre Tempo che suona la cetra. In basso semi sdraiati due puttini: quello di sinistra soffia bolle di sapone da una cannula ( simbolo della vanitas ), quello di destra tiene in mano un clessidra ( simbolo della transitorietà della vita umana ). In un'opera di padre Kircher, la Musurgia universalis, del 1650, in cui si parla dell'armonia delle sfere celesti e si precisa" la grande musica del mondo, questa corrispondenza meravigliosa dei cieli, degli elementi, delle creature". A regolare questa armonia è il dio Sole , mentre a Saturno ( il Tempo ), sono assegnati i suoni più acuti. Nell'Ars Magna , padre Kircher aveva sottolineato come al centro di tutto vi siano due principi, quello attivo, virile, maschile ( solare ) e quello passivo, femminile ( lunare ). I due principi, sotto forma allegorica, sono rappresentati dal dio sole sul carro, Apollo, dio del Sole, inventore della musica, che regge il cerchio dello Zoidiakòs, con i 12 segni ( in Egitto era Aton-Ra con il disco solare come simbolo)  e Aurora che sparge i petali in cielo ( completano l'armonia in cielo, le figure delle Ore in danza circolare a sinistra del carro ). Più emblematica l'erma bifronte a sinistra del dipinto. L'iconografia classica è quella dell'antico dio romano Giano bifronte che però mostra un doppio viso di vecchio saggio barbuto che indica allo stesso tempo contrapposizione e simmetria. Qui, invece, abbiamo una faccia giovane, imberbe, ed una anziana, barbuta. Si tratta di una antica iconografia di Giano, poi dismessa, simile al Giano bifronte del Museo Nazionale Romano che mostra appunto un'erma con due facce contrapposte, in cui il giovane guarda al futuro e il vecchio saggio al passato. Ma indica anche la contrapposizione fra la saggezza ( vecchio barbuto ) e la conoscenza ( giovane imberbe ) e, sul piano simbolico, possono essere intese sul piano spaziale ( sinistra-destra ), temporale ( passato-futuro ), spirituale ( essenza e sostanza dell'universo ). Nel dipinto le due facce maschili si rapportano alle contrapposizione delle figure femminili riunendosi nel principio unico dell'armonia . A destra, in posizione simmetrica con l'Erma, è il dio Saturno raffigurato nell'iconografia classica del dio nudo, barbuto e alato che qui suona la Lira ( la musica si armonizza con la danza circolare ), che indica il Tempo. In terra il puttino con la clessidra ( attributo de Il Tempo ), guarda lo scorrere della sabbia e indica la transitorietà della vita; dalla parte opposta, in simmetria, l'altro puttino soffia le bolle della creazione ( Giano è anche il dio della nascita della vita ) che si disperdono come bolle di sapone ad indicare la futilità dell'esistenza umana. I colori degli abiti delle figure femminili sono piuttosto vistosi ed hanno una forte connotazione simbolica che può anche aiutarci a spiegare i colori ed i significati dell'Inverno- Diluvio. La figura centrale è vestita di giallo ( l'oro, la luce solare, la preziosità, la divinità-è in relazione al giallo-oro del Sole in cielo ) e di bianco ( la purezza, la luce, la vita. Nella ritualità egizia indica il rinnovamento attraverso la purificazione ) , la donna dà la mano a sinistra ad un'altra vestita di azzurro ( il cielo, l'acqua, la creazione, la felicità e la magia ) e di rosso ( sovranità, perfezione, preziosità, vita, vittoria ). Possibile che le 4 donne indichino, oltre alle allegorie innanzi dette, anche le quattro stagioni e che, quindi, i colori ( a destra l'arancione indica il fuoco ) dietro il nero ( indica il buio, la notte, la morte ), indichino gli elementi a loro associati. Per cui si può parlare, da destra verso sinistra, di estate (bianco+giallo), autunno( arancione ), inverno ( nero ), primavera ( blu+rosso ). Con la presenza delle stagioni, che ci rimandano al successivo