Translate

domenica 8 dicembre 2013

Signori, silenzio!




                                      SIGNORI, SILENZIO!

                               Giove pittore di farfalle, Mercurio e la virtù

                                Dosso Dossi,  1523-1524, Castello di Wawel, Cracovia

In un cimitero "...un angioletto o un bambino di pietra che aveva
un berretto di neve...e si chiudeva le labbra con un dito...poteva
essere preso per il genio di  questo silenzio." Thomas Mann,
La montagna incantata, cap. III.

                           

Giove pittore di farfalle - Dosso Dossi 1522
Giovanni Luteri detto Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, 1523c., Castello di Wawel,Cracovia. 
Dipinto di grande fascino di uno dei più fantasiosi pittori del Rinascimento, una specie di Ariosto che invece delle parole poetiche articolate nelle ottave dei Canti del Furioso si esprime attraverso la muta poesia della pittura. Non a caso entrambi operano a Ferrara e fanno parte di quella attivissima fucina di talenti che ruotava in seno alla Corte d'Este. Stuoli di artigiani, decoratori, frescanti, miniatori, scultori,intagliatori, pittori, architetti che Adolfo Venturi aveva classificato e descritto in un suo importante studio sull'arte a Ferrara al tempo di Ercole e Alfonso d'Este. In questa ricca officina erano anche possibili scambi fra le varie arti, fra la poesia e la pittura, fra la poesia e la musica e fra questa e la pittura. Ariosto conosceva i fratelli Dossi e ne apprezzava la pittura al punto da inserirli nella famosa ottava dei pittori del XXXIII dell'Orlando Furioso :

"...e quei che furo a'nostri di', o sono ora,
Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,
duo Dossi, e quel ch'a par sculpe e colora
Michel, piu' che mortal, Angel divino;
Bastiano, Rafael, Tizian, ch'onora
Non men Cador che quei Venezia e Urbino....."


In primo piano vediamo seminudo con l'elmo alato ed il caduceo d'oro,  il dio Mercurio che invita al silenzio un personaggio laterale a destra, un'allegoria della Virtù, che vorrebbe attirare l'attenzione del padre degli dei, ma viene appunto tacitata da Mercurio. Come ha spiegato Chastel, 2002, 34, quella allegoria femminile, è la virtù dell' Eloquenza, la quale vorrebbe intervenire nell'atto creatore del dio, come arte del discorrere, arte letteraria per eccellenza, quasi per invidia o concorrenza della pittura. Si tratterebbe, quindi, di uno scontro fra l'arte del dipingere e quella del ben parlare, o, meglio del ben scrivere. Il gesto elegante di Mercurio è molto interessante. E' un invito a fare silenzio; un gesto molto usato in pittura e scultura, si tratta del segno di indigitazione o signum harporaticum o gesto di Arpocrate, il dio del Silenzio, che consiste nell'apporre sulle labbra chiuse il dito indice in senso di ammonimento. Il dio greco Arpocrate, deriva dall' Horus giovane egizio ed il segno con l'indice sulle labbra ha il significato originario derivato dallo gnosticismo  di chiusura protettiva della bocca per impedire che attraverso essa entrino nel corpo i demoni. Il signum ha anche un'altra forma di protezione, quella dei segreti iniziatici e quella della trasmissione e di invito alla conservazione agli iniziati degli stessi ( Damiani, 2012 ). Così nel mondo greco e in quello ellenistico attraverso il dio Arpocrate e il dio Mercurio. 