ciclo, cui fa parte l'Inverno-Diluvio, l'armonia dell'universo sembra essere completata. Detto questo torniamo al dipinto e vediamo in che modo è possibile richiamarsi alle simbologie proposte dalle opere e dal magistero di padre Kircher. " Aprite le cateratte del cielo e le fonti dell'abisso" ( Gn., 7.11 ), dio punì il mondo e gli uomini con il diluvio universale che durò 40 giorni e 40 notti. La funzione simbolica del diluvio, è quella di una purificazione ( un grande battesimo ) che rigenera l'umanità dal peccato, in cui i colpevoli periranno nell'acqua del diluvio purificatore, mentre i giusti verranno salvati dal legno dell'arca, come afferma Agostino, nella Catechesi ai principianti. Nell'iconografia l'Arca è centrale, come la presenza anche simbolica dell'acqua azzurra ( come nel mosaico della Basilica di S. Marco a Venezia ), dal Medioevo e, in particolare dal Rinascimento al Barocco, si assiste alla tragica rappresentazione degli uomini che cercano disperatamente di salvarsi dall'acqua che sale. Si pensi al Diluvio Universale di Alessandro Turchi, detto l'Orbetto, del 1621c. E' un'immagine che presenta un paesaggio classico idealizzato, in cui emergono le figure nude dei naufraghi su di uno scoglio ( Una in particolare, quella in piedi che prega, è ripresa, con modalità diverse-di spalle e sul dirupo e non frontalmente- anche da Poussin ) in posizioni statiche e calme che esprimono una generale rassegnazione ( più angosciate, soffocate, le espressioni dei naufraghi in acqua ) o al più una implorazione a dio affinché il castigo finisca. Nell' Inverno-Diluvio di Poussin sviluppa il discorso pittorico in chiave naturalistica, con una attenzione si potrebbe dire scientifica alla  rappresentazione

Alessandro Turchi, Diluvio Universale, 1621c., Coll. Molinari-Pradelli, Cartenoso.
dell'ambiente ( si guardi la cura con la quale è riprodotta la roccia a destra, con le spaccature, gli spigoli taglienti, l'alternarsi di spessori neri con la livida parete scabrosa, gli alberi scossi dal vento, semi scheletriti le foglie ingiallite che rimandano alla stagione invernale che fa parte del primo tema del dipinto ), che si completa, allargando lo sguardo all'apertura della grotta verso il mare ( l'antro nella sua complessità buia e profonda verso l'interno non si vede, ma si intuisce ), oltre la cascata che porta lo sguardo ad un piano superiore, dove si vede un mare gelato, un cielo nero, un fulmine che zigzagando attraversa luminoso il cielo illuminando per un attimo, come un flash, tutta la grotta. Poussin si sarà sicuramente servito delle competenze geologiche di Kircher, come degli effetti luministici di produzione, rifrazione e diffusione della luce, come degli effetti di contrasto dell'ombra ( Cap. X, Ars Magna ). Il frontespizio dell'Ars Magna , mostra un'iconografia di una grotta che viene colpita da un raggio solare che penetra in una spaccatura in alto per rifrangersi in un grande specchio all'interno della stessa grotta per poi diffondere la luce del sole all'interno. Non vi è qui la sola luce occulta e significante di dio, ma anche lo studio degli effetti naturalistici della luce e di quelli che possano essere fatti artificialmente. Veniamo ora alla barca. E' chiaro che l'imbarcazione è un'icona della salvezza. Lo è anche l'Arca, lontana, nei veli della nebbia, in secondo piano. La barca, come traghetto che attraversa le acque dell'ultramondo, collega le anime dal mondo dei vivi a quello dei morti, trasporta nel mondo sotterraneo col nocchiero Caronte lungo i fiumi infernali dello Stige e dell'Acheronte. Secondo la religione egizia, il dio-sole Ra, durante il giorno attraversava il cielo con una barca, la bacca del giorno; durante la notte attraversava il mondo buio degli inferi con la barca della