piranesiarpocrate
Horus harpocraticum





In questo senso ha particolare importanza l' assimilazione fra Horus harpocraticum e il dio Mercurio che è il dio dell'Eloquenza e del Commercio, il messaggero degli dei e l'accompagnatore delle anime nel regno dei morti. Il dio conserva e invita alla conservazione e protezione del sapere ermetico che il Gran Maestro può trasmettere agli iniziati. Questi aspetti, attraverso la cultura neoplatonica espressa da Marsilio Ficino, passano nelle concezioni degli studiosi di simboli e negli iconologi. Un'immagine del dio Arpocrate-Mercurio la troviamo nelle Symbolicam quaestionem di Achille Bocchi, pubblicato nel 1555 a Bologna con disegni di Prospero Fontana. Vediamo il dio rappresentato nudo con un mantello e un candelabro a 6 braccia ( o meglio a 7 fuochi o a 7 braccia ) in mano al posto del Cadduceo e con un copricapo, un elmetto alato, che invita al silenzio, ed un medaglione sopra la testa con la scritta circolare " Monas manet in se " ( l'uno resta in sé ) di fronte al momento aurorale della creazione ( come si può vedere a sinistra del dipinto si vede un arcobaleno o, forse, meglio, un'aurora boreale; l'immagine rimanda essenzialmente all'atto della Creazione Divina, Gn. 1,1-2,3 ). Mercurio, proprio come in Dosso Dossi, porta un mantello svolazzante.