notte, per poi riuscire, all'alba alla luce e proseguire in cielo. A causa della sua forma, la barca indica i due sensi di direzione opposti, ed in questo senso ha un'analogia con l'erma bifronte di Giano.Nella cultura simbolica cristiana la barca è la Chiesa ( Cristo aveva predicato su di una barca nel lago di Tiberiade a causa della folla che lo ascoltava, Mc.4,1 ); spesso la navicella è l'icona della Chiesa, come nel mosaico della basilica antica di S. Pietro realizzato dalla bottega di Giotto. Che la barca sia un'ancora di salvezza lo dimostra, nel dipinto, il giovane che si aggrappa al bordo della barca. Nella barca dell'Inverno-Diluvio vi sono tre personaggi: un uomo piegato con in mano una specie di remo, di bastone da scandaglio, che sembra estraneo a cosa accade alle spalle. A destra, alla piena luce del fulmine ( la stessa che illumina, per rapida luce diffusa, anche il giovane che prega, ad indicare una corrispondenza semantica ) una donna vestita di giallo, bianco e celeste, con il capo coperto di bianco che solleva un bambino vestito di rosso per porlo in salvo oltre lo sperone di roccia. Sopra la roccia vediamo, illuminato lungo l'asse verticale del braccio-spalla, un uomo con una camicia celeste. L'interpretazione è molto ardua. Le figure sono piccole, quasi miniaturizzate rispetto alla maestà della natura sconvolta e dominante, una è in ombra, una è in luce. Cosa cerca nell'acqua limacciosa l'uomo in ombra? Formulo un'ipotesi. Si tratta della rappresentazione allegorica della rinascita allegorica del dio Ra-Sole ( o Amon-Ra ). L'uomo cerca di agganciare ( o meglio si collega simbolicamente ) con il dio Ra-Sole che ha attraversato sotto il mare gli inferi ( l'uomo vestito di celeste che si aggrappa ad un libro, potrebbe farlo con il Libro delle Anime , come suppongono Blake e Blezard, 2000,57-58 e il colore celeste o azzurrino potrebbe indicare ancora il dio Amon-Ra ) e che rinasce alla piena luce e risorge. Il nuovo Sole si contrappone al vecchio Sole, quello velato, della morte, del peccato che si vede lontano nel cielo. Il Sole vecchio e il Sole Nuovo. La donna che solleva il Bambino-Sole  ha colori che rimandano alla divinità, porta una specie di turbante all'orientale e solleva il Bambino che presenta una veste rossa, come l'uomo con il turbante celeste che si regge alla testa di un cavallo o asino. Se si prosegue la lettura in chiave egizia, giustificata dalla cultura kircheniana che Poussin dovette assorbire ( dipinti di Poussin con monumenti egizi non sono pochi, possiamo citare a mò di esempio, anche per il suo simbolismo e una lettura in chiave cristiana e gesuitica, L'Ordinazione del 1647, della Galleria Nazionale Scozzese di Edimburgo, in cui si vedono obelischi e piramidi ) si può pensare che la donna con turbante e vesti bianca, giallo-oro, celeste, possa essere la dea Iside che solleva il figlio Horus ( una divinità solare ) che ha nascosto nella palude per sottrarlo alla furia di Seth che vorrebbe ucciderlo perché erede al trono di Egitto, dopo che ha già ucciso Osiride, sposo e fratello di Iside, resuscitato per generare Horus, che indica la forza nuova, calda e luminosa, la rinascita della vita e si contrappone alla forza vecchia, fredda, lontana e nebbiosa, simbolo della morte. Che vi siano richiami al mondo orientale ed egizio è comunque un fatto, non solo per i turbanti che indossano alcuni personaggi, per i colori simbolici, ma anche per la presenza fra le velature lontane dello sfondo, di obelischi e piramidi. Del resto padre Kircher nel 1653 aveva pubblicato l'Oedipus Aegyptiacus , un dettagliato trattato sulla mitologia egizia accompagnato da illustrazioni degli dei e dei loro simboli. Per estensione, senza che ciò vada inteso come forzatura, ma semmai come una ulteriore decrittazione del complesso simbolismo, possiamo dire che nelle intenzioni del padre gesuita vi era sempre l'idea di far emergere dalle raffigurazioni simboliche apparentemente pagane ( persino dai geroglifici ) le verità ed i dogmi della fede cristiana. E allora l'uomo con la veste rossa ( simbolo del sangue e della passione ), che si regge ad un cavallo o mulo, potrebbe essere un Cristo adulto, mentre il bambino sollevato alla luce potrebbe essere un Bambino-Gesù salvato da Maria sua madre ( il rapporto Iside-Maria era ampiamente noto nella cultura esoterica ), un Cristo giovane. Se poi consideriamo anche il rapporto simbolico fra Cristo ed il Sole che muore e risorge, invocato e festeggiato durante il solstizio d'inverno ( il 25 dicembre, nascita di Cristo coincide con la Festa del Sole. Tertulliano parlava anche di preghiera al Cristo-Sole da parte dei cristiani nell' Apologeticum, rivolti verso il sole sorgente  ), possiamo dire di possedere un elemento ulteriore per la decifrazione del dipinto. Resta da vedere cosa rappresenti l'uomo in blu che si regge al Libro, seguito dall'uomo in rosso. Potrebbe indicare il passaggio al Regno dell'Oltretomba e quindi essere un sacerdote con il Libro delle Anime, dove sono segnati i peccatori ed i salvati. Ricordiamo che il copricapo del faraone è blu e che blu era dipinta la faccia dello stesso; blu era anche la veste di Nut, dea del cielo e della nascita e madre di Iside. Il percorso di questi due personaggi, quello in rosso e quello in blu, è dall'ombra alla luce, dalla morte alla vita, dal peccato ( rappresentato simbolicamente dal serpente rosso che a sinistra scende lungo la roccia buia ) alla redenzione che è indicata simbolicamente a destra, in piena luce, dove Iside-Maria issa, in alto, la salvezza del mondo, Horus-Cristo. E' importante sapere, nel considerare i rapporti fra Kircher e il mondo dell'arte, che il padre gesuita possedeva alcune opere d'arte ( un Lorenzo Lotto, un Federico Barocci e certo avrà anche avuto dei Poussin che non risultano, però, nell'inventario del Museo del Mondo ).Il Barocci, con Il riposo nella fuga in Egitto, è importante per il suo simbolismo.


Federico Barocci, Riposo nella Fuga in Egitto, 1574c. Pinacoteca Vaticana, Roma.


In questo dipinto, al di là del dolce clima familiare che anticipa con valori cromatici, simbolici e di qualità artistica nettamente inferiori, l'opera alta di Caravaggio, di poco posteriore, presenta un incrocio di sguardi e di gesti con forte simbolismo che padre Kircher non aveva mancato di sottolineare .Qualche riferimento lo possiamo trovare anche nel nostro dipinto. Innanzitutto il mulo a sinistra guarda Maria che ha un leggero trasparente velo in testa e regge una bacinella d'acqua. Il mulo indica la verginità di Maria, perché la sua è una pelle dura e tesa, chiara metafora di un imene imperforabile. Giuseppe si rivolge al Bambino-Cristo, offrendogli delle ciliege. Nel Vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo si narra che durante la Fuga in Egitto, una palma si era piegata per offrire i suoi frutti: qui il pittore sostituisce la palma e i datteri con un ciliegio e un rametto di ciliege, perché esse servono a pre-figurare la Passione di Cristo. Sempre secondo la stessa leggenda Gesù fa in seguito risollevare la pianta e gli ordina di far sgorgare dell'acqua che la Vergine raccoglie. Da notare che Gesù non ha i piedi in terra, ma sul suo velo e su quello di Maria, richiamo simbolico ad una conservazione, come le legge di Mosè che erano custodite nell'Arca dell'Alleanza, che è la prefigurazione della Buona Novella annunciata dal Salvatore. Guardiamo i colori. La Madonna ha un velo azzurro, una veste rossa bordata di giallo-oro, un velo bianco immacolato. Il cielo, la purezza, la regalità, il