.
Arpocrate- Mercurio, in Symbolicarum quaestionem, di Achille Bocchi
Cammeo con Eros che tormenta Psiche, I secolo a. C., onice a due strati intagliata, Firenze Museo Archeologico Nazionale
L'immagine di Bocchi è certamente il modello ideale per la figurazione dell'Arpocrate-Mercurio; Dossi cambiò soltanto il candelabro con il caduceo ( il mito narra che il dio depone la sua verga tra due serpenti che, nel pieno della lotta fra di loro, vi si attorcigliano: qui il caduceo è un'asta con due ali, simbolo di Mercurio, con le estremità piegate in modo che si uniscano, come appunto due serpenti intrecciati. Il caduceo è anche il mezzo che permette di decifrare le corrispondenze fra cielo, mondo e uomo ). La scena rappresentata da Dosso Dossi è, come ha testimoniato convincentemente Jiulius von Schlosser, ripresa da un testo falso-antico, attribuito ad un dialogo di Luciano, ma in realtà un'invenzione letteraria in latino di Leon Battista Alberti, il Dialogo della Fortuna e della Virtù, databile a circa il 1494. In questo testo la Virtù si lamenta con il padre degli dei, Giove, per il tramite mediatore del suo messaggero, Mercurio, del trattamento che gli sta riservando la Fortuna. Giove risponde piccato che gli dei non si occupano di queste cose e si fa trovare occupato a dipingere farfalle. E'dunque, come ha già specificato Chastel, il contrasto fra la richiesta della Virtù e la risposta di Giove è risolto con un paragone fra le arti con una superiorità fra la muta pittura di contro alla  loquace retorica.Sulla sinistra del dipinto vediamo Giove intento a dipingere farfalle. Le farfalle sono un simbolo di trasformazione ( la farfalla subisce una trasformazione da bruco a crisalide per poi ritrasformarsi in insetto alato ),di evoluzione della nascita e della nostra anima. E' interessante osservare come la parola psiché in greco significa sia anima che farfalla ( ma anche soffio ) . Non a caso in alcune rappresentazioni Psiche, amata da Eros, è mostrata con ali di farfalla.  Nel cammeo di Perin del Vaga esposto alla Mostra su Amore e Psiche a Castel S. Angelo del '12, vediamo, qui sopra, Psiche, in basso, che evidenzia, dietro la schiena, ali doppie come le farfalle. L'anima, nella evoluzione spirituale procede dalla nascita come nel bruco, ancora informe, per manifestarsi nella sua pienezza, per poi fluire via dal corpo, come un soffio, al momento della morte.  La farfalla è anche il simbolo della volubilità del pensiero e il prossimo arcobaleno che compare poco dietro, della evanescenza delle idee ( Wikipedia, alla voce del titolo del dipinto ). L'intenzione è quella di figurare la concezione che ogni opera creativa ha bisogno di un un'idea originaria, iniziatrice, particolare, che prende spunto da un'idea di ordine universale. Una certa importanza dovrebbero avere anche i colori delle vesti: il rosso dell'abito di Giove è in relazione con il drappo rosso sopra il quale siede Mercurio; il rosso indica il principio vitale, la forza creativa e generatrice. Mercurio, come evidenziato da Jung, è la forza di sintesi degli opposti ( l'eloquente retorica e la muta poesia ), siede sul rosso e indossa il mantello nero ( da una parte la vitalità, dall'altra la sua negazione ); il nero non è propriamente un attributo simbolico di Mercurio, ma può essere assimilato all'azzurro che ne è invece uno degli attributi simbolici. La Virtù è gialla. Il giallo è associato simbolicamente al sole e all'oro, ed è anche simbolo del rinnovamento della vita e in questo senso in rapporto con la figurazione delle farfalle, dell'anima creatrice e della trasformazione. Non mi sembra, invece, molto convincente il dipinto in funzione simbolica alchemica secondo l'interpretazione di Maurizio Calvesi:  “Giove, il cui regime alchimistico è quello della cauda pavonis o dell'iride ( che infatti si staglia in cielo, ha rapporti con la pittura; e la pittura, intesa come processo alchimistico, ha precisi rapporti con Giove, ovvero con il creatore. Infatti Giove sta dipingendo farfalle, cioè, poiché psiché significa anche farfalla, anime. La creazione è dunque simile all'atto del pittore ( e dell'alchimista )" ( Calvesi, Storia dell'arte, 1969 ). Ma bisognerebbe vedere se nell'attività del pittore vi fosse realmente un interesse per l'alchimia e che questa attività fosse realmente praticata nella corte della Ferrara estense in modo centrale o comunque di primaria importanza al punto da influenzare anche l'arte figurativa perché rappresentava un'interpretazione richiesta e significativa dai committenti ( forse il duca Alfonso ).  Ma torniamo al signum arpocraticum e al dio Arpocrate-Mercurio. Ha scritto Plutarco: " Arpocrate non va considerato come un dio incompiuto, infante, né tanto meno un qualsiasi dio dei legumi: egli è invece il patrono e precettore della umana attività di comprensione del divino,che è imperfetta, immatura e inarticolata. Ecco perché il dio posa il dito sulla bocca, come simbolo, cioè, della prudenza e del silenzio" ( Plutarco, Iside ed Osiride, 1985, ). In un altro passo Plutarco, con riferimento alla tradizione esoterica egizia, spiega che Iside portava al collo un amuleto che aveva messo dopo aver scoperto di essere incinta, il quale era interpretato come voce vera ( ed aveva anche una parola che la indicava: gli egizi credevano che le parole avessero un valore evocativo e magico e che la parola scritta indicasse, avesse lo stesso valore della cosa stessa ) che significava, sottolinea il Lagella, come Arpocrate fosse connesso  " alla potenza creativa e magica della parola". ( www. elvirolagella, il dio del silenzio ) . Ora gli antichi egizi vedevano nella dea Iside la dea che veniva indicata come potente di voce, la sua presenza era in rapporto all'essenza fisica della voce e il dio Arpocrate con il suo gesto ammonitore voleva invitare al silenzio di fronte ai misteri iniziatici, che pere essere compresi avevano bisogno della riflessione, della concentrazione e appunto del silenzio. Abbiamo già detto che nel dipinto la Virtù dovrebbe indicare l'Eloquenza che viene zittita di fronte alla superiore qualità creativa della pittura che appunto crea arte senza voce, in silenzio. Possiamo aggiungere che la dea egizia Iside veniva riconosciuta come potente di voce. Per eccellenza colei che ha e conserva la voce. Arpocrate era invece il fratello minore di Horus, a stare strettamente alla mitologia egizia, ed era il dio del silenzio che invitava la voce a restare in silenzio di fronte alle verità rivelate della tradizione misterica che andavano apprese e conservate dagli adepti in silenzio. Osiride è il dio della vegetazione, della fertilità, ma anche degli Inferi. Nella cerimonia della psicostasia o pesatura delle anime, con una bilancia pesava le anime dei morti; quelle più pesanti perché gravate dal peccato erano lasciate al dio Amuth, che le divorava, quelle più leggere, erano invece date al dio Aarw. Ora, non si potrebbe pensare che nel dipinto siano raffigurati Iside ( destra ) Arpocrate ( centro ) Osiride ( sinistra ), che sviluppano un discorso muto: Arpocrate invita Iside a tacere mentre Osiride dipinge le anime leggere in forma di farfalle ( psiché, anima e farfalla  ) perché i personaggi sono ben chiari e identificabili ( Giove con le saette, Mercurio-Arpocrate con l'elmo alato, i calzari alati, il dito sulla bocca, la  Virtù dell'Eloquenza in atteggiamento oratorico  ), tuttavia il sostrato egizio può benissimo starci nel senso che quella mitologia poteva aver fornito spunti interessanti. Del resto la moda dell'Egitto e della mitologia egizia era piuttosto diffusa grazie a libri come il Corpus Ermeticum attribuito ad Ermete Trimegisto, di ambiente alessandrino, quello di Orapollo del IV secolo, notissimo in età rinascimentale, che diffuse la scrittura ideogrammatica dei geroglifici sino agli Hierogliphica, di Pietro Valeriano e agli Emblemi dell'Alciati, dando vita ad una ricca fioritura simbologica presente anche nell'Hyeromachia Polyphili di Francesco Colonna, ripresa da artisti veneti come Tiziano, Tintoretto,Veronese, ecc. Harpocrate dapprima viene rappresentato nei vari trattati come un giovane con connotati figurativi molto simili a Dioniso adolescente, più tardi come adulto sapiente, saggio; più tardi ancora come vecchio saggio, ad esempio nell'Iconologia di Cesare Ripa del 1618. L'invito al silenzio di fronte alle volontà superiori, ai riti misterici, travasa anche nella cultura cristiana e il signum harpocraticum lo possiamo trovare anche in raffigurazioni religiose come segno di invito al silenzio rivolto a chi guarda: nel Convento di San Marco a Firenze, Beato Angelico dipinge San Pietro Martire, 1440-45, che tiene il dito sulla bocca come ammonimento, come invito al silenzio in un luogo sacro dove deve esistere solo la voce interiore del raccoglimento e della preghiera.