sangue della Passione. Il codice cromatico è meno esplicito e significativo del Diluvio e di Pastori in Arcadia dove vediamo Iside-Maria, ma i rapporti sono chiari anche qui. Un altro importante particolare di questo dipinto che Poussin conosceva: il braccio che Giuseppe tende a Gesù offrendogli le ciliege e che Gesù accoglie con affetto prendendole, è il braccio dell'uomo che si sporge a  prendere il Bambino issato da Maria Vergine. Ed allora l'uomo potrebbe essere, a ragione, lo stesso Giuseppe che è già salito e che sta per trarre in salvo il Bambino. Dell'opera di Poussin vi è un ultimo dipinto che vorrei mettere in relazione con questo Diluvio . Si tratta di Piramo e Tisbe, del 1651c, che doveva far parte del ciclo precedente dei Sette Sacramenti ,ma che poi fece opera a sé. Il paesaggio domina qui come nel nostro Inverno-Diluvio, un paesaggio tardo autunnale con una scena di tempesta e di morte che rimanda alla riflessione sul fato che riserva spietati imprevisti, come nella vicenda dei due sfortunati amanti che, non trovandosi, finiscono, come Romeo e Giulietta, per suicidarsi entrambi. In alto il cielo oscuro e minaccioso è attraversato, nelle nubi plumbee, cariche di pioggia e di eventi nefasti, da un fulmine che zig zaga nel cielo. Poussin richiamandosi a Leonardo e grazie ai suoi studi col padre Kircher, si era proposto di rappresentare il non visibile: il tuono, il vento, il temporale. La scena dello straordinario paesaggio mostra sia la natura sconvolta dagli eventi naturali, sia la tragedia dello spietato variare della sorte.


Nicolas Poussin, Piramo e Tisbe, 1651c., Stadel Museum, Franckfurt.


Anche qui il paesaggio che emerge prepotente è diviso fra buio ( a sinistra ) e luce ( a destra ), fra la scena della tragedia in primo piano, dove la natura è si sconvolta dalla tempesta, ma non come sul fondo, in secondo piano, dove gli elementi si scatenano in una drammatica sequenza di rapporti simbolici fra sinistra e destra, fra ombra e luce, monumenti antichi e moderni, fra paganesimo e cristianesimo. Non diversamente accade nel nostro Inverno ( il Sole-Cristo o Sole invictus che nasce a gennaio, in pieno inverno e che muore e rinasce, che dal buio del peccato, risorge alla luce della salvezza attraversando le tenebre dell'oltretomba, compie, in primo piano, il suo ciclo di morte e di vita nuova ) Diluvio ( la punizione di dio, lasciata per i peccati degli uomini del mondo vecchio, pagano, segnati simbolicamente dal serpente di fuoco, ha il compito di far emergere il mondo nuovo cristiano, quello che grazie al sacrificio di Cristo, potrà salvarsi e ri-vivere di una vita nuova ). Non sappiamo se questa è la lettura iconologica giusta, né se veramente Poussin si servisse di questi simbolismi esoterici e misterici intesi in chiave cristiana  come padre Kircher voleva, pensando per immagini, possiamo solo credere che questa potrebbe essere una possibile analisi di un dipinto che resta enigmatico e misterioso, fra la sua natura rigogliosa e le inquietanti presenze dell'Egitto antico nascoste nella nebbia del immenso temporale universale, grande lavacro, battesimo dal male degli uomini del mondo pagano.  Plutarco, riportando la leggenda di Iside e del Nuovo Dio-Sole nato da una Vergine e messo da lei in salvo per evitare che finisca nelle mani di Seth che vuole ucciderlo, esalta la preghiera al dio, l'Eliolatria, che nella lettura cristianizzata, è anche la preghiera degli uomini che vivono nel peccato e nella morte dell'anima ( quella che S. Francesco chiamava la Seconda Morte ) a Cristo Salvatore e Dio Giudice : " O sole, che sorgi, splendore d'eterna luce e sole di giustizia, viene ad illuminarci, ché siamo nelle tenebre e all'ombra della morte" . 

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