Beato Angelico, San Pietro Martire, Affresco, 1440-45, Convento di San Marco, Firenze





Ma dietro il gesto si conservano i sostrati della iconografia gnostica secondo la quale il gesto serve a chiudere la bocca per evitare che vi passi il demonio. E in questo senso l'immagine ha anche un'efficacia protettiva, apotropaica : tiene lontano il maligno ed impedisce che la sua essenza malefica penetri nella bocca e dunque nel corpo dei monaci. Questi aspetti, sono naturalmente estranei al dipinto pagano di Dosso Dossi,ma servono a farci capire come l'importante gesto del dio Harpocrate presenti valenze diverse a seconda dell'uso e del contesto dove l'immagine si trova. Se a San Marco ha valore di ammonimento per i visitatori e ( se vogliamo ) per lo stesso demonio che ambirebbe a penetrare nell'animo dei monaci, nel dipinto ha valore nei confronti del personaggio del dipinto stesso che è la Virtù ( identificata con l'Eloquenza ), che deve essere tacitata per muovere la riflessione e l'ammirazione di fronte al vero grande atto della creazione ( che è si quella artistica, ma che è anche intesa  in senso più ampio, come l'atto creativo in sé, proprio di un dio: l'arcobaleno indica la nascita del mondo ), di fronte alla quale si invita alla silenziosa riflessione sul suo aspetto aurorale e leggero, come le farfalle che Giove va dipingendo.

Bibliografia:

www.wikipedia, Dosso Dossi; Arpotrate, Mercurio, Giove pittore di farfalle.
A.Chastel, Il gesto nell'arte, Roma.Bari, Laterza,2002.
R.Mancini, La lingua degli dei.Il silenzio dall'antichità al Rinascimento,Vicenza, 2008
AA.VV.Dosso Dossi:pittori di corte a Ferrara nel Rinascimento, a c. M Lucco.cat. mostra1998
M.Calvesi, in Storia dell'arte, 1969
www.Elvirolagella,il dio del silenzio.



                

Nessun commento:

Posta un commento